Medici legali e periti balistici giunti da tutta Europa eseguono autopsie, elevano campioni di Dna e bossoli fra le macerie. Per ricostruire con precisione quello che è accaduto, avviare le indagini e fornire risposte ai parenti delle vittime (foto di Alessio Mamo)

Borodyanka viene occupata dalle truppe russe pochi giorni dopo l’inizio dell’invasione. Come tutte le città dell’area periferica di Kiev, la sua conquista rientra nella strategia di accerchiamento della capitale messa in atto dal Cremlino. I soldati che avanzano con i carri armati radono al suolo tutto ciò che ostacola il loro cammino. Le auto schiacciate dai cingolati diventano carcasse, i colpi di cannone sventrano le abitazioni, le mitragliatrici sparano ad altezza d’uomo, granate aprono crateri sulle strade. Qualcuno riesce a fuggire. Ma sono troppi quelli che rimangono intrappolati nelle cantine o nei sottoscala dei palazzi.

 

I russi s’impadroniscono delle loro case. Parcheggiano i carri armati nei giardini. Svuotano gli appartamenti di elettrodomestici e mobili e con essi costruiscono le loro barricate. Trincerati nelle case dei cittadini di Borodyanka, i militari sparano a bruciapelo a chi tenta di scappare. E intanto passano i giorni, che diventano settimane. E lentamente, sotto i colpi dell’artiglieria russa, quegli scantinati e sottoscala sono diventati fosse comuni per decine di cadaveri. I russi non hanno nemmeno bisogno di scavare per nascondere le vittime civili. Ci hanno pensato le macerie dei bombardamenti. Oggi, dopo che gli ucraini hanno ripreso il controllo di Borodyanka, mancano all’appello centinaia di persone.

Decine i corpi riesumati dai terreni davanti alle abitazioni. Qualche giorno fa il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha descritto la situazione di Borodyainka «più orribile rispetto a Bucha», l’altra città alla periferia di Kiev i cui orrori hanno fatto il giro del mondo e dove la ritirata russa dal nord dell’Ucraina ha lasciato sulle strade centinaia di cadaveri.

 

Molte vittime erano state torturate prima di essere giustiziate.

 

«Abbiamo dovuto seppellire due vicini in un parco vicino il nostro palazzo», dice una coppia di anziani di Borodyanka: «Erano soli, non avevano parenti qui. Non potevamo lasciarli marcire sulle strade».

 

Al cimitero di Bucha, si seppelliscono decine di salme al giorno, dopo che gli stessi corpi erano stati riesumati dalle fosse comuni dove sono stati trovati almeno 400 cadaveri.

 

«Stiamo seppellendo una nostra amica», dice Alexander: «Era una ragazza di 33 anni. È rimasta intrappolata in un bunker. Nel pomeriggio, accanto a lei, tumuleremo un altro amico, anche lui morto durante l’occupazione dei russi».

Reportage
Ucraina, storia del villaggio che ha resistito
15/4/2022

I sopravvissuti non hanno avuto nemmeno il tempo di festeggiare la liberazione di Borodyanka, Bucha e Irpin che hanno dovuto iniziare a contare i morti.

 

Da giorni, procuratori, medici legali ed esperti forensi, giunti da Kiev e dal resto d’Europa, lavorano senza sosta. Raccolgono campioni di Dna, effettuano autopsie, esaminano i bossoli tra le macerie. Le periferie attorno alla capitale sono una gigantesca scena del crimine dove gli investigatori sono già alle prese con le indagini che hanno l’obiettivo di trovare i colpevoli e fare luce sugli orrori di cui sono accusati i russi.

 

Nell’area di Kiev, le autorità ucraine hanno già contato quasi 800 civili uccisi.

«Questo è solo l’inizio», ha detto Oleh Tkalenko, vice procuratore della regione di Kiev: «Abbiamo appena iniziato a lavorare nelle città più grandi come Borodyanka, Hostomel, Irpin e Bucha. Ma ci sono molti corpi che non abbiamo ancora dissotterrato».

 

Prove e indizi serviranno a condurre due indagini, una a livello nazionale e l’altra, decisamente la più attesa, quella condotta da Karim Khan, capo della procura della Corte penale internazionale (Cpi) che si è già recato in Ucraina.

 

Nel solo distretto di Bucha, almeno 50 agenti di polizia sono ancora alla ricerca di corpi, molti dei quali carbonizzati. Si cerca negli scantinati, nelle case. S’interrogano testimoni e si contano le auto dei civili crivellate dai russi. Ogni video registrato dalle telecamere private di negozi e abitazioni può diventare una prova, a cui si aggiungono le centinaia di intercettazioni telefoniche, in cui in alcuni casi i russi hanno confessato ad amici e parenti di aver commesso omicidi e stupri.

L’elenco
La lunga lista di crimini di guerra di Vladimir Putin
8/4/2022

«Documentare correttamente ogni singolo caso richiede tempo e fatica», dice Tkalenko: «Ma dobbiamo farlo in modo da raccogliere delle prove incontrovertibili. Credo che i soldati russi abbiano deliberatamente lasciato i corpi dei cittadini che hanno ucciso per le strade e abbiano proibito alle persone di seppellirli per intimidire la popolazione».

 

Tkalenko spiega che nella città di Motyzhyn, le truppe russe avrebbero arrestato nove individui accusati di aiutare l’esercito ucraino. Sei sono stati torturati a morte. «Sono stati spogliati nudi e picchiati», dice Tkalenko: «Sono stati colpiti alle gambe, alle braccia e torturati. E infine li hanno fatti morire di fame».

I crimini di Putin
La Norimberga del Cremlino. Tre ipotesi per processare il presidente russo
18/4/2022

Secondo le prime prove raccolte dalle autorità ucraine, ci sarebbero molti casi di civili - almeno 40 - utilizzati come schiavi, costretti a lavorare per i russi e a scavare le proprie tombe. Infine i russi li avrebbero giustiziati con un colpo di pistola alla testa.

 

Poi ci sono i casi di stupro. Sarebbero decine le donne violentate da soldati russi nelle aree occupate. Secondo le autorità, alcune donne potrebbero essere state stuprate prima di essere giustiziate.

 

Le autorità ucraine spiegano che molte donne sono riluttanti a denunciare alla polizia gli atti di violenza sessuale perché ritengono che i colpevoli non saranno mai consegnati alla giustizia.

 

L’8 aprile, il difensore civico ucraino per i diritti umani, Lyudmila Denisova, ha sostenuto che a Bucha 25 donne sono state tenute in ostaggio in uno scantinato e violentate sistematicamente. Le prove delle torture e delle violenze sessuali vengono ricercate dai medici legali anche sui cadaveri, che dopo essere stati disseppelliti dalle fosse comuni, vengono inviati agli obitori locali delle città vicine, visto che in quelli di Bucha e Borodyanka non ci sarebbe più spazio per altri morti. Ogni lembo di pelle può nascondere un indizio, anche una piccola scheggia conficcata nel corpo.

 

A Irpin, ridotta ad un cumulo di macerie dai bombardamenti e dall’artiglieria russa, sono state già identificate 269 persone, secondo Serhiy Painteleiev, vice capo del dipartimento investigativo della polizia nazionale. Sarebbero stati uccisi in 7 luoghi di esecuzione già individuati dalle autorità ucraine.

 

A Bucha i corpi identificati sono oltre 160.

 

Al di là delle prove collezionate con l’obiettivo di provare i crimini di guerra commessi dai russi e dal loro presidente, identificare i morti significa anche dare loro un nome. L’importanza dell’identificazione dei cadaveri non è solo una questione di dignità per i morti, ma una pratica necessaria soprattutto per la salute dei vivi. Una madre, consapevole della morte del figlio, senza però aver mai trovato il suo copro, difficilmente inizierà ad elaborare il lutto. I familiari dei parenti morti e mai identificati soffrono molto spesso nel cosiddetto «ambiguous lost», una perdita che avviene senza una chiusura o senza una chiara comprensione di essa. Un lutto irrisolto porta a problemi di depressione e alcolismo, due fenomeni ampiamente riscontrati tra i parenti delle vittime del genocidio di Srebrenica, in Bosnia, perpetrato nel 1995, a cui molto spesso Bucha viene paragonata, in attesa di capire le esatte proporzioni della catastrofe umanitaria in corso a Mariupol, il fronte più caldo e brutale della guerra in Ucraina.

 

Di certo, Mariupol, Borodyanka, Bucha, Irpin, sono già entrate nell’Atlante delle stragi di guerra insieme e Marzobotto, Katyn e My Lai, e chissà quante altre che il mondo e la storia non hanno scoperto o dimenticato.

 

Per capire con esattezza le proporzioni della tragedia a Borodyanka, bisognerà aspettare settimane, forse mesi, prima che gli operai riescano a liberare gli scantinati dei palazzi dai detriti.

 

Olga, 65 anni, costretta a trascorrere due settimane chiusa con altre 12 persone nel sottoscala di un edificio sventrato, dice che ogni giorno, parenti e amici dei suoi vicini scomparsi le chiedono se hanno trovato i corpi dei loro cari.

 

«Rispondo sempre con la stessa frase: non ancora», dice: «Perché sono certa che i loro corpi e quelli di decine di miei amici e vicini, si trovano ancora lì, sotto le macerie».

 

Qualcuno si avvicina ai detriti. Bisbiglia qualcosa incrociando le mani sul petto. I palazzi di Borodyanka sono già diventati lapidi. Tanto vale iniziare a pregare.