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Lo stress degli astronauti ha molto da insegnare sull'invecchiamento di chi rimane a terra

di Emanuela Cavallo   15 febbraio 2024

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Nella stazione orbitante si studiano gli effetti della permanenza nello spazio. Per una diagnosi precoce di Alzheimer e Parkinson

La neuroscienza come trend topic, in cielo come in terra. I misteri della materia grigia vengono osservati da molto molto vicino e pure da piuttosto lontano. Da una parte il primo chip impiantato nel cervello di un essere umano dalla Neuralink, l'azienda fondata da Elon Musk. Telephaty, oltre al nome evocativo di altre potenzialità, cercherà di decifrare i segnali legati all'intenzione di fare un movimento e tradurli affinché un robot possa compiere l’azione al posto di chi è paralizzato o paraplegico. 

 

Dall’altra i test nella micro-orbita, per l’esattezza a 408 chilometri dal pianeta Terra nella Stazione Spaziale Internazionale che ha ospitato la prima missione astronautica commerciale (Ax-3) interamente europea con a bordo il pilota italiano Walter Villadei dell’Aeronautica Militare Italiana. Sono stati oltre trenta gli esperimenti scientifici realizzati fuori dall’atmosfera terrestre, tredici dei quali italiani e due seguiti dai ricercatori dell’Istituto Italiano di Tecnologia per approfondire gli effetti della permanenza nell’ambiente spaziale sulla salute umana. 

 

«Studiamo gli astronauti come un modello di invecchiamento accelerato», spiega il neurobiologo Davide De Pietri Tonelli, a capo della linea di Ricerca di neurobiologia dei microRNA dell’IIT di Genova, «poiché sono esposti a enormi pressioni di stress psicofisico: radiazioni cosmiche, microgravità e regime alterato di sonno/veglia, dato che nell’arco di ventiquattr’ore vivono sedici albe e altrettanti tramonti. Il monitoraggio si concentra sul sistema nervoso centrale e può aiutarci a codificare una correlazione tra una classe di piccole molecole di RNA e lo sviluppo di processi d’infiammazione cerebrale, gettando le basi per nuove tecnologie di diagnosi precoce di patologie neurodegenerative come Alzheimer e Parkinson. 

 

Le piccole molecole di RNA vengono osservate per capire se la loro presenza nei fluidi corporei degli astronauti possa essere una spia di specifiche alterazioni fisiologiche. In prospettiva pensiamo di poter arrivare, avvalendoci anche dell’intelligenza artificiale, a test rapidi, simili a quelli sviluppati nel periodo del Covid, per diagnosticare patologie legate all’invecchiamento».