Buio in sala

I dannati, un film per scoprire come funziona ogni guerra

di Fabio Ferzetti   23 maggio 2024

  • linkedintwitterfacebook

Roberto Minervini si cala nel conflitto da cui sono nati gli Usa. E porta lo spettatore lontano da Hollywood e vicino al cuore nero dell’umanità

Ancora America, ancora armi, ancora guerra. Civile naturalmente. Quella vera stavolta, non quella ipotetica, e iperrealistica, dell’inquietante “Civil War” di Alex Garland, ma quella che ci raccontano i libri di Storia. Ricreata come se fossimo lì, non al fronte ma nelle retrovie. Costretti ad affrontare, prima che il nemico, il freddo, la fame, la stanchezza, l’ignoto. E il pericolo più subdolo. I dubbi. La fede, o la mancanza di fede, che ci hanno portati in guerra. Le ragioni personali, oltre che collettive, di quella condizione così inumana e insieme così intimamente legata alla storia della nostra specie.

 

“Why We Fight”, perché combattiamo?, si chiedeva Frank Capra nella serie di documentari di propaganda realizzati per l’esercito Usa durante la Seconda guerra mondiale. La domanda torna, su tutt’altri toni, in questo film girato con un pugno di non attori, calati in condizioni il più possibile simili a quelle del 1862, da Roberto Minervini, grande regista italiano trapiantato in Texas da ormai molti anni. Che esporta nel suo primo lavoro di finzione, appena premiato a Cannes (miglior regia al Certain Regard), metodi e strumenti messi a punto in documentari spericolati e disturbanti come “Louisiana, the Other Side”, “Stop the Pounding Heart” o “Che fare quando il mondo è in fiamme”. 

 

Massimo coinvolgimento degli interpreti, chiamati a mettere nel film qualcosa di loro. Rispetto assoluto per le condizioni materiali del mondo portato sullo schermo, qui particolarmente dure (siamo nel Montana, c’è la neve, nel prologo un branco di lupi sbrana lungamente un cerbiatto morto), ma anche adesione totale al punto di vista dei personaggi. Che significa non saperne mai più di loro, né vedere ciò che non potevano vedere.

 

Il risultato può essere frustrante per chi cerca le capriole del cinema-cinema. Ma esaltante per chi voglia gettarsi nel vuoto senza le reti del racconto, del verosimile e della morale. Dimenticate Hollywood insomma, anche nelle sue punte più alte (Coppola, Kubrick, Malick, etc.). Qui la guerra non è spettacolo ma enigma, e le armi sono il terminale di un’interrogazione materiale che Minervini e i suoi personaggi svolgono con accenti quasi filosofici. 

 

Come è fatta davvero una Colt, e perché? A che altezza mirare per centrare il bersaglio? Come si pulisce un fucile? E un cavallo? Fra nemici fantasma (Buzzati prima di Buzzati) e epifanie meteorologiche, servito da una fotografia che scolpisce ogni ruga e ogni pelo, Minervini scava nel fango ma costeggia il sacro. Prendere o lasciare.

 

I DANNATI
di Roberto Minervini 
Italia-Usa-Belgio, 88’