Da place de la Republique, le testimonianze di ragazze e ragazzi che ieri sera, come i loro coetanei uccisi, erano in giro per la città. E ora dicono: "Staremo attenti, ma senza cambiare le nostre abitudini"

Place de la République è un appuntamento annunciato per i parigini e per i turisti : ma stavolta non c’è la folla maestosa e imperiosa della manifestazione dell’11 gennaio scorso, quella del dopo Charlie e Vincennes, ma un incessante andirivieni silenzioso e composto. Piove una pioggia leggera e fredda: del tempo caldo di ieri nessuna traccia, quasi come se anche il clima si fosse voluto adeguare.

Intorno alla statua diventata simbolo di rivolta contro il terrore parigini, turisti, molti media e molta polizia in borghese e non. Negli occhi di nuovo il dolore e l’incomprensione mentre intorno alla statua si ammassano sempre più mazzi di fiori e candele che si spengono a causa del vento e della pioggia, ma non importa. La gente é lì di nuovo per testimoniare che c’é, anche in una piazza dove la maggior parte dei negozi sono chiusi e ognuno va avanti come può.

La gente, però, non si arrende, vuole continuare a credere e a sperare. Ci sono persone di tutte le età, coppie che si tengono per mano, signori di passaggio, qualche mamma che porta a spasso bambini ignari, turisti. A turno si avvicinano alla statua o la guardano con sacro rispetto: ognuno vive le emozioni a modo suo, chi ostentando, chi con pudore. Da ieri sera la parola d’ordine che rassicura – almeno un po’- é ‘casa’: é arrivato da parte del governo stesso il consiglio di restarci, di uscire solo se necessario. Ma tutti vogliono andare avanti e l’unico modo per farlo é cercare di non cambiare le abitudini, pur facendo attenzione. Parigi stordita è piegata ma non spezzata e non cambierà neanche stavolta.
L'analisi
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E’ quanto pensa Cristelle che lavora nella cultura, nel settore dei mestieri d’arte: "Bisogna guardare avanti, non c’é scelta anche se si respira questa insicurezza. Ieri sera, per esempio, io ero a Châtelet a una proiezione con politici e parecchie persone del mio settore. All’improvviso sono cominciate a circolare queste notizie e di colpo al cocktail che seguiva la proiezione la gente si è dispersa. Poi c’é stato un vero momento di panico per rientrare: chi cercava un taxi, chi la metro anche se c’era il divieto di prenderla. Io abito proprio qui, a République, e non sono potuta tornare a casa. Sono dovuta andare nel diciottesimo arrondissement da un’amica e così abbiamo seguito le informazioni fino alle 3. Certo, sono scioccata. Non é come la tragedia di Charlie dove erano i giornalisti gli obiettivi. Qui siamo noi tutti e questo sicuramente é ancora più motivo di ansia".

Josephine ha 21 anni, studia a Parigi da un anno ma è nata in Italia. Insieme a lei ci sono gli amici Chiara e Davide, entrambi 22 anni, e che vivono a Firenze: sono venuti qui per trovare lei e per visitare un Salone. Ripartono domani. Josephine abita proprio nella rue Bichat, una delle strade teatro degli attentati di ieri. I ragazzi sono ancora sconvolti. Racconta Josephine: "Ieri sera quando loro sono arrivati avevo proposto di andare a mangiare proprio al Carillon, un ristorante dove si mangia bene ma che é sempre pieno. Quindi alla fine poi siamo rimasti a casa e ho cucinato io, pensando di andare a ballare dopo. Io non ho la tv, la connessione internet da me é sempre difficoltosa, quindi non sapevamo cosa stava succedendo. A un certo punto abbiamo sentito degli spari ma pensavamo fossero fuochi d’artificio. Poi ci sono cominciati ad arrivare messaggi preoccupati dall’Italia e abbiamo capito che stava accadendo qualcosa di grave".

Josephine ammette di sentirsi spaventata ma anche fortunata, "perché poteva andare in diversi modi, potevamo trovarci anche noi in quel ristorante. Però adesso non so veramente cosa fare, se restare chiusa in casa o uscire. Ma non si può restare chiusi in casa per sempre. Certo, mi trovo in una città straniera dove non conosco nessuno, non ho la famiglia qui, non so se tornare in Italia. Ti poni delle domande ed é difficile trovare delle risposte". Davide rincara: "Che tristezza. Eravamo qui per divertirci e invece ci dicono di non uscire di casa...". Chiara però è anche convinta che bisogna reagire: "Chiudersi in casa non é una soluzione. Bisogna cercare di vivere in modo ‘normale’ anche se é brutto dirlo così. L’unione fa la forza. Uniamoci: Parigi, New York, Italia, Spagna... tutti insieme mettendo da parte idee politiche, guerre, soldi. E’ l’unico modo per cercare di vivere in un mondo decente. Ieri sera c’erano ragazzi che erano usciti per divertirsi.. e invece é finita la loro vita".

"Restare a casa? Assolutamente no. Bisogna uscire, la vita deve continuare. Certo, bisogna prendere delle precauzioni ma le nostre abitudini non devono cambiare", afferma deciso Fuad, altro studente universitario. "Non so se ci saranno corsi lunedì, forse l’università sarà ancora chiusa ma comunque appena si riprende io ci sarò".

David lavora nel settore turistico. Ha un volto pulito e un viso addolorato ma convinto. E’ venuto a place de la République con un Vélib per testimoniare la sua vicinanza e per mostrare anche la sua voglia di ‘normalità’, di reagire: "Sicuramente restando a casa si é più sicuri e meno esposti. Ma io sono parigino e abito poco lontano da qui. E questi quartieri mi sono cari e familiari. Tutto questo mi fa male ma nello stesso tempo non ho voglia di cadere nella psicosi. Sì, bisogna essere vigili ma voglio continuare a vivere. Sono venuto qui perché avevo bisogno di uscire da casa, per vedere cosa stava succedendo fuori. Ho voglia di esserci, non di restare a casa a guardare la tv. Non voglio cambiare le mie abitudini, voglio continuare a uscire. Certo, psicologicamente la paura é un pensiero invadente e questo lo era già dagli attentati di gennaio, questa sensazione che può succedere qualcosa ovunque. E’ talmente facile fare una strage.... ma noi non possiamo fare nulla. E’ lo Stato che deve garantire la sicurezza ed evitare che certe operazioni coordinate vengano attuate".  

Louise ha 20 anni e due occhi bellissimi occhi blu misti di paura e di sgomento: "Tutti mi dicono di fare attenzione ma i ragazzi di ieri cosa stavano facendo di pericoloso? Nulla! Stavano brindando e cenando! Certo che ho paura. Ma poi bisogna continuare a vivere, non si può restare barricati. Ieri sera ero a casa ma oggi sono venuta qui e qui avevo appuntamento con una mia amica. E ora andiamo da altri amici, perché è un modo per sostenerci".

Sylvie Steven, non giovanissimisi tengono per mano infreddoliti. Erano venuti da Bruxelles per passare un week-end da turisti:  arrivati proprio ieri, si sono ritrovati a vivere un orrore. "Eravamo andati a mangiare nel Marais e poi ci siamo ritrovati a vedere persone che correvano nella strada e ci dicevano ‘non andate in quella direzione". E cosa pensate di fare? "Dobbiamo continuare a vivere ma essere attenti. Non si può certo fare finta che non sia successo niente. Ma la vita continua". Non é la prima volta che vengono a Parigi ma sostengono di non aver rimarcato differenze sostanziali dopo gli attentati di gennaio: "Non ce ne siamo accorti se c’erano".

Abdullah è musulmano, ha vissuto a Brescia e ora cerca lavoro a Parigi come metalmeccanico: "I musulmani non sono questi. Vogliono la pace e non il male degli altri. Troppi problemi si sono accumulati negli anni e ora si é arrivati a questo. Per me non é giusto. Bisogna mettersi intorno a un tavolo e parlare per fare la pace, non la guerra. Non posso pensare a tutti quelli che oggi piangono un padre, un figlio, una donna. E chi ha detto di ammazzare? Allah? Lui non dice di uccidere. E ora é ancora tutto più difficile anche per noi".

Andrea é una signora ungherese dagli innaturali capelli rosso fuoco che vive a Parigi da 10 anni e parla col cuore: "Io aiuto le persone anziane la mattina e do’ corsi di ungherese nel pomeriggio. Amo Parigi. Oggi non siamo molti qui perché Hollande ci ha chiesto di restare a casa. Io ho attraversato Parigi in bicicletta. Dobbiamo tentare di restare tranquilli e soprattutto insieme, non a casa. E’ orribile quello che é successo, mi fa male al cuore. Ma continuerò a uscire, ad andare al ristorante, al cinema. Magari però farò attenzione a non discutere con tutti delle mie idee, questo sì, se non conosco bene le persone. Poi credo che in effetti bisogna chiudere per un po’ la frontiera ma non per sempre. Se chiudiamo la Francia, poi l’Europa, dove andiamo a finire? ".