Savoini, ex portavoce di Salvini, cominciò il negoziato con i russi per sostenere il Carroccio nel luglio 2018. Ben prima della visita di ottobre scorso. Ecco i particolari sulla storia che il capo della Lega vuole nascondere

La trattativa per finanziare la Lega è partita molti mesi fa. È il 24 luglio scorso quando un’offerta commerciale arriva a una società petrolifera russa. A inviarla è Gianluca Savoini, l’uomo di Salvini a Mosca. Oggetto: la vendita di un quantitativo di gasolio. Nel documento si ipotizza già una consegna, «delivery», a settembre. L’azienda ha sede a Mosca, al 31 di Novinsky Boulevard. Un palazzo moderno di vetro e cemento rosso, che al quinto piano, nell’ufficio numero 1, ospita due società di proprietà dell’oligarca moscovita Konstantin Malofeev: Tsargrad, un’azienda editoriale, e Marshall Capital, il fondo d’investimento del miliardario russo. Classe 1974, laureato in legge, Malofeev ha iniziato la carriera lavorando per alcune banche russe, poi nel 2005 ha fondato la Marshall Capital, diventata oggi una delle principali società di investimento del Paese, con in passato quote importanti anche in società di Stato della Federazione come Rostelecom.

Il finanziere è un fedelissimo di Putin sospettato da Stati Uniti e Unione europea di aver finanziato la conquista della Crimea e la guerra nel Donbass, motivo per cui il Tesoro statunitense e il Consiglio d’Europa lo hanno inserito nella black list. È accusato anche di aver avuto un ruolo attivo nei rapporti finanziari tra il Cremlino e i francesi del Front National. Il fortino del suo impero si trova, appunto, al 31 di Novinsky Boulevard. Nello stesso interno - il numero 1, appunto, dove hanno sede le sue società - è registrata anche Avangard oil & gas. Impossibile conoscere il proprietario ufficiale: l’azienda non è registrata alla Camera di commercio russa. Inoltre, proprio nei giorni in cui finivamo di scrivere, il sito dell’azienda è stato bloccato: in manutenzione. La Avangard oil & gas è però la società che riceve l’offerta di Savoini, l’emissario di Salvini in terra russa. Un’offerta inviata il 24 luglio al direttore generale della Avangard, Alexey Mustafinov. Il dettaglio documenta l’intraprendenza di Savoini lontano dall’Italia. E si aggiunge alle rivelazioni dell’inchiesta giornalistica sulla trattativa per finanziare la Lega che disturba il sonno del vicepremier e ministro dell’Interno, Matteo Salvini.

Lo preoccupa perché Gianluca Savoini è il regista della trattativa iniziata molti mesi fa, e che il 18 ottobre scorso ha raggiunto il suo apice nella riunione al Metropol di Mosca, un elegante hotel a cinque stelle situato a pochi passi dal teatro Bolshoi e della piazza Rossa. Savoini è uno degli uomini più vicini al vicepremier e ministro leghista. È stato suo portavoce, gode della massima stima, non a caso i russi lo considerano “il consigliere” di Salvini, nonostante non ricopra alcun ruolo ufficiale. Mosca è la sua seconda casa, tant’è che nel 2016 ha fondato lì anche una società, la Orion Lcc, che si occupa di consulenze. Suo socio nella Orion è Claudio D’Amico. Assessore leghista a Sesto San Giovanni, fondatore (con Savoini) dell’associazione Lombardia-Russia. Da qualche mese è stato chiamato a palazzo Chigi come “consigliere strategico” del vicepremier Salvini.

È a partire dal luglio del 2018 che abbiamo collezionato tracce e documenti sulla strategia messa in atto da Savoini per gestire la delicata partita del finanziamento camuffato da compravendita di gasolio. Lo stesso affare che l’ex portavoce di Salvini stava trattando tre mesi dopo, il 18 ottobre 2018, il giorno della riunione all’hotel Metropol di Mosca. Savoini era presente. Lo abbiamo visto e fotografato insieme a un altro italiano, un uomo di mezza età dall’accento toscano e la barba lunga, chiamato Francesco. È lo stesso misterioso personaggio che compare in una foto, pubblicata il 19 ottobre da “La Stampa”, in compagnia di Savoini e di Aleksandr Dugin, filosofo molto apprezzato da Putin, mente del movimento euroasiatico e riferimento dei sovranisti europei. Il gruppetto è stato immortalato davanti al teatro Bolshoi. A cinquanta metri dal Metropol, l’hotel della trattativa del 18 ottobre. Quella mattina, intorno alle 9, ritroviamo Savoini e l’uomo dall’accento toscano seduti nella sala-colazioni dell’albergo. Dopo una mezz’ora i due raggiungono la hall, dove ad aspettarli ci sono tre russi e un terzo italiano, un uomo con gli occhiali, per tutti i presenti «l’avvocato». È Savoini a fare gli onori di casa, è lui a parlare per primo. Tutto in inglese. «La nuova Europa dev’essere vicina alla Russia», sono state le sue parole, «non dobbiamo più dipendere dalle decisioni di illuminati a Bruxelles o in Usa. Vogliamo cambiare l’Europa insieme ai nostri alleati come Heinz-Christian Strache in Austria, Alternative für Deutschland in Germania, la signora Le Pen in Francia, Orbán in Ungheria, Sverigedemokraterna in Svezia». Un normale discorso politico, non fosse che subito dopo Savoini introduce un’altra questione, poco teorica e molto pratica: «Adesso lascio la parola ai nostri partner tecnici per continuare la discussione», dice. «Nostri partner tecnici», è l’espressione utilizzata da Savoini. Da quel momento in poi, gli altri due italiani presenti all’incontro iniziano a parlare della fornitura di gasolio ai russi. I russi al tavolo sono tre: uno di questi - l’unico che abbiamo identificato con certezza - è Ilia Yakunin, manager moscovita legato all’avvocato Vladimir Pligin.

Nello studio di Pligin la sera prima era avvenuto l’incontro tra Salvini e Dmitry Kozak, poi proseguito a cena. È il meeting del 17 ottobre mai smentito dal vicepremier italiano. Salvini si trovava a Mosca perché ospite al convegno organizzato in suo onore da Confindustria Russia presso il Lotte Hotel. Tra la fine di questo evento e la ripartenza del ministro verso l’Italia c’è però un buco di 12 ore. Mezza giornata di silenzio, senza incontri ufficiali in agenda. Una stranezza per Salvini, sempre pronto a fornire sui social network dettagli sulla sua vita pubblica e privata. Cosa ha fatto, dunque, in quel lasso di tempo il capo del Carroccio?

Come abbiamo già scritto, Salvini ha incontrato il vicepremier del Cremlino Dmitry Kozak, che ha la delega agli affari energetici. Il 16 gennaio, mentre lavoravamo all’inchiesta per il giornale e per il “Libro Nero della Lega”, Salvini ha ricevuto le nostre domande ai suoi due indirizzi mail, quello personale e quello del Senato. «Lei è stato a Mosca il 17 ottobre 2018, in occasione del convegno organizzato da Confindustria Russia al Lotte Hotel», gli abbiamo scritto: «Sappiamo che la sera stessa, dopo la conferenza stampa, ha incontrato il vicepremier russo, Dmitry Kozak, nell’ufficio di Mosca dell’avvocato Vladimir Pligin. Perché non ha comunicato pubblicamente la sua presenza a questo incontro? Di cosa ha parlato con il suo omologo russo Kozak?» La nostra richiesta di commento è rimasta inevasa. Oltre un mese dopo, il 25 febbraio scorso, quando ormai la notizia aveva già fatto il giro del mondo, il ministro e capo della Lega non ha trovato il modo di smentire quell’incontro con Kozak.

Alla domanda rivoltagli da Marco Damilano in diretta tv su La7, il vicepremier italiano ha risposto: «Non ricordo, ma se fosse successo, lo riterrei legittimo e doveroso». Perché è così importante quell’incontro con Kozak? È importante perché non è stato reso pubblico, e un ministro avrebbe il dovere della trasparenza e della verità. Ma è importante anche per ciò che è accaduto il giorno successivo.

Ritorniamo così al 18 ottobre, Hotel Metropol. Dopo l’introduzione politica di Savoini, che lascia la parola ai «nostri partner tecnici», inizia la discussione in cui vengono esplicitati i termini dell’affare. Termini economici e politici. A vendere il gasolio sarebbe una compagnia di Stato russa. Rosneft, dicono i russi. A comprare sarebbe Eni, dicono gli italiani. Si parla di grandi quantitativi. I russi propongono 3 milioni di tonnellate di diesel da consegnare in 6 mesi o un anno. L’avvocato italiano dice che non c’è problema: assicura che Eni ha le capacità per comprarne anche di più all’occorrenza. Il diesel verrà venduto dalla major russa con uno sconto minimo del 4 per cento sul prezzo Platts, il principale riferimento del settore. In quel 4 per cento di sconto sarebbe il finanziamento per la Lega. Dopo una mezz’ora di discussione, l’avvocato italiano dice ai russi: «Il piano fatto dai nostri “political guys” è semplice. Dato lo sconto del 4 per cento, sono 250 mila al mese, per un anno. Così loro possono sostenere una campagna». E ancora: «Questa è solo una questione politica, vogliamo finanziare la campagna elettorale, e questo è positivo per tutte e due le parti». Savoini era presente quando venivano dette queste cose, lo abbiamo visto con i nostri occhi. E non si è dissociato dalle affermazioni dell’avvocato. Anzi, ha aggiunto poco dopo di aver parlato «ieri con Aleksandr, e che secondo lui io rappresento la connessione totale, sia da parte italiana politica che da parte loro».

Chi è Aleksandr? Si tratta di Dugin, il filosofo conservatore teorico dell’Eurasia, presidente onorario dell’associazione Piemonte-Russia? Di certo Gianluca Savoini, l’uomo che si è descritto lo scorso luglio a Il Foglio come colui che «coordina gli incontri di Matteo Salvini con gli ambienti russi», stava trattando una partita di gasolio del tipo Ulsd (ultra low-sulfur diesel) da vendere a Eni. Una compravendita dietro la quale, abbiamo spiegato nei dettagli citando le parole precise del summit del Metropol, Savoini puntava a ottenere il finanziamento per la Lega. E questo, lo precisiamo ancora una volta, non lo diciamo noi ma i protagonisti della vicenda, gli italiani e i russi seduti nella hall del Metropol di Mosca. Questo è ciò di cui abbiamo prova. E questo nessuno ha smentito. Non abbiamo parlato di bonifici, di versamenti effettuati né di soldi già incassati, come ha fatto intendere Salvini nelle sue dichiarazioni alla stampa. Non lo abbiamo fatto perché non sappiamo come sia andata a finire la trattativa. Ma sappiamo che una trattativa c’è stata, ed è il punto politicamente rilevante. Perché un esponente della Lega, un partito nazionalista, ha trattato con dei russi per far arrivare milioni di euro al suo partito? Qual era la contropartita? Per conto di chi parlava Savoini? In questi giorni Salvini ha detto che «Savoini è una persona che conosco da vent’anni, ma a nome mio parlo io». Insomma, il vicepremier lascia intendere che lui non sapeva niente della trattativa, che è stata un’iniziativa autonoma di Savoini.

Dopo l’uscita del nostro articolo, la settimana scorsa, abbiamo ricevuto due richieste di rettifica da parte di Eni e Rosneft. Eni ha voluto precisare «di non aver preso parte in alcun modo a operazioni volte al finanziamento di partiti politici. Peraltro», ha aggiunto la società, «si tratta di un’operazione di fornitura che non è mai avvenuta». Come abbiamo già detto più volte, non abbiamo mai scritto che la fornitura di diesel sia avvenuta, ma che è stata negoziata. Eni garantisce di non aver mai preso parte ad alcuna operazione del genere. Ne prendiamo atto, ma ricordiamo che a fare il nome della compagnia di Stato italiana non siamo stati noi, bensì i presenti al meeting del 18 ottobre all’Hotel Metropol. Rosneft ci ha invece scritto che «tutte le informazioni relative a Rosneft Pjsc sono una menzogna, non corrispondono alla realtà». Ribadiamo che il nome di Rosneft è stato fatto, in relazione alla compravendita di gasolio finalizzata a finanziare la Lega, dal manager russo Yakunin e dagli altri presenti a quel tavolo. Le due società petrolifere dovrebbero dunque rivolgersi agli attori della trattativa, primi fra tutti Savoini e Yakunin. E lo stesso vale per il Cremlino che - attraverso il portavoce Dmitry Peskov - ci ha chiesto dove abbiamo ottenuto le informazioni e quali fonti abbiamo usato. Abbiamo la legge dalla nostra parte: in Italia l’identità delle fonti va protetta e tutelata. Non riveleremo certo nomi al Cremlino di Vladimir Putin. Ma abbiamo tutte le prove per dimostrare quello che abbiamo scritto.

E Savoini? Nemmeno lui è entrato nel merito della vicenda. Ma è significativo che invece di rispondere scrivendo all’Espresso abbia preferito affidare il suo pensiero a Sputnik, giornale online controllato dal Cremlino. «Non ho nulla da dire riguardo alle accuse e alla ricostruzione inventata degli eventi, di cui mi sento libero di parlare con i miei avvocati. Posso solo dire che non ho partecipato a nessuna trattativa e non ho mai ricevuto un singolo rublo né da Mosca né da nessun altro», ha riportato la testata russa. Eppure Savoini era all’Hotel Metropol, il 18 ottobre, a negoziare un finanziamento milionario per la Lega.

Invece di chiederci di rivelare chi ci ha fornito le informazioni e di affermare di non aver partecipato a nessuna trattativa, Savoini potrebbe spiegare al governo russo, a Rosneft e a Eni cosa ci faceva la mattina del 18 ottobre al Metropol di Mosca, chi erano le altre persone presenti al tavolo, perché stavano parlando di un piano per finanziare la Lega e come mai ha intrattenuto rapporti commerciali con Avangard Oil, l’azienda che condivide gli uffici con le società dell’oligarca Malofeev.