L’intervista
Esponente del partito democristiano della coalizione di governo, ha aiutato a fare emergere uno scandalo andando contro perfino al suo partito. E ora ne progetta uno nuovo. L’intervista esclusiva per la newsletter "Voci da Bruxelles"
di Federica Bianchi
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Deputato dei cristiano-democratici, gli alleati del premier liberale Mark Rutte, Pieter Omtzigt è il politico più celebre d'Olanda, anche se non il più potente. A lui si deve la scoperta del recente scandalo sui contributi economici per i figli: milioni di euro sottratti ingiustamente dal Fisco ai contribuenti più deboli, soprattutto immigrati. A lui molte delle battaglie sullo stato di diritto combattute in Europa. A tre settimane dalle elezioni del 17 marzo è impegnato nella sua presentazione del suo ultimo libro, "Un nuovo patto sociale", in cui molti vedono il manifesto di un nuovo partito di centro votato alla riforma di un'amministrazione pubblica devastata da anni di ultraliberismo. In questa lunga intervista condotta in un buon italiano, Omtzigt rivela non solo i profondi problemi di uno Stato molto critico con gli stati del Sud Europa ma anche la visione dell'Europa che lui stesso condivide con tanti cittadini olandesi.
«Ho appena finito di portare avanti tre battaglie in contemporanea che mi hanno esaurito. Per oltre quattro anni ho lottato all'interno del governo per fare capire che ci sono come minimo diecimila famiglie coinvolte nello scandalo. Dall'inchiesta parlamentare del 2020 è saltato fuori che lo stato ha mentito e che per anni non mi forniva le informazioni che chiedevo. E poiché il mio partito faceva parte del governo mi sono trovato a lungo in una posizione scomoda. Da una parte il governo, dall'altra migliaia di famiglie che non avevano da dare da mangiare ai loro figli, famiglie divise, distrutte. Ci sono state persone che hanno commesso un piccolo errore, magari hanno ricevuto 100 euro di troppo e si sono ritrovate con 15mila euro sottratti dallo Stato. Per una madre singole è impossibile andare avanti senza aiuti per la scuola materna: vuol dire non poter lavorare. E il problema è che il Consiglio di Stato, che è il più alto giudice amministrativo, è anche consulente legale del governo, un particolare problematico in una democrazia dove la separazione dei poteri dovrebbe essere netta. In questa vicenda anche le autorità che sarebbero dovute stare dalla parte dei cittadini, come il giudice di Pace e l'Autorità sui dati personali, non sono riuscite a proteggerli. Risultato: l'Agenzia delle entrate ha finito per infrangere almeno tre o quattro articoli di legge e i tribunali non l'hanno riconosciuto. Anche perché il Fisco ha nascosto parte dei dossier».
Oltre allo scandalo dei sussidi familiari, quali sono state le sue altre lotte politiche?
«In quegli stessi mesi sono stato relatore nel Consiglio d'Europa (che si occupa di diritti umani) sul caso dell'omicidio di Daphne Caruana Galizia a Malta. Ho obbligato il governo a mettere in piedi un'inchiesta indipendente che alla fine ha fatto saltare il governo. E sempre nell'ambito del Consiglio d'Europa ho aiutato sull'indagine contro Luca Volontè, alla fine condannato per corruzione. Un bel pasticcio che riguardava l'Azerbaijian».
Come concilia il fatto di essere un politico insieme di lotta e di governo?
«Nel mio nuovo libro, “Un nuovo contratto sociale”, spiego cosa ho fatto in Europa e come deve cambiare l'Olanda per avere successo. Il vecchio contratto con i cittadini si è rotto. Gli equilibri tra i diversi poteri sono sbilanciati. Offro una decina di proposte di riforma, tra cui l'introduzione di una Corte costituzionale perché oggi se una legge viola la Costituzione non c'è modo di cambiarla. Ad avere l'ultima parola è il parlamento e eventualmente il tribunale di Strasburgo, che necessita di almeno cinque anni per pronunciarsi. All'Olanda servirebbe anche un sistema elettorale regionale: oggi esiste solo una lista nazionale ed è il partito che decide i candidati, non i cittadini. Io sono l'eccezione. Quando il partito ha tentato di buttarmi fuori nel 2012, mettendomi in fondo alla lista, sono stato recuperato con le preferenze, unico modo di sopravvivere come parlamentare in Olanda, dove è meglio conoscere il giorno del compleanno del presidente del partito che le esigenze dei cittadini».
Quali sono le altre proposte del suo libro?
«Dovremmo fare una grande riforma del diritto amministrativo per dare più diritti ai cittadini e riformare il parlamento. Dobbiamo rimettere in piedi la commissione che controlla le spese del governo, che è stata abolita, e varare una legge sulle ispezioni indipendenti sugli errori del governo perché al momento è facile coprirli. Tra l'altro le associazioni che ricevono soldi statali non osano più criticare lo stato per paura di essere escluse dall'accesso ai fondi. Alla fine del libro parlo anche del sistema dei sussidi su cui fondano i servizi principali al cittadino. Ma non è facile abolirlo».
Lo Stato che si erge a giudice dell'onestà dei colleghi del Sud Europa in realtà ha molti problemi...
«Occorre una riforma delle istituzioni olandesi che devono controllare il governo e non viceversa. In questo Paese c'è stato un lento processo che ha indebolito nel tempo i meccanismi di controllo al punto che è stato facile per il governo nascondere delle informazioni al parlamento nonostante l'articolo 68 della Costituzione dica che i parlamentari devono ricevere risposte puntuali. La situazione è talmente grave che Rutte non si è mai presentato davanti al parlamento. Quando ha capito che non avrebbe potuto uscire dalla vicenda facendo finta di nulla ha preferito dimettersi. All'inizio lui non sapeva cosa stesse succedendo ma è grave che una volta al corrente non abbia fatto nulla. Il problema è che la bugia da piccola è diventata grande. Di abuso in abuso l'amministrazione pubblica ha finito per infrangere una legge dopo l'altra dal 2009 al 2019. All'inizio non era chiaro dove nascesse il problema. Quando l'ho capito, l'ho reso pubblico e ho indicato Rutte come responsabile ultimo. A quel punto il governo si è scagliato contro di me anziché contro l'Agenzia delle Entrate».
Alcuni analisti politici lo identificano come anti-europeista. Lei si ritiene tale?
«Trovo che in Europa facciamo tanti piani nuovi ma non rispettiamo le regole esistenti. Sono molto preoccupato per i disequilibri monetari; della bontà di doverci fare carico comune dei debiti di tutti gli Stati membri, debiti che dovranno essere ripagati; di avere una Banca centrale che acquista i debiti dell'Eurozona. Mi preoccupa un'unione monetaria con il debito in comune. Ogni Paese è responsabile solo del proprio sistema fiscale: non è normale avere debito comune».
Non pensa che Mario Draghi possa essere una garanzia per le finanze italiane?
«Non lo so. So solo che il debito comune non è previsto dai trattati e che in Olanda non è popolare per nulla. In Olanda abbiamo tasse, come quelle di successione, che in Italia sono state abolite. In Italia molti vanno in pensione di fatto a 62 anni, da noi tutti a 67. E allora come la mettiamo? Se il debito è in comune anche le politiche dovrebbero esserlo e non lo possono essere. I nostri cittadini non comprendono come gli italiani possano chiedere soldi europei e poi andare in prepensionamento. E non è che accade solo in Italia, che tra l'altro è da dieci anni il Paese che ha i conti più in ordine. Non capisco perché ci costringiate a spiegare perché i Paesi del Nord siano contrari a una solidarietà basata su questi presupposti».
Ma gli olandesi non dovrebbero avere la coscienza pulita. Sono il più grande paradiso fiscale d'Europa e sottraggono miliardi ogni anno ai Paesi manifatturieri come l'Italia...
«Su questo l'Italia ha ragione. Io ho fatto la proposta per cambiare il sistema a ben due commissioni parlamentari. L'Olanda si trova ora in una fase di transizione e queste distorsioni spariranno. Rimarrà invece il dato che sull'eredità gli olandesi pagano tra il 20 e il 40 per cento di tasse e gli italiani no. Gli italiani chiedono solidarietà e non si rendono conto che il Regno Unito ha lasciato l'Unione proprio per non dovere partecipare a questo tipo di solidarietà. Che poi, ripeto, i trattati non prevedono un debito comune».
I trattati europei possono cambiare...
«Ma perché dobbiamo cambiare? Non abbiamo mica il dovere di cambiare! Abbiamo una democrazia nazionale e una discussione nazionale, non europea. Ritengo sia meglio valorizzare le realtà locali e farle funzionare, non fare debito comune».
Dunque è anti-europeista?
«Non è perché non voglio il debito comune che sono anti europeo. Ho lottato per Malta, lotto per lo stato di diritto in Polonia. Credo che se qualcosa nel mio Paese non va bene vada cambiato. Mi oppongo però al mettere in comune tutti i problemi. Ho vissuto in gran Bretagna, in Olanda e in Italia. Ho visto come la Gran Bretagna sia uscita per colpa di scelte sbagliate. E guardate che per noi la Brexit è reale, non solo un'idea, come per voi la questione dell'immigrazione africana. Ma ecco: ogni Paese europeo ha preoccupazioni diverse che non dovrebbero essere centralizzate. Uno stato centrale europeo con un debito comune non è la soluzione dei problemi. Anzi, potrebbe spingere alcuni Paesi a non restare nell'Unione e io voglio un'Unione forte. Ma una cosa è la questione monetaria e un'altra quella dello stato di diritto.
È contrario al Recovery Plan?
«Ho molti dubbi e non concordo sul fatto che questi dubbi mi definiscano automaticamente anti-europeo. Capite bene che la proposta dell'Italia, che ha una ricchezza privata più grande di quella olandese, di avere un debito comune non è attraente per l'Olanda. Non siamo matti! Vengo da un partito centrista. Gli italiani non vogliono capire, ad esempio, che il tasso di mortalità da Covid è alto in Olanda tanto quanto in Italia. Ma alla fine è sempre l'Italia che chiede soldi».