Dal software per smartphone che raduna manifestanti per i cortei fino alle mappe che in tempo reale avvisano sugli spostamenti della polizia. Viaggio negli strumenti digitali protagonisti delle sollevazioni globali

Non c’è un leader, non c’è una sede. Non c’è neppure una persona. A chiedere a Sergio in quale ore e giorni della settimana è disponibile per partecipare a una manifestazione ci pensa direttamente una app. Lo studente di Barcellona compila i vari campi toccando in fretta lo schermo touch: è questione di pochi secondi. Ora non gli resta che aspettare per ricevere le indicazioni sul prossimo evento.

Quella con cui sta interagendo Sergio si chiama “Tsunami Democratic” ed è l’applicazione al centro delle proteste che da settimane stanno infuocando la Catalogna. Non si trova sugli store ufficiali di Android e iPhone: i colossi digitali non la vogliono e il governo di Madrid ne ha già chiesto la rimozione da qualunque server. Anche Microsoft si è piegata alla Guardia Civil e l’ha dovuta cancellare da GitHub, il suo servizio usato dagli sviluppatori di tutto il mondo per diffondere programmi in maniera gratuita. Basta guardare quali altri governi hanno chiesto simili iniziative a GitHub per capire l’eccezionalità dell’evento: prima della Spagna avevano osato solo Russia e Cina.

Le rimozioni e i ban non hanno limitato la diffusione di Tsunami Democratic. Ma trovare il file per scaricarla non è sufficiente. Per attivarla serve anche l’aiuto di chi già la usa, che deve farti leggere il suo Qr code, un codice da riprendere con la telecamera dello smartphone. L’obiettivo è semplice: impedire (o almeno ridurre) il numero di infiltrati e contribuire a far stringere relazioni fisiche e di fiducia ai futuri manifestanti.

Fenomeni
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11/11/2019
Il caso catalano è forse quello più interessante dal punto di vista tecnologico, ma propone in maniera più definita elementi che stanno caratterizzando tutti i moti globali. Il primo è la necessità di organizzarsi e coordinarsi con nuovi strumenti, che garantiscano un facile acceso alle masse ma al tempo stesso tutelino la privacy di chi li usa. A Hong Kong c’è Hkmap.live, una mappa delle proteste aggiornata in tempo reale che monitora anche gli spostamenti delle forze di polizia sul territorio. Dopo le lamentele del governo cinese, Apple l’ha fatto sparire dal suo AppStore affermando che veniva usata per attaccare la polizia o dai malintenzionati che, conoscendone gli spostamenti, compivano crimini nelle aree “scoperte”. Accuse rispedite al mittente dagli sviluppatori del programma, che può comunque essere raggiunto attraverso altri canali.

Al fianco di questi software realizzati ad hoc, tutte le proteste vedono il massiccio utilizzo delle applicazioni di messaggistica che “criptano” le comunicazioni, garantendo l’anonimato a chi le usa e l’impossibilità di essere intercettate. La più nota è Telegram, fondata dal russo Pavel Durov, che permette di creare chat segrete e anche gruppi estesi per comunicazioni di massa: quello di Tsunami Democratic risulta al momento uno dei cento più grandi al mondo (quasi 400 mila iscritti). Lo stesso Durov ha dichiarato che la sua app è stata oggetto di un pesante cyber-attacco arrivato dalla Cina nei giorni delle manifestazioni di Hong Kong e, secondo un articolo di Reuters, sta sviluppando delle speciali funzioni per proteggere chi la usa nell’ex colonia inglese dove sono state arrestate anche persone che hanno creato e animato gruppi su questa app di messaggistica.

Il livello superiore e più visibile di queste proteste è l’uso massiccio dei social network per diffondere foto, video e slogan. Gli hashtag su Twitter e Instagram, le pagine e i gruppi Facebook diventano armi per resistere alle repressioni statali e proporre a livello globale la propria narrazione degli eventi, aggirando le censure o le operazioni di disinformazione governative.

In maniera simile a quanto visto nelle primavere arabe, gli stessi slogan possono sentirsi in una piazza di Beirut come in una del Sudan, una bandiera catalana essere sventolata a Hong Kong e la maschera del Joker diventare il simbolo dei manifestanti da Santiago del Cile a Barcellona.

L’adozione della maschera del cattivo di Batman interpretato da Joaquin Phoenix segna anche un passaggio simbolico nella protesta. Nel 2007 Beppe Grillo in Italia lanciava il suo V-Day prendendo ispirazione dalla maschera di Guy Fawkes in “V per Vendetta”. Le piazze riempite dal comico genovese anche allora erano state snobbate da gran parte dei media e dei corpi intermedi tradizionali, venendo invece alimentate e rilanciate dalla rete. Piazze che denunciavano problemi non diversi da quelli per cui si scende in strada in giro per il mondo oggi: diseguaglianza, corruzione della classe politica, scarsa attenzione per i giovani. Da quelle piazze è nato un partito arrivato nel giro di dieci anni al governo anche grazie alla sua capacità di intestarsi e cavalcare gran parte dei movimenti spontanei o locali, occupando quasi tutto lo spazio politico della protesta in Italia. Almeno fino ad oggi. Una cavalcata che per le forze in piazza dal Sudan al Libano, quasi sempre senza leader e molto eterogenee al loro interno, sembra essere però difficile da imitare.