L’appello
Tre europarlamentari dem sono stati al confine con la Bielorussia: «Situazione drammatica. E chi vuole aiutare finisce al centro di una campagna di criminalizzazione della solidarietà che non conosce paragoni»
di Pietro Bartolo, Brando Benifei e Pierfrancesco Majorino - Europarlamentari del Pd
Al confine tra Polonia e Bielorussia la situazione è drammatica e non si può perdere altro tempo.
Cosa intendono fare, in questo contesto, la comunità internazionale, gli Stati europei, le istituzioni comunitarie? Cosa intendono fare di fronte a quel che stanno vivendo i migranti, costretti a vivere nell’area di foresta che è diventata un’inaccessibile zona rossa?
Questo è l’interrogativo, pesantissimo, che ci portiamo dietro di ritorno da una missione che ci ha visto impegnati proprio nei territori dove poche migliaia di persone - bambine, bambini, donne, uomini - tentano di sopravvivere sfidando il gelo e le pratiche disumane di istituzioni ciniche.
Quella che poniamo - e che porremo - è una domanda che non ammette scorciatoie.
Una domanda che abbiamo già pronunciato dagli scranni del Parlamento europeo in queste settimane e su cui intendiamo insistere.
Sono infatti in gioco la dignità delle istituzioni e il senso di responsabilità.
E sono in gioco i valori europei, quelli che, con grande disinvoltura, il governo polacco sta ancora una volta calpestando.
Le autorità della Polonia, infatti, hanno reagito in maniera scellerata agli atti del regime bielorusso.
Intendiamoci: va sottolineato, senza ambiguità, come Lukashenko (anche in questo caso spalleggiato da Putin) abbia utilizzato i migranti in maniera colpevole e folle, organizzando parte del transito, spingendo le persone d’origine afghana, irakena, siriana a intraprendere il viaggio, facendo leva su false rassicurazioni e minacce molto molto reali.
Tuttavia, nel ribadire lo sdegno verso la politica di un paese che sta conoscendo una drammatica involuzione, non possiamo non tornare su quanto stia accadendo “al di qua” del confine, laddove, nei fatti, è stato eretto un muro altamente presidiato dalle forze militari e contestualmente si impedisce qualsiasi forma di soccorso.
Le drammatiche storie raccontate da molti in questi giorni, storie di vite spezzate, lutti, drammi devastanti, rimbalzano nei racconti degli attivisti e attraverso le testimonianze dei migranti accolti nelle poche strutture d’accoglienza presenti.
La foresta, cupa e inospitale, è diventata, in poco tempo, il teatro di tentativi di sopravvivenza.
In questo contesto le donne e gli uomini di quella parte (non piccola) di Polonia che resiste sono cittadini sistematicamente sottoposti al controllo, intimoriti da una legislazione d’emergenza che prevede perfino il carcere per chi fornisce una coperta o un tozzo di pane. Sono, in altre parole, l’oggetto di una campagna di criminalizzazione della solidarietà che non conosce paragoni in alcun luogo del Vecchio Continente.
Il governo polacco, infatti, di fronte alla disperazione e ai corpi trovati senza vita nelle paludi, ha deciso di battere la strada della repressione verso chi decide di dare una mano e offrire un minimo aiuto.
Gli attivisti, così, sono costretti ad agire praticamente di nascosto, mostrando perfino timore a fornire la propria identità e alcuni tra loro, per organizzare le proprie attività, preferiscono riunirsi in luoghi clandestini.
Ai giornalisti, ai mezzi d’informazione, tocca una sorte analoga: il diritto-dovere di cronaca non è per nulla garantito, e la cosiddetta “zona rossa” dove vivono i profughi risulta totalmente inaccessibile a loro, come alle ONG e a istituzioni grandi e piccole che intendono aiutare o, più semplicemente, capire.
Quel che sta accadendo, nella sua brutalità è semplice: il governo polacco non vuole che si sappia quel che si può toccare con mano e i migranti vivono intrappolati, costretti a fare i conti con un conflitto che non hanno cercato né alimentato in alcun modo.
Ecco, allora, che in questo quadro non si può davvero perdere altro tempo e il senso dell’urgenza deve irrompere nelle stanze delle diverse istituzioni.
Serve un intervento immediato che garantisca di prestare aiuto e soccorso e, poi, di fornire libero accesso alla presentazione della richiesta d’asilo. Tutte cose oggi assolutamente impedite poiché (è bene sottolinearlo in quanto forse non è del tutto chiaro) attualmente non vi è alcuna possibilità per le persone presenti nella zona della “foresta” di poter formulare la richiesta di protezione e accoglienza, nel pieno rispetto delle regole vigenti in Europa.
E, inoltre, come stiamo affermando e proponendo da mesi dal Parlamento Europeo, c’è bisogno di una politica sull’immigrazione radicalmente diversa.
L’Europa a cui pensiamo, quella coerente con i suoi principi e valori, deve scommettere sulla cooperazione tra gli Stati e le istituzioni, sulla condivisione, sulla gestione responsabile delle frontiere e del fenomeno migratorio.
Il contrario della logica dei muri praticata in Polonia, un Paese che sceglie l’opzione dei respingimenti coatti, dimenticandosi del diritto internazionale e, ancora prima, del valore cruciale del rispetto della dignità della persona e della vita umana.