Inchiesta

Così il ministero di Dario Franceschini ostacola l'energia pulita

di Gloria Riva   12 luglio 2022

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Solo un progetto eolico su cinque in Italia vede la luce: gli altri si scontrano con la burocrazia, con le proteste della cittadinanza o con gli stop delle Soprintendenze che rispondono al dicastero della Cultura. E la transizione verde si allontana

Quest’anno ogni famiglia spenderà 2.757 euro in più per elettricità e gas. A stimarlo è l’Arera, autorità per l’energia, che calcola un aumento di 1.061 euro (più 91 per cento) per la bolletta elettrica e 1.696 euro (più 70,7 per cento) per quella del gas fra ottobre 2021 e settembre di quest’anno. Nonostante i 30 miliardi di euro stanziati dal Governo, tre dei quali deliberati la settimana scorsa nell’ultimo decreto per azzerare ulteriori aumenti, gli extra costi a carico di famiglie e imprese sono considerevoli e continueranno ad esserlo, poiché all’orizzonte non si percepiscono inversioni di tendenza.

I primi a toccare con mano l’emergenza sono i servizi sociali dei comuni e i rispettivi sindaci a cui si rivolgono le famiglie in povertà per chiedere l’accesso ai bonus energetici, cioè agli sgravi che il governo destina a chi ha un reddito famigliare inferiore ai 12mila euro. Secondo la società Rse, Ricerca sul Sistema Energetico, il fenomeno della povertà energetica interessa il 14 per cento delle famiglie, cinque punti percentuali in più rispetto al 2019. Ecco perché le amministrazioni locali si stanno dando da fare per trovare un’alternativa concreta al metano in generale, e a quello russo in particolare. La soluzione sono le comunità energetiche e la creazione di impianti eolici, promossi da sindaci e cittadini - ma anche dalle utilities, dalle aziende, dalle ong e dalle associazioni come Legambiente -, ma bocciati dai palazzi romani, che hanno altri ritmi, altre priorità.

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Il caso emblematico è l’impianto eolico Monte Giogo di Villore sull’Appennino tosco-emiliano. L’iter parte a ottobre 2019 quando la multiutility Agsm Aim di Verona, società che intende realizzare sette pale eoliche nel Mugello, presenta il progetto a comuni e cittadini e ottiene il loro consenso. Poi si dirige spedita sull’amministrazione regionale toscana e ottiene il via libera dopo due anni e mezzo: ottenere l’autorizzazione di impatto ambientale e quella unica significa passano attraverso i pareri di 59 enti, sintetizzati dalla Conferenza dei Servizi. Si aggiunge anche un’inchiesta pubblica, ovvero quaranta ore di dibattito per valutare l’opinione di cinque comitati contrari alla realizzazione dell’impianto. Alla fine la Conferenza dei servizi stabilisce che la transizione energetica è prioritaria rispetto alle obiezioni mosse da alcuni enti e, il 7 febbraio 2022, la giunta regionale rilascia l’autorizzazione. Ma i lavori non partono. Perché? Perché la Soprintendenza archeologica, belle arti e paesaggio - che già all’interno della Conferenza dei Servizi aveva espresso parere negativo e aveva richiesto (e ottenuto) svariate modifiche al progetto -, tramite il ministero della Cultura, guidato da Dario Franceschini, muove opposizione alla presidenza del Consiglio. La motivazione è che per realizzare l’opera è necessario abbattere parte del bosco.

Un’obiezione che la giunta regionale aveva già respinto, ritenendo più importante la riduzione dell’inquinamento e della bolletta: «Per il paese questo impianto eolico vale 16 milioni di metri cubi di gas risparmiato all’anno, ovvero ai prezzi attuali 20 milioni di euro in meno in bolletta. Le sette pale eoliche produrranno 80milioni di chilowattora l’anno, che corrispondono al consumo energetico privato di una famiglia per 25mila anni e consentono un risparmio di anidride carbonica (quindi una riduzione dell’effetto serra) pari a 40mila tonnellate. Ma questo ritardo burocratico farà slittare i lavori all’estate del 2024», racconta Marco Giusti, direttore ingegneria e ricerca della multiutility Agsm Aim di Verona.

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Il progetto resta in attesa di essere discusso dal consigli dei Ministri e nonostante l’appello di ambientalisti e deputati - l’ultimo è l’interrogazione della parlamentare Rossella Muroni, ex presidente di Legambiente, che fa notare come la priorità sia abbattere il riscaldamento globale e ridurre il consumo di fonti fossili - la posizione di Franceschini resta granitica, più per questioni politiche che ideologiche. Va anche detto che solo un parco eolico su cinque vede la luce, gli altri sono impallinati dalla Soprintendenza o osteggiati dalla cittadinanza. Tant’è che alla presidenza del Consiglio sono fermi, in via di autorizzazione dal governo, dieci impianti.

«Bisogna fare presto», incalza Vittorio Cogliati Dezza, della segreteria di Legambiente e coordinatore del Forum Disuguaglianze e Diversità: «È necessario accelerare nell’installazione di nuovi impianti rinnovabili, perché se proseguissimo alla velocità degli ultimi tre anni ci vorrebbero 124 anni per raggiungere gli obiettivi europei». Cogliati Dezza se la prende con i passi troppo timidi mossi dal ministero della Transizione Ecologica e invita a non dimenticare il territorio: «Semplificare e alleggerire gli adempimenti burocratici è necessario, ma non sufficiente. Serve il coinvolgimento della popolazione, perché il commissariamento delle opere rischia di essere il vero collo di bottiglia della transizione. Inoltre se la comunità è soddisfatta delle soluzioni ingegneristiche, allora il progetto ha più probabilità di essere realizzato».

Il dinamismo dei territori si percepisce anche sul fronte delle comunità energetiche, cioè un insieme di persone che condividono l’energia rinnovabile e pulita, prodotta sui tetti delle abitazioni o degli edifici pubblici e scambiata tra pari (vedi articolo a pagina 54). A Varese il comune realizzerà la prima comunità energetica cittadina attraverso un impianto fotovoltaico installato sul tetto della scuola Giuseppe Garibaldi, che darà energia anche alle abitazioni limitrofe: «Avvieremo un censimento per capire quante famiglie sono interessate a partecipare alla comunità energetica così da coinvolgere chi è più in difficoltà», racconta Dino De Simone, consigliere comunale con delega al piano Energia e clima.

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Secondo l’Osservatorio Povertà Energetica, il bonus energia per abbattere gli aumenti in bolletta raggiunge solo il 40 per cento delle famiglie in difficoltà e per questo il comune di Varese sta studiano una soluzione strutturale, che coinvolga tutti: «Pensiamo alla creazione di impianti a biomassa nell’area montagnosa, mentre in città promuoveremo la nascita di comunità energetiche per abbattere la bolletta del 30 per cento. La prima comunità nascerà sul tetto della scuola e daremo la possibilità ai cittadini di aderirvi. Apriremo poi la comunità energetica a istituti ed enti locali, alla parrocchia, alla casa di riposo, alle imprese che potranno partecipare all’iniziativa mettendo a disposizione il proprio tetto o acquistando energia. Inoltre stiamo predisponendo una mappatura dei tetti comunali e dei parcheggi pubblici (che potrebbero essere coperti da pannelli) per poi metterli a disposizione di aziende, cooperative, cittadini e associazioni interessate a posizionare lì i propri pannelli solari e aderire così alla comunità energetica cittadina».

Tuttavia il progetto non decollerà fino all’autunno, quando - si spera - il ministero della Transizione Ecologica e Arera, l’autorità per l’energia, pubblicheranno i decreti attuativi alla legge sulle comunità energetiche, che è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale a dicembre 2021. Insomma, quasi un anno di attesa per mettere a terra una norma di cui c’è estremo bisogno. Si stima infatti che le comunità energetiche attualmente attive siano una ventina, mentre ce ne sono altre 80 in attesa dei decreti attuativi per partire: «Il decreto milleproroghe del 2020 aveva dato il via libera alla sperimentazione delle comunità energetiche, che tuttavia hanno dei difetti. Ad esempio, la comunità può produrre al massimo 200kw e non è chiaro chi possa farne parte (ad esempio sono escluse associazioni, aziende, fondazioni, Università). Inoltre è possibile aderire solo se si fa parte di una stessa cabina primaria di alta tensione, quindi un’area piuttosto ristretta», spiega Edoardo Zanchini, già vicepresidente di Legambiente e oggi capo dell’Ufficio Clima di Roma, che continua: «Con la nuova legge sarà possibile arrivare a un megawattora di potenza ed estendere la comunità a più enti, oltre a poter cedere l’energia dalla cabina primaria a quella secondaria».

Quindi i comuni restano in attesa che la legge si concretizzi per godere delle migliorie introdotte: «C’è molto malcontento per questo ritardo. A Roma, in attesa dei decreti, stiamo lanciando un percorso partecipato e solidale di lotta alla povertà energetica: una mappatura di tutti gli edifici pubblici e un censimento delle famiglie che più hanno bisogno di un sostegno contro il caro energia. A settembre creeremo comunità energetiche nella prima fascia della città, quella attorno al centro storico, perché ha meno vincoli paesaggistici, e installeremo i pannelli fotovoltaici sulle scuole (che a Roma sono 1.200) e poi sugli altri edifici pubblici. L’obiettivo è distribuire l’energia prodotta in modo equo, cioè coinvolgendo le famiglie più in difficoltà che finora sono rimaste escluse dai percorsi di transizione energetica che, essendo costosi, sono ad appannaggio di famiglie a medio e alto reddito».

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Anche le industrie hanno fretta di ridurre i costi in bolletta ed è così che in Brianza alcune piccole e medie imprese si stanno riunendo in comunità energetiche, sperimentando anche la condivisione dei tetti attraverso la cooperativa éNostra: «È uno dei tanti progetti che sta per partire. C’è molto interesse per l’energia sostenibile, molto dinamismo, ma tutto è bloccato dalla mancanza di delibere del governo». E così le grandi imprese che hanno la potenza economica per muoversi indipendentemente cominciano a prodursi l’energia da sé. È il caso dell’acciaieria Feralpi di Brescia: ha investito 116 milioni di euro per un parco fotovoltaico diffuso fra Sardegna, Sicilia, Lazio e Puglia capace di generare 118 megawatt, sufficienti a coprire il 20 per cento del fabbisogno energetico dell’acciaieria. «Feralpi è un’acciaieria, ma vista la situazione straordinaria in cui viviamo, siamo costretti a fare un mestiere che non è il nostro, ovvero produrci l’energia a costi competitivi rispetto a quanto offre il mercato visto che, con l’ulteriore taglio del gas dalla Russia, i costi in bolletta sono ulteriormente aumenti e questo zavorra i nostri bilanci aziendali al punto che non abbiamo una precisa prospettiva di quanto potrebbe incidere il caro bolletta sui prodotti finiti», racconta Giuseppe Pasini, presidente di Feralpi, che continua: «Da qui la decisione di puntare direttamente sulla produzione di energia, ma anche sull’acquisto di energia a medio e lungo termine, così da assicurarci costi certi per i prossimi dieci anni».