Il colosso spagnolo Santander, l’olandese Rabobank, ma anche istituti del nostro Paese: dalla Ue un fiume di soldi per i produttori di soia, carne e olio di palma sotto accusa per gli incendi delle foreste brasiliane. La nuova inchiesta de L’Espresso con Disclose e altre testate internazionali

L'Amazzonia brucia, con soldi europei. Gli incendi che da anni continuano a distruggere le foreste primordiali del Brasile, il polmone verde del pianeta, sono collegati allo sfruttamento del suolo per attività agricole: quasi tutti i roghi sono dolosi, il fuoco è l'arma che permette di conquistare nuove estensioni di terreni per i grandi allevamenti di bestiame e per le coltivazioni intensive di soia e olio di palma. I tre settori portanti dell'agricoltura brasiliana, che sono alla base di moltissimi prodotti alimentari acquistati ogni giorno nei negozi e supermercati dai consumatori di tutto il mondo, compresa l'Italia.

 

Questa inchiesta giornalistica internazionale, realizzata da L'Espresso in collaborazione con Disclose e altre testate europee, ha ricostruito l'intera catena economica che lega gli incendi in Amazzonia con il cibo che arriva sulle nostre tavole. Un lavoro giornalistico che permette di quantificare, per la prima volta, i finanziamenti concessi da banche e società finanziarie dell'Unione europea, negli ultimi dieci anni, a imprese agricole e industrie alimentari che sono state accusate pubblicamente, nello stesso periodo, di aver commerciato soia, olio di palma o carne provenienti dalle fattorie brasiliane incriminate o denunciate per aver provocato gli incendi più gravi. La cifra totale è impressionante: oltre 17 miliardi e mezzo di euro.

 

Alla base dell'inchiesta c'è un elenco di oltre 300 aziende agroalimentari che risultano coinvolte nella deforestazione delle aree più verdi del Brasile, in particolare nel Mato Grosso e nel Cerrado. Ad attestarlo sono rapporti ufficiali delle autorità di controllo, magistratura, forze di polizia dello stesso Brasile, oppure studi e ricerche delle maggiori organizzazioni mondiali di tutela dell'ambiente, da Global Witness a Greenpeace, dal Wwf a Earthsight. Questi dati sulle società agricole ad alto rischio sono stati incrociati con le cifre sui finanziamenti di vario tipo (prestiti, emissioni di obbligazioni, investimenti azionari) diffuse dalle banche internazionali e dalle grandi agenzie d'informazione economica, che sono state raccolte e rese pubbliche dall’organizzazione non governativa Forest and Finance. In questo modo i ricercatori e redattori di Disclose, un'organizzazione giornalistica indipendente con base in Francia, hanno potuto identificare e registrare più di 12 mila operazioni con il Brasile, realizzate dal gennaio 2013 al settembre 2022, che coinvolgono una costellazione di 230 banche o società finanziarie di 16 Paesi dell'Unione europea. Il risultato finale è quella cifra-shock, 17 miliardi e 516 milioni di euro: fiumi di soldi versati da rinomate istituzioni creditizie europee per finanziarie imprese agroalimentari accusate di bruciare l'Amazzonia.

Negli ultimi quattro anni, con il governo di destra guidato dal presidente uscente Jair Bolsonaro, in carica dal 2019 (che il prossimo primo gennaio dovrà cedere il posto al leader rieletto della sinistra Ignacio Lula da Silva), la deforestazione ha raggiunto i livelli più alti della storia brasiliana. Nei primi sette mesi del 2022, secondo gli studi più recenti, le aree devastate dagli incendi hanno superato il 26 per cento della superficie totale dell'Amazzonia, oltrepassando quella soglia che secondo le organizzazioni internazionali segna «il punto di non ritorno»: un disastro definitivo, irreparabile, per l'intero pianeta soffocato dall'inquinamento. Ciò nonostante, molte banche e società dell'Unione europea, che a parole dichiarano di proteggere l'ambiente e la sostenibilità ecologica, hanno continuato a finanziare le aziende che commerciano soia, olio di palma, carne e mangimi, che risultano prodotti in fattorie brasiliane accusate di bruciare le foreste.

 

In vetta alla classifica dei Paesi europei più coinvolti c'è la Spagna, con finanziamenti bancari accertati per oltre 8,7 miliardi di euro, che precede l'Olanda, con altri 7,2 miliardi. Seguono la Francia, con 773 milioni, e la Germania, con 549. L'Italia è al quinto posto, con 77 milioni di euro prestati dalle maggiori banche nazionali a diverse aziende agricole brasiliane denunciate o condannate per gravi casi di deforestazione. Le banche europee più compromesse sono il colosso spagnolo Santander, con finanziamenti per 8,6 miliardi, e l'olandese Rabobank, con 5,1 miliardi.

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All'origine di questa inchiesta giornalistica c'è un articolo di un giornale brasiliano, il primo a fare luce su una serie di roghi dolosi concatenati, che tra luglio e  agosto del 2020 hanno incenerito ben 116 mila ettari di foreste nel Mato Grosso. I giornalisti di Repórter Brasil hanno dimostrato, utilizzando le fotografie satellitari della Nasa (l'ente spaziale americano) analizzate dall'Istituto Centro de Vida, che quegli incendi giganteschi erano partiti da cinque proprietà private. Tra cui spiccano due grandi fattorie, che producono soia e carne per un colosso agroalimentare brasiliano. La nuova inchiesta ora allarga il quadro all'intero pianeta.

 

La massa dei dati raccolti da Disclose, una testata giornalistica che vive di donazioni e ha lo status giuridico di organizzazione non governativa senza fini di lucro, collegano la deforestazione dell'Amazzonia e del Cerrado a molte delle società agro-alimentari più ricche e potenti del mondo: da Archer Daniels Midland (Adm), il colosso americano della soia con base a Chicago, ad altre multinazionali come Jbs, Cargill, Bunge e Marfrig; dai gruppi brasiliani Minerva e Amaggi al gigante cinese Cofco. I dati sulle singole aziende vengono pubblicati da oggi, in simultanea con L'Espresso e altre testate europee, sul sito di Disclose.

 

Gran parte delle aziende occidentali della soia, carne e olio di palma, come tutte le grandi banche dell’Unione europea, dichiarano e pubblicizzano da anni di rispettare l'ambiente e di adottare politiche rigorose di selezione e controllo dei fornitori e dei clienti, per evitare qualsiasi rapporto con le fattorie brasiliane che bruciano le foreste dell'Amazzonia e del Cerrado. Superati diversi scandali del passato, oggi anche i maggiori colossi agroalimentari dichiarano di vendere, almeno in Italia, solo prodotti di riconosciuta sostenibilità ecologica, con tanto di certificazioni verdi.

 

La loro posizione è legalmente inattaccabile, sulla carta. Il problema, evidenziato da questa inchiesta giornalistica internazionale, è che la filiera produttiva è molto lunga, è composta da moltissime aziende diverse, che gestiscono un solo segmento agricolo o commerciale, senza che nessuna autorità indipendente controlli l'intero processo dall'inizio alla fine, dalle campagne brasiliane fino alle case delle famiglie europee. E così il sistema va avanti, a compartimenti stagni: la banca europea finanzia la multinazionale, che compra dal gruppo brasiliano o cinese, che a sua volta si rifornisce dalla piccola fattoria dell'Amazzonia. Che è l'unica coinvolta direttamente negli incendi. In questo modo i colossi della carne, soia e olio di palma risultano estranei alla deforestazione, perpetrata dalla singola azienda fornitrice che è l’ultima ruota del carro: almeno in base alle leggi in vigore, oggi i più ricchi sono tutti innocenti.

Per eliminare l’alibi della filiera lunga, l’Unione europea progetta di varare una nuova direttiva più stringente sui controlli agroalimentari. Il Parlamento europeo ha già approvato un testo, che però deve ancora entrare in vigore. Le lobby dell’agroindustria stanno facendo pressioni per limitare o annullare gli obblighi che dovrebbero entrare in vigore alla fine del 2023. Intanto il riscaldamento climatico provoca disastri sempre più gravi. E le foreste dell’Amazzonia continuano a bruciare.