Identità, vendetta e redenzione: ecco le 9 motivazioni di chi si unisce all'Isis

Trentamila foreign fighters sono partiti perché lo Stato Islamico offre loro uno scopo. E si propone come luogo in cui rifarsi uno "status" contando su centrali di reclutamento consolidate, in Europa e nel Maghreb. Dove la propaganda si rivolge a gruppi di amici emarginati. E l'Islam non ha un ruolo chiave. I profili di aspiranti jihadisti nell'analisi di due rapporti

Isis
Cosa ha convinto 30mila persone nate in Europa, o in Russia, in Nord Africa, in Malesia, a unirsi alle milizie del Daesh? Cosa li ha spinti ad abbandonare le loro case per buttarsi nel mezzo della guerra fra Siria e Iraq? Perché continuano a partire, a imbracciare fucili e bandiere nere, nonostante i bombardamenti e le notizie dei molti che non possono più tornare indietro da lì?

Capire le motivazioni dei "foreign fighters", come vengono chiamati i combattenti dello Stato Islamico che arrivano dall'estero, è diventata un'esigenza di sicurezza per decine di paesi in tutto il mondo, alle prese con la minaccia che gli aspiranti martiri di al-Baghdadi possano portare la guerra in patria dopo averla provata con l'Is nel deserto.

Un dettagliato rapporto del "Soufan Group" di New York e una ricerca di una società libanese ripresa in questi giorni dal The Atlantic provano a dare delle risposte. Sondando, attraverso i racconti e le testimonianze di chi è rientrato o di chi non è riuscito a partire, le ragioni profonde della loro adesione al Califfato. E queste ragioni, confermate poi da analisti di luoghi diversi, possono suonare sorprendenti.

I ricercatori di Quantum Communications a Beirut, analizzando in profondità 49 interviste di altrettanti foreign fighters, hanno identificato nove profili di aspiranti jihadisti nel Daesh in base alle loro motivazioni. Vale la pena elencarli, riprendendo il lavoro di Patrick Tucker sull'Atlantic:

- quelli che sono mossi dalla ricerca di uno status: vogliono migliorare la loro posizione sociale; sono attratti soprattutto dal denaro e da "un certo riconoscimento fra gli altri, intorno a loro"
- quelli che cercano un'identità: sono propensi a sentirsi isolati o alienati, "si sentono spesso come degli outsider nel loro contesto", che risulta estraneo, non comprensibile, e cercano di identificarsi in un altro gruppo. L'Islam, per molti di loro, offre un'ottima "identità trans-nazionale preconfezionata"
- quelli che cercano vendetta: considerano se stessi come parte di un gruppo che è represso dall'Occidente o da altri
- quelli che sperano nella redenzione: si sono uniti all'Isis perché credono possa scagionarli da una colpa, da un comportamento peccaminoso
- quelli che lo fanno per senso di responsabilità: molto semplicemente, persone che si sono unite all'Isis perché questa dà aiuto materiale o economico alla loro famiglia
- quelli che partono per avventura
- quelli che ci credono: vogliono imporre la loro visione, e la Sharia, sugli altri
- quelli che cercano giustizia rispetto a un'oppressione
- quelli che cercano la morte: nell'ambizione di andarsene da martiri piuttosto che da suicidi
Inchiesta
I nuovi jihadisti vengono dal Kosovo Le esecuzioni postate su Facebook
5/9/2014

Le motivazioni per cui partono, aggiungono e ribadiscono gli analisti del Soufan Group, sono sempre personali. Personali, non religiose né politiche. L'Islam ha un ruolo di fatto piuttosto marginale, come un mantello da indossare per coprire vuoti sociali e personali più profondi. L'apparato ideologico del jihad fondamentalista arriva a valle di condizioni individuali. La partenza, insomma, non è vocazione, ma ha sempre a che fare prima con altro, e solo poi con la fede, se quella dei terroristi può essere definita tale (e molti musulmani lo obiettano).

Guardando ai foreign fighters d'Europa il Soufan Group parla infatti di giovani (giovanissimi, l'età media è quasi 20 anni) che cercano risposte alla marginalizzazione in cui vivono in Occidente. A loro lo Stato Islamico si propone come un luogo "di appartenenza, di avventura, di rispetto", dove potranno ricomporre per sé una nuova identità basata sul futuro e non sul passato. Il Califfato dice loro: vi daremo uno scopo, una missione. Un'identità semplice da adottare nella crisi di scelte complesse a cui sono esposti qui, anche per il difficile processo di secolarizzazione dell'Islam rispetto a quello dei paesi arabi, e il senso di frustrazione che provano per il continuo fallimento della loro speranza sociale.

Questi sentimenti confusi possono facilmente diventare adesione alle idee più radicali soprattutto se ci si muove in gruppo. È dimostrato anche per l'afflusso di volontari al Daesh. Nelle dinamiche di partenza dalla Ue infatti (470 ventenni arrivati in Siria dal Belgio, 1.700 dalla Francia) o dai paesi arabi, tutt'ora la sorgente esterna principale per l'esercito di Isis (in seimila sarebbero partiti solo dalla Tunisia, in 1.200 dal Marocco) gli studiosi americani sottolineano il ruolo-chiave svolto qui da alcuni luoghi, definiti "hotbeds", incubatori di fatto del terrorismo islamista: quartieri, villaggi, città o slum in cui le idee radicali sono diventate il perno attorno a cui ruotano gruppetti, famiglie, o intere comunità, spesso da più di una generazione.

I futuri tagliagole hanno a centinaia la residenza a Derna, in Libia, zona di trafficanti d'uomini, di droga e di armi, centrale di disperati; o a Bizerte e Ben Gardane in Tunisia: un luogo in cui la tradizione jihadista è così forte che l'ispiratore di Isis Abu Musab al-Zaraqwi avrebbe detto: "Se Ben Gardane fosse stata vicina a Fallujah, avremmo liberato l'Iraq"; gli aspiranti miliziani arrivano dagli slum fuori da Casablanca in Marocco; ma anche del quartiere di Molenbeek in Belgio, scoperto tale dai media e dagli agenti solo dopo che da lì sono partiti o si sono intrecciati i destini degli autori delle stragi di novembre in Francia; ma lo stesso è accaduto in Norvegia, con il minuscolo quartiere di Lisleby a Fredrikstad diventato fucina silenziosa di terroristi.
Esclusivo
Così i droni italiani spiano i covi del Califfo
10/12/2015

In questi focolai dell'Isis la propaganda del Daesh si diffonde porta-a-porta, s'installa fra vicini, negli spazi comuni, dove uno convince l'altro e poi ancora un amico o un parente, come è successo per i due fratelli della strage del Bataclan. Singoli, carismatici individui bastano a portare sempre nuove braccia alle idee di morte del Daesh. Il messaggio è collettivo: quel riconoscimento che un ragazzo emarginato trova solo fra gli amici, l'Isis si propone di renderlo missione comune "a difesa dei sunniti". È questo che dicono i video che il Daesh fa circolare in quelle centrali: mostrano grandi amicizie maschili. Riconoscimento e rispetto. Oltre che violenza gratuita, Sharia e massacri per gli "infedeli".

Dove non arrivano poi la ricerca di uno scopo, arrivano pur sempre i soldi: da Indonesia e Malesia la fuga verso lo Stato Islamico è stata così consistente da permettere loro di creare una falange autonoma, la "Katibah Nusantara". In 50 ad oggi sarebbero però tornati a Jakarta. Perché se ne sono andati dal Califfato? Perché erano delusi sulle promesse: i combattenti venivano pagati troppo poco.

LEGGI ANCHE

L'E COMMUNITY

Entra nella nostra community Whatsapp

L'edicola

Siamo tutti complici - Cosa c'è nel nuovo numero dell'Espresso