Fino ad alcuni anni fa i gruppi dirigenti dei due paesi erano molto vicini ma con la spaccatura tra filo europeisti e filorussi degli ultimi anni le cose sono cambiate. Come dimostra il caso della rassegna musicale organizzata in Crimea

Quell’élite ucraina sedotta da Vladimir Putin: la storia emblematica del Festival del Jazz

Lilia Mlinarich, 61 anni portati sotto lunghi capelli biondi, la metà vissuti nell'Unione sovietica e l'altra metà in Ucraina, sente l’allarme bombe ma non intende correre nel rifugio. Si accomoda nell'ampio salotto beige della suo appartamento disegnato dal celebre architetto ucraino Igor Palamarchuk, accarezza i due cagnolini pechinesi, e sfida la sorte. Nel centro della capitale ucraina. Fa fatica a credere che Mosca possa bombardare il cuore di Kiev.

 

Fino a pochi anni fa le élite di entrambi i Paesi facevano soldi insieme, e Kiev guardava a Mosca con un misto di ammirazione e invidia. «Pensavamo che l'unica cosa che contasse davvero fosse avere denaro», racconta questa manager in pensione. Che il tempo delle ideologie fosse finito.

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Erano gli anni del dopo la caduta del muro di Berlino, quelli in cui il capitalismo soffiava ad est e chi faceva i soldi in fretta diventava ricchissimo e chiamava gli amici dell'università oppure i vecchi vicini di casa a gestire le sue nuove aziende. Gli anni d'oro, in cui sono cresciuti gli oligarchi su entrambi i lati di quel confine oggi devastato dalle bombe. In cui sembrava che business e politica fossero destinati ad aiutarsi reciprocamente, nell'interesse comune. Gli anni in cui il potente Viktor Pinchuk, proprietario di "Interpipe group", uno dei principali produttori d'acciaio dell'Ucraina e, a suo tempo, di tutta l'Unione sovietica, aveva deciso di investire nei media e aveva chiamato Mlinarich, sua vecchia compagna di università a Dnipro a dirigere la sua nuova stazione televisiva, Ictv. Poi, dando retta a un consulente russo - i russi erano considerati più esperti degli ucraini e il russo era la lingua più parlata in Ucraina - aveva chiesto al giornalista moscovita Dmitry Kiselyov, oggi conosciuto come il «portavoce di Putin», di dirigerne i contenuti editoriali.

Liliya Mlinarich

«Ci siamo conosciuti così, entrambi al servizio di un oligarca che a sua volta sosteneva la campagna di rielezione del secondo presidente ucraino, Leonid Danylovych Kuchma, di cui aveva sposato la figlia Olena», racconta lei: «Erano anni entusiasmanti». Pinchuk aveva portato a Kiev l'intellighenzia di Dnipro, la seconda città più importante dell'Ucraina, e uno dei primi centri industriali dell'Urss, quartiere generale della fabbrica di missili sovietici Yuzhmash di cui Pinchuk era stato direttore e uno dei poli universitari più grandi dell'Unione sovietica. Qui Stalin deportava gli intellettuali scomodi e qui sono nati politici celebri, dal russo Leonid Brezhnev all'ex premier ucraina Yulia Tymoshenko.

 

Kiselyov era soprannominato allora «l'europeo». Laureato in lingue scandinave, parlava svedese e finlandese oltre al francese e all'inglese. «Era un uomo affascinante, convinto sostenitore della libertà di espressione e della necessità della caduta dell’Unione sovietica», racconta Mlinarich: «Le sue parole erano balsamo per le nostre orecchie sovietiche». Figlio di un alto militare dell'esercito russo e di una madre critica teatrale, direttrice della fondazione Stanislavski, a pochi passi dalla piazza Rossa, aveva avuto accesso a un'ottima educazione e alla possibilità di lavorare anche Oltrecortina. «Gli piaceva piacere». Aveva creato un club esclusivo accanto alla scuderia fuori Kiev dove amava andare a cavallo, in cui invitava gli ospiti dei suoi talk show, tutte persone influenti. «Era amato e rispettato», racconta Mlinarich, che con lui condivideva la passione del jazz, che andavano ad ascoltare nell'unico club di Kiev, lo Yamaha.

 

Il jazz divenne il loro legame. Quando i consulenti occidentali dell'Hay group chiesero a Mlinarich di sviluppare un hobby per essere più produttiva nel  lavoro, come racconta ridendo, non ebbe dubbi: «Io non avevo idea di cosa fosse un hobby ma pensai subito ad un progetto con Dmitry». Era il mese di maggio. Il 9 luglio 2003 i due danno avvio alla prima edizione del Jazz Festival ucraino, senza scopo di lucro e interamente finanziato da donazioni, scegliendo come sede una località in Crimea: Koktebel’, celebre cittadina di villeggiatura sul mar Nero. «Dmitry voleva comprare casa in questa località turistica ma, durante un sopralluogo, capì subito che il posto era in decadenza».

 

La casa del poeta e acquerellista ucraino Maksimilian Voloshin, uno dei primi creatori delle residenze per artisti, aveva bisogno di un buon lifting e anche la piazza centrale. Così Kiselyov impegnò tutte le sue conoscenze, lungo tutto l'arco parlamentare, per raccogliere fondi sia per il restauro della cittadina sia per il festival. «Tra i primi sostenitori ci fu anche Petro Poroshenko», presidente prima di Volodymyr Zelensky, sorride lei. E nel giro di tre anni il festival cominciò ad attrarre artisti da tutto il mondo, moltissimi europei. L’Ucraina si stava aprendo, anche culturalmente, ad occidente. 

Dmitry Kiselyov

Ma poi qualcosa in Kiselyov, che non aveva mai smesso di collaborare con i media di Mosca, cambiò. Con il passare dei mesi assunse una linea sempre più filorussa, di pari passo con l'assunzione da parte di Vladimir Putin del secondo mandato da presidente e con l'inizio della seconda guerra contro la Cecenia. Inizialmente nessuno alzò un sopracciglio.

 

I rapporti tra Mosca e Kiev erano ottimi e patron Pinchuk, non potendo votare una terza volta per il genero perché lo impediva la Costituzione, puntò sull'uomo che gli sembrava più facile da manovrare: Viktor Yanucovich, leader del partito russofilo delle Regioni. A sostenerlo furono molti oligarchi, compreso il ricchissimo Renate Akmetov, che esercitavano enorme influenza soprattutto nelle province orientali e meridionali dell'Ucraina. Regioni in cui la popolazione stentava a parlare ucraino e in cui il libero mercato non aveva mai attecchito. In un primo tempo sembrò che il risultato elettorale avesse favorito Yanucovich ma poi la Corte suprema, a causa di brogli che portarono alla rivoluzione arancione del 2004, annullò il risultato e indisse una nuova tornata elettorale che fu vinta dal rivale Viktor Yushchenko.

 

Fu a quel punto che Kiselyov comprese di non avere più un grande futuro nel Paese. I vertici del gruppo editoriale, a partire da Pinchuk, non avevano nessun interesse nel mantenere una linea ostile al nuovo governo. E la linea di Kiselyov coincideva sempre più con quella della nuova propaganda russa. Così, al termine del contratto con Ictv nel 2005, il giornalista accetta l'offerta di Oleg Dobrodev, amministratore delegato della televisione di Stato russa, e rientra definitivamente a Mosca come conduttore dello show politico "Interesse nazionale" sul canale Russia 1.

 

«Da allora nulla fu più uguale», racconta Mlinarich. «Quando lavorammo ancora una volta insieme a una produzione congiunta sulla Georgia mi resi conto che aveva preso a chiamare Mosca "fratello maggiore", ad esaltarne la superiorità del sistema educativo. E nel 2007, in uno dei suoi documentari nostalgici sull'Unione sovietica, si riferì all'Urss come al "Paese che abbiamo perso"». Ancora due anni e, quando Kirill è nominato patriarca della Chiesa ortodossa russa, Kiselyov non esita a diventarne amico tanto che da fargli battezzare la figlia e da intervistarlo regolarmente in occasione del Natale.

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Per fare carriera doveva accreditarsi presso il Cremlino, racconta Mlinarch: «Un'ambizione smodata senza alcuna remora ideologica». Ucciso il liberale filo europeo degli anni Novanta, Kiselyov trova una nuova vita come ideologo conservatore delle élite russe e si spinge fino al punto di volere ricreare una sorta di club delle élite sovietiche, ottenendo l'adesione di alcuni ucraini, bielorussi e armeni. Il Festival del Jazz in Crimea comincia a diventare imbarazzante: quando nel 2013, in seguito ad un accordo con il British Council, vi partecipano alcuni artisti inglesi dichiaratamente gay si dissocia pubblicamente dall'evento. Nel 2013 Putin in persona lo nomina amministratore delegato di Rossiya Segodnya, l'agenzia internazionale incaricata «di ripristinare il giusto atteggiamento internazionale verso la Russia come potenza geopolitica con buone intenzioni».

 

Poi nel 2014 la Russia invade le regioni ucraine del Donbass e della Crimea. Se a est incontra resistenza, in Crimea gli abitanti spalancano le porte ai vecchi amici. La Crimea è stata a lungo il porto sia della Russia sia dell'Ucraina, Sebastopoli il luogo dove entrambi i marinai si incontravano e si scambiavano esperienze e quello in cui gli ucraini si sono presto resi conto di essere sottopagati rispetto ai colleghi russi. Gli investimenti del governo di Kiev si erano concentrati negli anni soprattutto ad occidente, verso le regioni confinanti con l'Europa: la Crimea non era più strategica nemmeno come luogo turistico, snobbata dai villeggianti per le spiagge più calde della Turchia. La Russia invece sembrava offrire un futuro migliore: salari e pensioni più alte. Risultato: la Crimea fu annessa senza spargimento di sangue nel giro di un mese. 

 

L'annessione della Crimea segna anche la fine del Festival del Jazz. Dopo un tentativo fallito di replicarne il successo, Kiselyov chiede a Mlinarch di vendergli il marchio in cambio di un lauto stipendio e di un appartamento nel centro di Mosca. «Erano tanti soldi», dice lei con un sospiro: «Ma il Festival del Jazz è ucraino e resta in Ucraina». Come lei.

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