INCHIESTA

Ieri a Mosca, oggi in lista: le ombre russe sui candidati del centrodestra

di Vittorio Malagutti e Carlo Tecce   16 settembre 2022

  • linkedintwitterfacebook

La conferenza di Tremonti, ora con Fratelli d’Italia, all’università del Cremlino. Forza Italia punta su Valentini, l’assistente di Berlusconi nelle visite a Putin. E cerca un seggio in Parlamento anche il sovranista Valditara, già sodale di Savoini, l’uomo al centro dell’indagine sui finanziamenti illegali alla Lega

La variabile putiniana ha falcidiato le liste. In ossequio all’alleanza atlantica Nato, ben lieti di recuperare qualche poltrona in tempi di carestia e di riduzioni parlamentari, i partiti hanno epurato appassionati, frequentatori, estimatori del regime di Mosca. Nessun perdono. Quasi. Nel centrodestra distribuito in luoghi distinti, però, resiste un terzetto di candidati che, con gradazioni, pensieri, trascorsi diversi, ha disposto di buoni (o buonissimi) canali con la Russia, paria del mondo dopo l’invasione in Ucraina. Dal centro verso destra troviamo Valentino Valentini per Forza Italia, Giuseppe Valditara per la Lega, Giulio Tremonti per Fratelli d’Italia. Le tracce russe, nel manicheismo diplomatico di questo periodo, sono un bel guaio per una coalizione non compatta che di sicuro tenterà di formare un governo e lo farà giurando sul libro bianco degli investimenti in armamenti Nato e sui parametri di finanza pubblica dell’Unione europea.

Leadership al tramonto
Giravolte sulla Cina, figuracce istituzionali e il caso Capuano: così Matteo Salvini ha perso la Lega
10/6/2022

Per raccontare qualcosa di attuale su Valentini si può cominciare a dire che prima c’era un altro Valentini. Certamente, più riservato, più discreto e dunque più misterioso. Valentini proviene da Fininvest, caratteristica poliglotta (però ha confessato di non sapere il russo), definito interprete, assai riduttivo, usato in forma offensiva, consigliere per i temi internazionali di Berlusconi negli ultimi vent’anni, specialità missioni ufficiali e ufficiose in Russia. Valentini c’era sempre quando c’erano Silvio e l’amico Vlad, una cena di Stato, una cerimonia di insediamento, una gita a Soci, un tè in dacia, il Pinocchio in teatro dell’ex moglie di Putin, una riunione per il gas metano, una scampagnata ilare per distrarsi dalle beghe politiche. E pure quando Silvio non c’era, l’onorevole Valentini, è onorevole dal 2006, prendeva un aereo e volava a Mosca senza avvisare l’ambasciata. Non c’era bisogno di essere introdotti. Era talmente centrale nelle relazioni Roma-Mosca (cioè Silvio-Vlad) che nell’archivio di WikiLeaks ci sono ancora un paio di cablogrammi dell’ambasciata americana in Italia che lo descrivono con una certa severità di giudizio come l’emissario di B. in Russia. Tra l’altro era la stagione che ha stretto - ora è un cappio - il legame di dipendenza energetica di Roma verso Mosca.

Oggi Valentini parla di più, è in campagna elettorale, e ogni volta condanna senza esitazioni la Russia, rimarca le posizioni di lealtà assoluta alla Nato, difende le sanzioni europee contro Mosca, che sia in aula alla Camera, in un comizio di piazza, in una intervista televisiva: «Affermare che il flusso di gas riprenderà quando saranno rimosse le sanzioni è - ha dichiarato di recente - una ritorsione dei russi. Non si deve cedere». Valentini non rinnega passato, strategie, amici e spiega che il dialogo è necessario per costruire la pace. In questo turno è candidato al proporzionale di Bologna. Possibilità di elezione diretta: vicina allo zero. Deve aspettare che la diabolica legge elettorale faccia scattare il suo seggio perché magari se ne libera uno a Reggio Calabria o dalle parti di Trieste. Non è usuale per il capo del dipartimento esteri di un partito. Il sospetto è che qualcuno in Forza Italia abbia approfittato del Valentini versione 1 per scippare la poltrona al Valentini versione 2. Dasvidania.

[[(gele.Finegil.StandardArticle2014v1) ABBATE_37]]

Invece Giulio Tremonti è cambiato troppe volte, o meglio ha cambiato troppe volte partiti, per sancire quale sia il Tremonti corrente. Non ha contatti privilegiati con le cancellerie europee e chissà se gli americani ne auspicano un ritorno al governo oppure più prosaicamente lo temono. Di sicuro qualche fermezza in più e qualche titubanza in meno sulla guerra avrebbe aiutato. Era il 27 febbraio, l’invasione russa dell’Ucraina era cominciata da tre giorni e il destino di Kiev sembrava ormai segnato. Ospite di una trasmissione televisiva, Tremonti si è esibito con una veronica dinanzi a un quesito su Putin. La giornalista in studio gli aveva chiesto un’opinione sul capo del regime di Mosca. «Non è materia da discutere in questo modo», rispose l’ex ministro che tante volte ha incontrato il presidente russo nel decennio vissuto da titolare dell’Economia nei governi di Berlusconi.

Sfilata la scrivania da ministro che fu di Quintino Sella, all’indomani del ribaltone imposto a Roma dalla Banca centrale europea, Tremonti rientrò nel suo studio di commercialista riscoprendosi prolifico saggista e commentatore di grandi questioni economiche. Fu allora che la forza delle idee lo spinse nella nascitura Lega nazionale di Salvini, di cui condivideva le critiche all’Europa e alla globalizzazione fondata sui dollari di Washington. In quel periodo, la Russia di Putin diventò un punto di riferimento per molti intellettuali che dopo la Brexit e l’elezione di Trump si allenavano a guidare il nuovo mondo ricco di populismo. Nel maggio del 2017 a Milano ci fu un apposito convegno per discutere di “Sovranità e globalizzazione. Nuovi scenari geopolitici in Europa e negli Stati Uniti”. Una foto ritrae Tremonti, ospite d’onore del dibattito, vicino al moderatore Gianluca Savoini, all’epoca fiduciario di Salvini nei palazzi del regime putiniano a Mosca. Lo stesso Savoini, che un anno dopo verrà coinvolto nello scandalo della trattativa per i presunti finanziamenti di Mosca alla Lega. Allo stesso tavolo, a fianco di Tremonti, sedeva Giuseppe Valditara, un altro intellettuale del nuovo mondo del Carroccio.

A cinque anni di distanza da quel convegno molto, quasi tutto, è mutato in casa Lega. Per riprendere ciò che gli spetta almeno in Parlamento (sarebbe la settima volta), Tremonti ha scelto di candidarsi da indipendente alla Camera con Fratelli d’Italia. Valditara è ancora con Salvini e ormai ha i gradi di ideologo. Il suo ultimo saggio, pubblicato in perfetto sincrono con la scadenza elettorale, si presenta in copertina come “Il manifesto della Lega per cambiare il Paese”. Un libro che aspira a diventare un programma politico, una sintesi delle ambizioni di un partito che arranca nei sondaggi e deve fronteggiare la concorrenza di Fratelli d’Italia. 

Così, sui giornali, Valditara è diventato «l’ideologo di Salvini». Già, ma quale Salvini? Quello sovranista, no-euro e filorusso? Oppure la versione moderata e dialogante di questi mesi al governo con Draghi? Il giurista Valditara, ordinario di Diritto Romano all’università di Torino, ha il vezzo di raccontarsi come discepolo del politologo Gianfranco Miglio, la stella polare dei leghisti federalisti di Umberto Bossi. Nel 2001 ci fu la prima conversione: il leghista degli albori è approdato in Senato con Alleanza Nazionale, partito statalista e centralista. Rieletto per due volte, l’ultima sotto le insegne del Popolo della Libertà, Valditara seguì Gianfranco Fini nella fugace avventura di Futuro e Libertà, per poi ripararsi nel Carroccio. E allora ci fu la svolta nazionalista contro la moneta e le istituzioni europee sintetizzata nel saggio “Sovranismo, una speranza per la democrazia”, firmato da Valditara con postfazione di Marcello Foa, futuro presidente della Rai nominato dal governo gialloverde di grillini e leghisti. Un saggio, il primo della serie, in cui il giurista indica la rotta al partito che fu federalista. «Tra il mio saggio di allora e quello di oggi c’è continuità - spiega Valditara a L’Espresso - perché non ho mai inteso il sovranismo come nazionalismo, ma come sovranità popolare così come è citata nella nostra Costituzione, e di cui il federalismo e la massima espressione».

Un distinguo sottile, da giurista prestato alla politica. Sta di fatto che Valditara nel 2018 fa il suo ingresso in quota Lega al ministero dell’Istruzione con l’incarico di direttore del Dipartimento per la Formazione Superiore e la Ricerca. Il nuovo dirigente vuole lasciare il segno nella scuola italiana. Proprio come vent’anni prima, quando dai banchi del Parlamento, collaborò da relatore alla scrittura della riforma di Mariastella Gelmini. Un suo pallino sono le collaborazioni internazionali. Valditara ha viaggiato e ha conosciuto la corte accademica di Putin. A fine novembre del 2018, mentre era al ministero, la Financial University di Mosca, un’emanazione del governo, gli pagò una trasferta in Russia. Proprio in quei giorni, la stessa università organizzò il convegno per capire “Come entrare nelle prime cinque economie del mondo”. Un evento ai massimi livelli, con la lectio magistralis dell’economista francese, premio Nobel, Jean Tirole. Tutti russi, invece, i relatori al tavolo del dibattito, compresi molti esponenti del governo. Tra loro, un solo ospite straniero: Giulio Tremonti.