Per anni ha scritto di massacri rimasti senza colpevoli, perché gli articoli che li denunciavano non servivano nei processi. Ora la decana dei corrispondenti di guerra dice basta e spiega ai colleghi che sono al fronte i must dei tribunali internazionali

Janine di Giovanni: «Così insegno ai giornalisti a trasformare gli scoop in prove per i tribunali sui crimini di guerra»

«È successo mille volte a me e ai miei colleghi corrispondenti di guerra: abbiamo visto e raccontato atrocità, violazioni terribili dei diritti umani ma i nostri articoli non sono bastati a provare nulla in tribunale, e quei crimini sono rimasti impuniti. È successo in Bosnia, in Cecenia, in Sierra Leone, in Somalia, in Siria, in Iraq…». In Ucraina non succederà, assicura Janine di Giovanni: o almeno, lei si sta impegnando perché non succeda. Veterana dei reporter di guerra per il New York Times e il Guardian, docente a Yale, autrice di libri sulla prima Intifada, l’assedio di Sarajevo, la guerra in Siria, fino a “The Vanishing”, sulla fuga dei cristiani dal Medio Oriente, per l’Ucraina Di Giovanni sta curando un progetto finanziato dallo UsAid, l’Agenzia degli Stati Uniti per lo sviluppo internazionale. 

 

Mentre parla con entusiasmo del nuovo compito si interrompe per mandare messaggi al suo staff, «c’è una grande confusione, siamo proprio agli inizi», spiega. «La definizione tecnica di quello che facciamo è “enabling witnesses”, abilitazione dei testimoni. Addestriamo una squadra di giornalisti ucraini a raccogliere prove in modo che le storie non vengano solo pubblicate ma possano essere usate in tribunale».

Reportage
Torture, stupri e prigionieri usati come schiavi: in Ucraina ora si raccolgono prove sui crimini delle truppe di Putin
21/4/2022

È la prima volta che fa una cosa di questo genere?
«Ho lavorato a qualcosa di simile in Siria per le Nazioni Unite ma lì riguardava l’emergenza Covid-19, quindi non era esattamente la stessa cosa. In Ucraina sono in contatto con molte persone anche in posti come Mariupol e Bucha, da cui arrivano notizie di crimini orribili. Tecnicamente però il nostro lavoro inizierà all’inizio di maggio e durerà un anno. Contiamo di scegliere 150 testimonianze da portare fino in fondo: davanti alla Corte penale internazionale ma anche nei tribunali ucraini, collaborando con i pubblici ministeri del posto».

I crimini di Putin
La Norimberga del Cremlino. Tre ipotesi per processare il presidente russo
18/4/2022

Il governo ucraino è stato accusato di esagerare le notizie sui crimini commessi dai russi. Avete l’impressione che siano sospetti fondati? E come vi difenderete dal pericolo delle fake news?
«La prima cosa da fare ovviamente è la verifica delle informazioni, ed è impegnativo perché è un misto tra il lavoro di un giornalista e quello di chi raccoglie testimonianze da utilizzare nei processi sui crimini di guerra. Non basta parlare con i testimoni e assicurarti che siano sinceri, devi seguire dei protocolli precisi. I giornalisti sono i primi ad arrivare sulla scena di un’atrocità, insieme a chi lavora nel pronto soccorso, quindi sono testimoni cruciali. Ma nelle 18 guerre che ho visto finora è successo spesso che le storie venivano pubblicate sui giornali ma poi non arrivavano in tribunale, e le vittime non trovavano giustizia».

 

E chi insegnerà ai giornalisti i protocolli da seguire?
«Abbiamo a Londra un consulente legale che ha lavorato in Sudafrica, per la Truth and reconciliation commission. E un altro è siriano, ha collaborato alla costruzione del Syrian Archive, che documenta i crimini della guerra in corso. È essenziale cominciare al più presto, non possiamo aspettare che la guerra finisca: non è importante come finisce una guerra, c’è sempre bisogno di “transitional justice”, di fare giustizia per chiudere la fase del conflitto e passare a una pacificazione costruttiva».

L’elenco
La lunga lista di crimini di guerra di Vladimir Putin
8/4/2022

Questo conflitto a poche centinaia di chilometri dalle capitali europee è particolarmente impressionante per noi italiani. Ma per lei che ha visto tante guerre, in qualche modo questa è davvero diversa dalle altre?
«In un certo senso ogni guerra è diversa, ognuna ha un suo marchio di fabbrica. E questa è essenzialmente una guerra di Putin: voglio dire che i russi stanno sistematizzando qui strategie già sperimentate altrove. Sono atrocità sistematiche: martellamenti di artiglieria, bombardamenti di ospedali… È quello che hanno fatto ad Aleppo. Non hanno nessun rispetto per la protezione dei civili, abbiamo visto molte atrocità contro cittadini inermi. Molti per questo fanno il paragone con la Siria o la Bosnia. E anche se ci sono differenze che sarebbe lungo spiegare, una somiglianza tragica c’è ed è il fatto che i civili non sono vittime collaterali: vengono deliberatamente presi di mira».

 

Moltissimi profughi stanno lasciando l’Ucraina e sperano di costruirsi una nuova vita in altri paesi: questo però porta un doppio pericolo. Significa che l’Ucraina perderà molte persone piene di energia e di talento, e che Putin avrà ottenuto il risultato di liberarsi dagli ucraini…
«Questo è quello che è successo in Siria. Quando vedi la marea di profughi che lasciano le loro case e le loro radici, capisci che lasciano lì anche le loro identità. E spesso non potranno tornare indietro per anni, o forse mai. Però credo che questo caso sia diverso dalla Siria. Lì i rifugiati non possono tornare alle loro case perché Aleppo è stata bombardata e altri paesi sono stati distrutti, o perché hanno paura di Assad che è ancora al potere. Ma qui non c’è una guerra civile: è un Paese che è stato invaso, quindi è una situazione diversa. Non so cosa accadrà ma sembra che già ora alcuni posti siano più sicuri di prima, e alcune persone stanno già tornando».

 

Come concilia la necessità di raccogliere testimonianze “solide” sui crimini di guerra con il rispetto per la sofferenza delle vittime?
«Il principio di base è presto detto: “do no harm”, non fare del male. Ma spiegare come si fa è un discorso lungo: è la parte più importante dell’addestramento che daremo ai giornalisti con cui siamo in contatto. Devi stare molto attento a non risvegliare il trauma, anche perché le parole di una persona traumatizzata non sono utilizzabili in tribunale. Per ricostruire come sono andate le cose, per esempio, è essenziale che la cronologia sia accurata, ma le vittime di un crimine hanno un senso del tempo sconvolto dal trauma. Devi parlare con loro in un luogo in cui si sentono al sicuro, e davanti al marito o a un familiare se lo richiedono. Soprattutto non devi promettere niente: neanche dire “porteremo il tuo caso all'International criminal court”. Sono persone che sono passate attraverso un dolore insopportabile quindi l’essenziale è non far loro altro male: raccogliere prove è importante, ma viene dopo». 

LEGGI ANCHE

L'E COMMUNITY

Entra nella nostra community Whatsapp

L'edicola

Insidie d'agosto - Cosa c'è nel nuovo numero de L'Espresso

Il settimanale, da venerdì otto agosto, è disponibile in edicola e in app