Buio in sala

Armageddon Time, un magnifico film ignorato dai premi

di Fabio Ferzetti   27 marzo 2023

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La fine di un’epoca di grandi speranze, l’inizio della deriva che porta da Reagan a Trump. In un film autobiografico di James Grey

Ignorato dagli Oscar (vergogna), snobbato a Cannes (mistero), è in sala il magnifico e autobiografico “Armageddon Time”, ambientato nel 1980 ma con un occhio al presente. Ed ecco forse perché si è finto di non vederlo.

Nel 1980 James Gray (suoi i notevoli “Little Odessa”, “La notte è nostra”, “Two Lovers”) aveva 11 anni, proprio come il Paul Graff che vediamo crescere a Queens circondato da una vasta famiglia di ebrei di origini ucraine, come spiegherà nonno Anthony Hopkins, l’unico capace di capirlo davvero. Il padre (Jeremy Strong) si arrangia ristrutturando case e sogna per lui un futuro migliore. La madre, Anne Hathaway, piccola borghesia colta (insegnanti), vuole crescerlo come si deve in una scuola pubblica, anche se in tv impazza il futuro presidente Reagan e il degrado avanza.

Così il piccolo Paul (Banks Repeta, portentoso) cresce libero e selvaggio. Coltiva il suo talento per il disegno. Stringe amicizia con il paria della classe, un afroamericano con la faccia da adulto (Jaylin Webb), mentre lui è ancora un bambino. E si ficca in una serie di guai culminanti in un colpo che cita “I 400 colpi” di Truffaut (Gray è un cineasta classico, la specie più preziosa). Anche se il nodo centrale qui è un altro: fino a che punto si può essere davvero solidali con chi è nato in un mondo diverso?

Spostato in un odioso college privato destinato all’élite e finanziato da Trump Sr. (Jessica Chastain fa la figlia, sorella di Donald), Paul vedrà messi a dura prova i suoi sentimenti e il suo istinto di sopravvivenza, seguendo uno schema archetipico quanto infallibile.

Ma a fare il valore del film non è la trama, peraltro perfetta. È lo sguardo con cui Gray rievoca il passaggio da un’epoca carica di speranze al suo opposto. È l’amore che trapela da ogni volto, ogni pettinatura, ogni mobile della casa di Paul. È la pietas riservata anche al padre violento, all’insegnante carogna o al poliziotto amico del padre. Solo i compagni di classe e il direttore del college sono veri nemici, se gli Usa oggi sono divisi da una frattura insanabile, è lì che tutto è iniziato.

E Gray ce lo ricorda attraverso lo sguardo di un bambino che ci metterà anni a capire cosa ha vissuto e a diventare il regista che è. Calandosi tutto intero nella rievocazione di un mondo scomparso e ancora vibrante attraverso figure o dettagli minimi e irresistibili. Una gang afro che deride Paul e il suo amico in metropolitana. Quel razzo-giocattolo lanciato col nonno in un giardinetto triste e struggente. Paul in trance davanti al suo primo Kandinskij...

L’autobiografia di Spielberg (“The Fabelmans”) era tutta personale e dentro il mito. Gray salta il mito e abbraccia il mondo. È qui la sua forza.

Armageddon Time
di James Gray
Usa, 115’

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AZIONE! E STOP

Alice Rohrwacher non avrà vinto l’Oscar col suo bel corto “Pupille”, ma è protagonista di una personale su Mubi che propone anche “Omelia contadina”. Insieme a molte altre “voci italiane contemporanee” come Mario Piredda (“L’agnello”), Roan Johnson (“I primi della lista”) o Federica Di Giacomo (“Il palazzo”). Ottimo segno.

Kiev contro Hollywood. Ci sarebbero oligarchi russi tra i finanziatori del blockbuster “Top Gun: Maverick”. Lo denuncia la Uwc, una Ong che riunisce le organizzazioni della diaspora ucraina. Accusare lo script (stavolta i “cattivi” non sono russi ma nemici imprecisati) è eccessivo. Ma il problema degli investitori resta.