Un miliardo occultato in isole esotiche. Usciti da una società fondamentale per la difesa dell’Italia. E l’azienda che opera con i dati sensibili del ministero, e dovrebbe offrire la massima trasparenza, resta misteriosa
Speciale
Chi sono gli italiani con il conto offshore Sulla sicurezza dei nostri apparati di difesa e protezione dei cittadini, gli italiani possono sentirsi in paradiso. I documenti riservati dei
Paradise Papers rivelano infatti che la
Vitrociset – la società privata che da cinquant’anni continua ad ottenere contratti d’oro per le tecnologie strategiche dei ministero della Difesa, Giustizia, Interno, esercito, marina, aviazione, aeroporti, polizia di Stato, carabinieri, guardia di finanza, agenzia spaziale, Nato e Banca d’Italia – è stata creata e resa ricchissima da un condannato con sentenza definitiva per il più grave scandalo di corruzione della Prima Repubblica, fuggito all’estero con almeno dieci milioni di dollari e un aereo pieno di quadri costosissimi senza fare un solo giorno di carcere.
È stata intestata per anni al suo amico più fidato per sfuggire ai sequestri giudiziari ordinati nientemeno che dalla Corte Costituzionale. È tuttora posseduta da un impresentabile ginepraio di società offshore e trust anonimi, costituiti da un’ex attrice allo scopo dichiarato di «
non lasciare tracce sulla provenienza dei fondi». Ed è al centro di una faida familiare che, dopo le liti tra eredi del primo e del secondo matrimonio, ora contrappone la madre a una figlia, una sorella all’altra, in una saga internazionale con mille colpi bassi che vale centinaia di milioni di euro. Mentre i profitti continuano a uscire dalle casse italiane per approdare, dopo un tortuoso viaggio tra società esotiche, in casseforti offshore che non pagano un soldo di tasse. E sono le società più anonime del mondo.
I segreti di Vitrociset sono svelati dai documenti riservati dei paradisi fiscali ottenuti dal consorzio Icij e analizzati in esclusiva per l’Italia da L’Espresso e Report. Montagne di atti che raccontano l
a vera storia, dalle origini a oggi, della società che gestisce radar, telecomunicazioni e apparati di sicurezza per le più importanti istituzioni militari e civili.
Tutto parte da
Camillo Crociani, un potente manager democristiano, detto l’Innominato, che nei primi anni Settanta è il numero uno di Finmeccanica, il colosso statale degli armamenti. Crociani ha una sua società privata, la Ciset, che tuttora controlla quasi tutto il capitale di Vitrociset, dove lo Stato italiano, proprio con Finmeccanica (ora ribattezzata Leonardo), si accontenta del ruolo di piccolo azionista di minoranza. Come società strategica, anche se privata, Vitrociset è vigilata dal governo, che ha poteri di veto (golden power) e di prelazione (cioè di comprarla tramite Leonardo in caso di vendita) per evitare che possa essere scalata da potenze straniere o ricchi delinquenti.
Crociani nel 1976 viene
travolto dallo scandalo Lockheed: tangenti pagate dalla multinazionale americana a molti governi stranieri per vendere costosi aerei militari. Il fondatore della Vitrociset scappa in Svizzera con un jet privato il giorno prima del mandato di cattura. Nello storico processo davanti alla Corte Costituzionale viene condannato a due anni e quattro mesi per corruzione aggravata. Il suo è un ruolo centrale: attraverso società intestate a prestanome, è lui a incassare dalla Lockheed una tangente di 140 milioni di lire dell’epoca (oltre 600 mila euro di oggi) e a riversarla al capo di stato maggiore della difesa. Camillo resta libero, latitante in una villa in Messico, dove muore nel 1980. Vitrociset sfugge ai sequestri di beni ordinati dalla Corte perché Crociani risulta averla già venduta al presidente della società, Girolamo Cartia, per tre miliardi di lire.
La
seconda moglie di Crociani è Edoarda Vesselovsky, ex attrice, nome d’arte Edy Vessel. Hanno avuto due figlie, Camilla e Cristiana. La versione ufficiale della vedova è di aver ereditato dall’ex boss di Finmeccanica solo un appartamento a Roma e debiti di valore superiore. Edoarda giura di essersi ricomprata Vitrociset da sola, anni dopo, versando al manager Cartia lo stesso prezzo che questi aveva pagato al defunto marito. Soldi che la vedova dice di aver guadagnato da sé, «con anni di duro lavoro», prima come attrice, poi con geniali investimenti in Borsa. E così riesce a tenere la società fuori dal caso Lockheed, esibendo pure una sentenza romana che le dà ragione: Vitrociset è di Edoarda, non ha mai fatto parte dell’eredità di Camillo che è morto dopo averla venduta a un estraneo.
Ma ora una sentenza inglese, che riguarda proprio lo studio offshore dei Paradise Papers e le sue carte riservate, dichiara falsa la versione di Edoarda e «sorprendente» il vecchio verdetto italiano che le dava ragione. La storia dei risparmi personale dell’ex attrice è «inverosimile»: «
l’origine delle sue fortune», compresa Vitrociset, è proprio «l’eredità di Camillo Crociani». La vendita al suo amico Cartia è la successiva rivendita allo stesso prezzo, «con facoltà di pagarlo a rate proprio con gli utili di Vitrociset», hanno un’unica spiegazione logica: tenere la società fuori dallo scandalo Lockheed. E farla arrivare intatta agli eredi di Camillo, senza dover sborsare un soldo di tasca loro.
La Vitrociset è sempre stata una fabbrica di soldi, incassati quasi totalmente dai Crociani. Come società-satellite di Finmeccanica, ha avuto per quarant’anni il monopolio dei radar del traffico aereo: la prima gara d’appalto aperta ad altri concorrenti, imposta dalle norme europee, è stata fatta nel 2005. Vitrociset ha incassato fiumi di soldi pubblici. Da qualche anno, dopo le riforme degli appalti, è in difficoltà: l’ultimo bilancio del 2016 conta 826 dipendenti, un fatturato di 149 milioni, utili per 445 mila euro, ma con debiti per 126 milioni (di cui 37 con le banche e 70 con i fornitori). In compenso i bilanci attestano che Vitrociset, dal 1992 al 2000, ha generato profitti netti per 859 miliardi di lire (circa 430 milioni di euro). Tra il 2001 e il 2007 ha prodotto utili per altri 138 milioni di euro (ben 111 solo nel 2006). E dal 2011 ad oggi ha premiato i suoi azionisti privati con altri 21 milioni.
In totale, dai tempi dello scandalo Lockheed, la Vitrociset ha regalato alla famiglia Crociani oltre un miliardo di euro. Soldi usciti dall’Italia e spariti all’estero.
Le carte segrete dei paradisi fiscali ora rispondono a domande fondamentali: dov’è finita tutta questa massa di denaro? Chi controlla Vitrociset? Esistono forse azionisti occulti o diritti sul capitale non dichiarati?
Le eredi di Camillo Crociani hanno dovuto rivelare i loro segreti in una causa civile a Jersey, un paradiso fiscale inglese, dopo cinque anni di liti familiari: Cristiana Crociani accusa la madre Edoarda di averle sottratto, con atti «falsi e fraudolenti», oltre 100 milioni di euro, provenienti da Vitrociset, per favorire l’altra figlia, Camilla, sposata con il principe Carlo di Borbone delle Due Sicilie. Il processo è feroce. Cristiana accusa la madre di averla fatta vivere «in un inferno dorato».
Scrive il giudice: «Cristiana ci ha detto che sua madre aveva un’ossessione. Lei e Camilla dovevano sposare dei principi. Cristiana l’ha fatto nel 1997, sotto pressione della mamma. Un matrimonio infelice, durato solo quattro mesi. Un anno dopo Camilla si è sposata con Carlo di Borbone. Aveva un titolo, ma era privo di risorse indipendenti». La Royal Court di Jersey, l’undici settembre scorso, ha dato ragione a Cristiana, ordinando alla madre e alla sorella di restituirle quella fetta del tesoro di famiglia. Non a lei personalmente, ma a una cassaforte anonima di famiglia: il Grand Trust, una fiduciaria fondata alle Bahamas e spostata a Jersey. Nel 2010 Edoarda e Camilla l’hanno svuotata, con un atto ora dichiarato illegittimo, a vantaggio di un altro trust segreto tutto loro.
La sentenza conferma, inoltre, che
Camillo Crociani e le sue eredi hanno accumulato quadri preziosissimi: per il giudice «valgono 445 milioni di dollari». La sentenza trascrive la testimonianza di Cristiana su una spartizione: «Mia madre era stesa sul letto, con una lista. Diceva: «Gli Chagall comprati da vostro padre: uno a te, l’altro a Camilla. Giacomo Balla. Léger: a Cristiana. Van Gogh, Gauguin, Cézanne, Renoir: a Camilla...». Da un atto riservato all’altro, i Paradise Papers svelano tutta l’ubriacante catena di controllo della Vitrociset: sopra la controllante italiana (Ciset), c’è una società olandese (Croci International Bv), che fa capo a una offshore delle Antille (Croci Holding Bv di Curaçao), a sua volta posseduta da una holding lussemburghese (Allimac Management Sarl, con il nome rovesciato di Camilla), che dipende da un’altra entità delle Antille (International Future Ventures & Investments Nv). Quest’ultima offshore, che è in cima a tutto il gruppo, è totalmente anonima: nei registri di Curaçao non ci sono i nomi dei proprietari. Il padrone di tutto l’impero è l’ignoto titolare dell’unica azione della offshore. Valore nominale: un dollaro. Lo studio Appleby, allarmato, ha inserito Edoarda Crociani tra i clienti a rischio di riciclaggio: «Non vuole usare email e telefono, chiede di non far conoscere la provenienza dei fondi».
Alle domande inviate da L’Espresso e Report, Edoarda Crociani ha risposto, tramite l’avvocato Francesco Gianni, che l’importante è «conoscere il titolare effettivo, e non le società costituite da questi per controllare» Vitrociset. E «in un’ottica di massima trasparenza» aggiunge che la società italiana «è indirettamente controllata dalla famiglia Crociani». I Paradise Papers documentano però che, dal 2011, non è più la madre, ma Camilla con la sua Allimac ad averne il controllo, acquisito versando 44,9 milioni alle società estere di Edoarda. E la sentenza inglese aggiunge che da allora c’è «verosimilmente anche un altro investitore», rimasto misterioso. Ricontattato, l’avvocato Gianni conferma oggi a capo del gruppo c’è Camilla. E assicura che gli altri investitori, al plurale, sarebbero persone di fiducia che le hanno prestato i soldi.
Ma la famiglia Crociani non fa i nomi.
Conclusione: la Vitrociset appartiene a una offshore dei Caraibi con azionisti anonimi, che potrebbero cederla a chiunque, senza dover dichiarare nulla. Una situazione del tutto legale, nei paradisi fiscali, che però trasforma i super poteri di controllo dello Stato italiano su quella «società strategica» in una solenne presa in giro.