Gli ospiti dei campi sono meno numerosi, ma le condizioni di vita sono rimaste uguali. L’allarme dell’associazione che lavora a Mavrovouni

Medici senza frontiere opera sulle isole greche dall’inizio della crisi, nel 2015. Lo scorso giugno, dopo l’annuncio della costruzione di «campi chiusi» che avrebbero sostituito gli hotspot e i campi informali, Msf ha pubblicato un report per mettere in guardia le istituzioni sugli effetti delle nuove politiche sulla salute delle persone migranti. I numeri dimostravano la gravità delle sofferenze già inflitte ai richiedenti asilo e ai rifugiati bloccati sulle isole greche.

Secondo Msf, dall’aprile del 2021 più della metà dei pazienti seguiti dall’organizzazione a Samo ha avuto pensieri di suicidio o autolesionismo. Laure Joachim è la responsabile delle attività mediche presso la clinica di salute mentale di Msf a Mitilene, descrive la situazione a Lesbo a un anno dall’incendio che ha distrutto Moria.

Medici Senza Frontiere operava nel vecchio campo di Moria e nel nuovo di Mavrovouni, cosa è cambiato in un anno?
«La situazione è cambiata nei numeri ma non nella sostanza, ci sono meno persone sull’isola perché migliaia sono state spostate ad Atene ma le condizioni di vita per chi è rimasto sono immutate. Il campo di Mavrovouni non a caso è chiamato Moria 2.0, è la copia del vecchio campo andato a fuoco ma con una aggravante, e cioè essere strutturato per nascondere le persone che ci vivono alla comunità locale».

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Avete accesso al campo?
«Il nostro staff medico ha accesso al campo, ma i richiedenti asilo vivono una costante limitazione della libertà di movimento: possono lasciare il campo se hanno appuntamenti medici o legali, ma solo dopo aver presentato una lettera che lo dimostri e dopo che questo documento è stato vagliato da chi vigila l’accesso al campo. Una regola che vale per tutti: adulti, bambini, donne incinte. In teoria ci sono giorni e orari specifici in cui le persone possono lasciare il campo, più o meno tre ore la settimana, ma gli orari e le norme cambiano continuamente e senza preavviso. Significa che l’accesso a ogni servizio, sia esso medico o legale, per i richiedenti asilo è sempre più difficile, questo dà loro la sensazione di essere detenuti, sensazione che non può che peggiorare la loro salute mentale».

 

Quali sono gli effetti di questa limitazione delle libertà personali per adulti e bambini?
«Stiamo verificando un peggioramento delle condizioni psicologiche dei nostri pazienti, sia degli adulti che dei bambini. I bambini, per esempio, non hanno accesso alla scuola, per gli adulti il problema principale è la lunghezza dei processi amministrativi. Vivono qui senza sapere che ne sarà di loro, non sanno quando riceveranno risposta alla loro richiesta d’asilo. Vivono in un limbo che mina il loro equilibrio psicologico. Ci sono persone, anche famiglie con bambini che aspettano una risposta, bloccati sulle isole greche, da due, anche tre anni».

 

Le politiche dei campi chiusi sono in linea con le strategie europee di contenimento delle migrazioni, qual è il giudizio di Msf?
«Tutte le azioni prese in questi anni sono andate nella direzione di strutture detentive, di riduzione della libertà di movimento e minore accesso a tutti i servizi. Esprime una volontà di detenere e respingere che ha poco a che fare con l’accoglienza e con una gestione sana del fenomeno migratorio. Una soluzione efficace e funzionante richiede visione e responsabilità collettive, non campi simili a prigioni».