Spionaggio

Protezione dei whistleblower? Tante promesse, pochi risultati

di Stefania Maurizi   12 novembre 2014

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Quattro anni dopo che i paesi del G20 si sono impegnati a proteggere chi denuncia crimini e abusi nel pubblico interesse, le leggi a protezione dei whistleblower rimangono del tutto assenti o inadeguate. Lo rivela il primo studio scientifico indipendente dell'università di Melbourne. Da cui l'Italia esce a pezzi

Rivelano corruzioni, abusi, crimini, pagando sistematicamente un prezzo altissimo in termini umani e professionali. Si chiamano “whistleblower”, gente che, lavorando per il governo o per un'azienda e scoprendo che questi fanno qualcosa di sporco, di profondamente contrario alle regole della legalità o comunque della civiltà, fa scattare l'allarme, denunciando pubblicamente, pur sapendo che andrà incontro a rappresaglia sicura. 

Il mondo si è accorto di loro per la prima volta in modo clamoroso nel 2010, con il caso WikiLeaks e Chelsea Manning, il soldato che ha passato all'organizzazione di Julian Assange centinaia di migliaia di file segreti che rivelano il vero volto delle guerre in Afghanistan e Iraq, di Guantanamo e della diplomazia americana, e che per questo è stato condannato a 35 anni di prigione. Manning e WikiLeaks sono whistleblower di altissimo profilo, che espongono i “massimi sistemi” del complesso militare-industriale più potente del mondo, ma in aggiunta a loro ci sono whistleblower di più basso profilo, che comunque hanno rivelato corruzioni e abusi nel pubblico interesse, facendo emergere scandali finanziari, danni ambientali, truffe alimentari, sempre pagando a caro prezzo le loro denunce. Con l'esplodere dello scandalo Nsa, rivelato da Edward Snowden, costretto a rifugiarsi in Russia, il mondo intero è tornato a parlare di whistleblower, senza però muovere un dito per proteggerli.

Il primo studio indipendente. Uno studio scientifico dell'organizzazione “Blueprint for Free Speech” (disponibile qui in inglese) , finanziato dalle università di Melbourne e Griffith in Australia e da “Transparency International-Australia”, è andato a verificare per la prima volta in modo sistematico che tipo di protezioni legali i paesi del G20 offrono ai whistleblower. Nel 2010, infatti, il G20 si era impegnato ad approvare leggi a tutela dei whistleblower. Ora per la prima volta questa indagine indipendente punta a verificare cosa è stato fatto concretamente, a livello legislativo da ciascuno dei paesi del forum G20. Il quadro che ne esce è desolante: lo studio fa emergere «notevoli limiti nella protezione legale dei whistleblower nella maggior parte dei paesi del G20», concludono i ricercatori.

Mancano leggi che garantiscano tutele ai chi contatta i media, i membri del parlamento, le ong o i sindacati per rivelare abusi e crimini, leggi che proteggano l'anonimato, permettano di fare denunce usando procedure interne alle aziende private e governative senza paura di poter subire rappresaglie, mancano agenzie indipendenti che possano investigare le denunce dei whistleblower.

L'Italia? In fondo alla classifica. Il nostro Paese si piazza malissimo. E purtroppo questo non sorprende, considerando la cultura dell'omertà tipica dell'Italia, dove la denuncia è raramente percepita come un atto nel pubblico interesse ed è vista invece più spesso come una delazione. Secondo lo studio, siamo uno dei paesi con protezioni “particolarmente povere” dei whistleblower e siamo messi male come Russia, Arabia Saudita, India, Messico,Turchia, Indonesia, Brasile, Argentina, ma, sorprendentemente, anche Germania.

«Una nuova legge anticorruzione dell'ottobre 2012», recita lo studio, «ha incluso la prima disposizione per proteggere i whistleblower che lavorano nel settore pubblico da rappresaglie e per fornire loro dei canali per denunciare», lo studio però giudica questa disposizione “molto limitata”. Nel settore pubblico le cose sembrano andare leggermente meglio, mentre le aziende private escono fuori dalla ricerca come un disastro in termini di leggi a protezione dei whistleblower: peggio di noi, solo le aziende private russe e perfino quelle cinesi riescono a fare meglio di noi. Una tragedia. Considerando il livello di corruzione e malaffare, l'Italia avrebbe un bisogno disperato di tutelare chi, avendo informazioni da insider, rivela crimini e abusi a danno della collettività. Come spiega anche Simon Wolfe, il ricercatore dell'organizzazione “Blueprint for speech” che ha diretto lo studio: «La corruzione endemica o nascosta può essere solo scoperta da qualcuno che sa dove andare a cercare, senza i whistleblower gran parte del malaffare rimarrebbe segreto».

Il paradosso Usa. A uscire particolarmente bene dallo studio scientifico sono gli Stati Uniti, un dato “ironico”, lo definisce l'australiana Suelette Dreyfus, ricercatrice del dipartimento di informatica dell'Università di Melbourne e direttore di “Blueprint for Speech”. Dreyfus conosce bene il mondo del whistleblowing, visto il suo lavoro con Julian Assange e il libro che hanno scritto insieme “Underground”. Dove stanno l'ironia e il paradosso del dato riferito agli Stati Uniti? Nel fatto che questa valutazione estremamente positiva viene a cadere «proprio negli anni in cui gli Usa sono impegnati nella più grande guerra contro i whistleblower della storia recente», spiega a l'Espresso Suelette Dreyfus. Una guerra di cui parlano da tempo anche i giornali Usa, visto che l'amministrazione Obama, che si era impegnata pubblicamente a difendere i whistleblower, èarrivata a incriminarne sette -un numero mai registrato nelle precedenti amministrazioni- con l'Espionage Act, una legge del 1917, pensata per i traditori che passavano segreti al nemico, durante la prima Guerra mondiale, non per gente come Manning e Snowden, che hanno consegnato documenti riservati alla stampa per denunciare pubblicamente un caso.

Come si spiega dunque una valutazione estremamente positiva degli Stati Uniti in termini di protezione dei whistleblower a fronte della guerra in corso? Suelette Dreyfus spiega che in America le leggi a tutela dei whistleblower esistono, per questo il paese ne esce bene dallo studio. Il problema, però, è che queste protezioni non tutelanoi contractor che rivelano crimini e abusi nel settore dell'intelligence e della sicurezza nazionale, ovvero proprio quei “massimi sistemi”, esposti da Manning e Snowden, dove ci sarebbe più urgente bisogno di una legislazione a protezione dei whistleblower. Ed è questo grande buco legislativo ad aver ispirato la creazione della Courage Foundation, la fondazione creata per la difesa di Edward Snowden e di altre fonti come lui di altissimo profilo, che non possono contare sulla tutela delle leggi attuali, anche se sono proprio loro che rischiano tutto: la vita e la libertà.