Wikileaks

Accuse di stupro, cosa rischia Julian Assange dopo l'interrogatorio

di Stefania Maurizi   16 novembre 2016

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A sei anni dalle accuse di violenza sessuale mosse da Stoccolma, il fondatore di Wikileaks è stato interrogato dal procuratore Marianne Ny. Che può decidere se scagionarlo o incriminarlo, riaprendo la questione dell'estradizione in Svezia e da lì negli Usa

Sei anni. Sei anni in un limbo senza uscita, di cui quattro passati da recluso nell'ambasciata dell'Ecuador a Londra, senza neppure diritto a quell'ora d'aria di cui qualunque detenuto può beneficiare. E' questa la storia giudiziaria infinita di Julian Assange. Ma ora l'interrogatorio che si è concluso a Londra, nell'ambasciata dell'Ecuador di Knightsbridge, può cambiare tutto. A questo punto il procuratore Marianne Ny, grande accusatrice di Assange, deve finalmente prendere una decisione: incriminarlo e mandarlo alla sbarra o scagionarlo una volta per tutte. Cosa deciderà?


ENGLISH VERSION
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I documenti ottenuti dal nostro giornale attraverso una richiesta ai sensi del “Freedom of Information Act” (Foia) alla Swedish Prosecution Authority (l'accusa svedese) sembrano lasciare pochi dubbi: la procura di Stoccolma, consigliata dal Crown Prosecution Service di Londra (l'autorità che in Inghilterra e nel Galles esercita il ruolo della pubblica accusa nelle indagini condotte dalla polizia e da altri organi investigativi e che, nel caso Assange, supporta il lavoro dei magistrati di Stoccolma, visto che il fondatore di WikiLeaks è sotto indagine in Svezia, ma si trova a Londra), sembra intenzionata fin dall'inizio a procedere all'incriminazione. E poco importa che Marianne Ny, prima di ieri, non avesse mai sentito la versione dei fatti di Assange per formarsi un'idea. Poco importa che Eva Finne, procuratore capo di Stoccolma, avesse chiuso il caso già nell'agosto 2010, ritenendo le accuse di stupro infondate. Il 1° settembre 2010, Ny lo ha riaperto e da quel momento in poi l'inchiesta è rimasta cristallizzata: ferma alla fase preliminare per sei anni.


Paralisi giudiziaria. Perché Marianne Ny abbia lasciato Julian Assange in un limbo legale senza uscita, in cui non veniva interrogato, non veniva incriminato, non veniva scagionato, è un rompicapo senza soluzione. Sappiamo, però, cosa l'ha spinta a cambiare idea e ad accettare di andare a interrogarlo a Londra, come la difesa di Assange ha chiesto fin dall'inizio.

Nel novembre del 2014, la Corte di Appello ( “Svea hovrätt” ) di Stoccolma ha censurato il comportamento di Ny, notando senza mezzi termini «che l'indagine è ferma e ritiene che il fallimento dei procuratori nell'esaminare alternative non sia in linea con i loro obblighi – nell'interesse di tutte le parti coinvolte – di far progredire l'indagine preliminare», scriveva la Corte in un comunicato stampa che più chiaro non poteva essere.

Nel febbraio del 2016, le Nazioni Unite hanno censurato la gestione del caso, arrivando a stabilire che Svezia e Inghilterra detengono arbitrariamente Julian Assange e che devono lasciarlo libero e compensarlo per il suo stato di detenzione arbitraria. Come ha confermato a l'Espresso Katarina Fabian, vicedirettore del Dipartimento per i diritti umani del ministero degli Esteri svedese, è la prima volta che la Svezia viene “beccata” a detenere in modo arbitrario un individuo: per un paese celebre per i suoi standard in tema di diritti umani e civili, la decisione delle Nazioni Unite è probabilmente fonte di imbarazzo internazionale. E di fatto, sul sito della Swedish Prosecution Authority in cui si ricostruisce la cronologia del caso Assange, non c'è traccia della decisione dell'Onu, né si menzionano i rilievi della Corte di Appello di Stoccolma.
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Comunque, alla fine l'interrogatorio si è svolto. Come sia andato, non è ancora possibile saperlo, visto il segreto investigativo che copre le indagini nella fase preliminare. L'avvocata Jennifer Robinson del prestigioso studio legale Doughty Street Chambers di Londra (lo stesso di Amal Clooney) fa parte fin dal lontano 2010 del team legale di Julian Assange ed era presente all'interrogatorio, seppure il fondatore di WikiLeaks non fosse assistito da lei personalmente nel corso di esso. A l'Espresso Robinson racconta che il fondatore di WikiLeaks «era naturalmente contento che, finalmente, dopo aver chiesto per sei anni di essere ascoltato [a Londra, ndr], i procuratori svedesi abbiano accettato. Questo poteva e in realtà doveva essere fatto sei anni fa: Assange non è mai stato incriminato e il magistrato ha rifiutato di sentirlo fino ad oggi. E' particolarmente frustrante, se si considera che le accuse su cui è stato chiamato a rispondere sono esattamente le stesse da cui è stato scagionato nel 2010. Il procuratore Eva Finne chiuse l'inchiesta concludendo: «la condotta contestata non ha fatto emergere un reato».

Con l'Espresso, Jennifer Robinson esprime la propria preoccupazione per il fatto che all'avvocato svedese di Julian Assange, Per Samuelsson, non sia stato permesso di essere presente all'interrogatorio, considerato che i fatti contestati si sono svolti proprio in Svezia e l'indagine è stata condotta dalla polizia e dai magistrati di Stoccolma, mentre Assange si è ritrovato assistito unicamente da un legale ecuadoriano, il professor Carlos Poveda Moreno. 

Interpellato dal nostro giornale, Samuelsson ha dichiarato: «E' stata una grave violazione dei diritti di Julian, come persona sotto indagine della legge svedese. La decisione è stata presa dal procuratore ecuadoriano. Il perché della scelta non lo conosco. Assange si è sentito obbligato a rispondere in ogni caso, altrimenti se la sarebbero presa con lui. E' chiaro che solleveremo il problema».

COSA RISCHIA JULIAN ASSANGE?

A questo punto, concluso l'interrogatorio che si è svolto nell'arco di due giorni, il procuratore ecuadoriano trasmetterà ufficialmente le risposte alla procura svedese, che dovrà prendere una decisione una volta per tutte. In una rara conferenza stampa tenutasi a Stoccolma nel settembre scorso, il procuratore Marianne Ny ha precisato che nel caso in cui Julian Assange fosse incriminato, processato e condannato rischierebbe una pena che va dai diciotto ai ventiquattro mesi: è questo che prevede la legge per il reato di “minor rape”, la fattispecie meno grave di stupro prevista dal codice svedese. 

Se il fondatore di WikiLeaks verrà incriminato è difficile capire cosa accadrà esattamente: la legge svedese non prevede il processo in absentia. E quindi se Marianne Ny dovesse optare per l'incriminazione, per Assange il rischio estradizione in Svezia per andare a processo si riproporrà in tutta la sua problematicità. La paralisi giudiziaria è dovuta proprio a questo rischio, perché Julian Assange non si è mai opposto alla possibilità di essere interrogato, si è invece opposto con le unghie e con i denti alla richiesta di Marianne Ny di estradarlo in Svezia per sentirlo, in quanto il trasferimento a Stoccolma può aprire la strada all'estradizione negli Stati Uniti, dove da sei anni è in corso un'indagine del Grand Jury di Alexandria, Virginia, sulla pubblicazione dei documenti segreti del governo americano da parte di WikiLeaks.

L'avvocata Jennifer Robinson spiega a l'Espresso come per anni, parallelamente alla richiesta di interrogare Assange a Londra, il team legale abbia cercato di ottenere garanzie dalla Svezia che Julian Assange non verrà estradato negli Stati Uniti: tecnicamente, questa garanzia si chiama “principio di non-refoulement”

La Svezia, però, ha rifiutato di offrire rassicurazioni in merito e Robinson sottolinea che, se si guarda alla storia del paese scandinavo, negli ultimi dieci anni ha risposto positivamente ad ogni richiesta di estradizione da parte degli Stati Uniti. Se dunque il procuratore Ny opterà per l'incriminazione, che succederà? «Assange gode del diritto di asilo, che gli è stato dato dall'Ecuador per proteggerlo dal rischio di estradizione degli Stati Uniti», replica Jennifer Robinson, «La Svezia si è rifiutata di riconoscere il suo stato di rifugiato e di fornire garanzie che non verrà estradato negli Usa. In assenza di tali garanzie, non può andare in Svezia».