Sono passati cento giorni, ma nella nuova America di Donald Trump il tempo scorre con un ritmo diverso a seconda di chi lo misura. Per la cerchia dei fedelissimi, la sbornia della cerimonia di insediamento del 20 gennaio non è ancora passata; per i critici questi tre mesi tellurici – tra i più destabilizzanti della storia americana – pesano come anni. Trump ha firmato oltre centotrenta ordini esecutivi, espandendo come mai prima il potere governativo e sfidando quello giudiziario. Con il braccio forte del ministero della Giustizia, sono state disposte indagini contro i nemici politici e graziati i ribelli del 6 gennaio 2021. Contemporaneamente ha rivolto mire espansionistiche alla Groenlandia, al Canale di Panama, al Canada “cinquantunesimo Stato”, arrivando a cambiare unilateralmente la toponomastica con il Golfo del Messico rinominato Golfo d’America e proposto di trasformare Gaza nella «riviera del Medio Oriente». Ha lanciato una guerra commerciale anche contro gli alleati più stretti, attaccato la Nato, offeso l’Europa e tagliato gli aiuti internazionali: una politica isolazionista che per i detrattori rischia di cedere il passo alla leadership cinese. Servendosi del luogotenente Elon Musk si è prodigato a smantellare la pubblica amministrazione gettando nel panico, tra gli altri, i lavoratori preoccupati di perdere la previdenza sociale. Ha poi sfidato istituzioni, stampa libera e università. Un’attività frenetica –documentata a ogni ora del giorno e della notte sul suo Truth Social – che mira a fare il più possibile prima del giro di boa delle elezioni di metà mandato del 2026.
Un attentato alla democrazia secondo i progressisti che denunciano un’amministrazione indifferente persino all’autorità dei giudici, capace di arrestare studenti senza fornire capi di accusa precisi. La percezione è quella di un caos generale. «Sto facendo esattamente ciò su cui ho basato la mia campagna elettorale», ha detto a Time il 47esimo presidente, il primo pregiudicato a entrare nello Studio Ovale. Trump resta quello che aveva promesso di essere: è l’unico punto su cui sono d’accordo queste due Americhe, mai così distanti.
Gradimento in caduta libera
Un sondaggio curato dalla fedelissima Fox News fotografa un elettorato insofferente sulle questioni inflazione, carovita e dazi: solo il 38 per cento approva le politiche economiche. Meglio l’immigrazione, con il 55 per cento a favore del rafforzamento delle frontiere. In generale, il consenso si ferma al 44 per cento: l’indice di gradimento in questa fase è il più disastroso fra tutti i presidenti del dopoguerra.
Il caos dell’economia
Avrebbe dovuto inaugurare la nuova età dell’oro, ma questo inizio di mandato sembra non aver gonfiato i portafogli degli americani, con la fiducia dei consumatori in calo. Male pure i mercati, mentre gli investitori mostrano di non fidarsi. Sullo sfondo, la guerra commerciale contro numerosi Paesi e l’incertezza dovuta ad annunci e ripensamenti. Gran parte dei dazi reciproci del 2 aprile sono sospesi per consentire negoziati con le singole nazioni. Il braccio di ferro con Pechino ha portato le merci cinesi a essere tassate complessivamente del 145 per cento.
Quel Doge di Musk
Il Dipartimento per l’Efficienza del Governo viene chiamato “dipartimento”, ma non ne possiede lo status ed Elon Musk, che finora lo ha guidato diventando uno degli uomini più influenti, non è stato né eletto né sottoposto al vaglio del Senato. Con lo scopo di tagliare gli sprechi, è stato ridotto drasticamente il personale pubblico, creando in molti casi confusione e paralisi e sono state smantellate agenzie come l’Usaid, che si occupava degli aiuti internazionali. Il team di Musk ha avuto accesso a registri riservati, contenenti informazioni su milioni di dipendenti. A fine maggio scadrà il “mandato” e il proprietario di Tesla si defilerà, lavorando solo part-time alla riforma della macchina statale.

Caccia all’immigrato
Il pugno duro ha sortito effetti immediati: gli attraversamenti illegali delle frontiere sono diminuiti. L’amministrazione ha invocato l’Alien Enemies Act del 1798 per espellere i migranti. In base a questa legge marziale, centinaia di presunti membri di gang venezuelane sono stati portati in una prigione di El Salvador, violando un blocco del tribunale e in mancanza di giusto processo. Trump ha cercato di eliminare lo ius soli (anche in questo caso stop dei giudici perché “incostituzionale”), ma ha proposto la compravendita della cittadinanza per 5 milioni di dollari.
Lo scontro con i giudici
Decine di giudici statali e federali hanno paralizzato ordini esecutivi sull’immigrazione e i provvedimenti relativi al Doge. Trump attacca sistematicamente la magistratura, accusandola di essere politicizzata. In alcuni casi ha ignorato, aggirato o cercato di indebolire l’autorità dei tribunali, riemettendo gli ordini con piccole modifiche o appellandosi alla Corte Suprema, dove può contare su una maggioranza conservatrice. Lo scontro è arrivato al culmine con l’arresto da parte dell’Fbi di una giudice distrettuale di Milwaukee, accusata di ostruzione della giustizia per aver aiutato un immigrato.
Politica interna ed estera
Camera e Senato, a maggioranza repubblicana, per il momento hanno abdicato al ruolo di checks and balances, del bilanciamento dei poteri, allineandosi totalmente al presidente, che ha reso chiara l’intenzione di bypassarli. Lo dimostra il record di ordini esecutivi, lo comprova l’inerzia del Congresso dinanzi alle accettate del Doge. Sul fronte internazionale, Trump ha invece continuato a minare le basi della Nato, denigrando la storica alleanza transatlantica. Tra le promesse non mantenute quella di portare la pace a Gaza e in Ucraina già dal “primo giorno”. Donald ha mostrato aperture verso Mosca, mentre l’incontro con Zelensky nello Studio Ovale a febbraio resterà nella storia per la pubblica umiliazione inflitta all’ucraino. Seguendo l’agenda America First, il leader repubblicano ha anche chiuso la porta a diverse organizzazioni multilaterali, ritirato gli Usa dall’Oms e annullato la partecipazione all’accordo di Parigi sul clima.
Una squadra litigiosa
Gli scandali si rincorrono. Il ministro della Difesa Pete Hegseth è finito sotto accusa per aver violato i protocolli di sicurezza condividendo informazioni sensibili in due chat su Signal, mentre nella squadra economica sono esplosi scontri tra il ministro del Tesoro Scott Bessent, il consigliere Peter Navarro e Elon Musk. Le posizioni controverse sui vaccini del ministro Robert F. Kennedy Jr. continuano a suscitare forti preoccupazioni tra medici ed esperti, in un clima di tagli e licenziamenti.
La guerra a stampa e università
L’amministrazione ha cercato di smantellare il servizio pubblico e il destino della storica Voice of America è ora legato a un tribunale. Mentre la Casa Bianca ha allargato l’accesso ai media amici, l’agenzia di stampa Ap ha fatto causa all’amministrazione per essere stata esclusa da una parte degli eventi presidenziali e, nonostante il parere favorevole di un tribunale, non è stata ancora riammessa. Mantenendo la promessa elettorale, Trump sta poi colpendo con tagli sostanziali ai finanziamenti le istituzioni che promuovono la cosiddetta cultura woke e i diritti Lgbt. L’ultima a finire nel mirino è Harvard, definita una minaccia alla democrazia. Nel mirino ci sono anche le scuole definite “antisemite e di estrema sinistra”, per la gestione delle manifestazioni filopalestinesi. L’amministrazione aveva revocato i visti di centinaia di studenti stranieri, ma i tribunali anche in questo caso stanno annullando i provvedimenti.