Reportage
L’Ucraina a caccia dei collaborazionisti che hanno aiutato i russi. E si riaprono le ferite del Paese
Sono 1.400 i cittadini ucraini sotto inchiesta per aver cooperato con Mosca. Sono accusati di aver spianato la strada alle truppe di Putin facilitando lo sterminio. Ma c’è chi ha tradito solo per paura. E affrontare questo problema adesso può rivelarsi un boomerang
Quando i servizi segreti europei, restii per lungo tempo a credere alla reale consistenza delle minacce russe, rimasero a dir poco sbigottiti dalla massiccia invasione dell’Ucraina ordinata da Vladimir Putin, il sindaco di una piccola città a sud ovest di Kharkiv, per nulla sorpreso dall’attacco, assisteva quasi divertito al tragico disinganno occidentale, fregandosi le mani di nascosto. Mani che poco tempo prima avevano stretto, in accordi segreti, quelle dei comandanti militari russi.
Si chiama Alexander Bryukhanov, primo cittadino di Pivdenne, 65 anni, noto per le sue posizioni filorusse. Bryukhanov sapeva da tempo che Putin faceva sul serio e, prima ancora che i carri armati varcassero il confine con l’Ucraina, aveva già stipulato un accordo con le truppe del Cremlino, offrendo loro la sua completa collaborazione e consegnando nelle mani di Mosca le chiavi della sua città. Ma non aveva fatto i conti con la strenua resistenza ucraina. I russi, infatti, messi in difficoltà dal contrattacco di Kiev, non arriveranno mai a Pivdenne e all’alba dello scorso 28 febbraio, il sindaco e la sua infida combriccola di giudici, poliziotti e consiglieri, verranno arrestati con l’accusa di alto tradimento.
Bryukhanov è uno dei 1.400 cittadini ucraini sotto inchiesta per aver cooperato con Mosca. A inizio maggio, il procuratore generale dell’Ucraina, Iryna Venediktova, ha dichiarato che sono oltre 700 i casi di alto tradimento e altri 700 quelli per collaborazionismo. Solo nell’oblast di Kharkiv, ancora oggi assediato dai russi, i pubblici ministeri hanno riferito a L’Espresso di aver aperto un’inchiesta contro 50 individui, inclusi sette agenti di polizia, cinque sindaci e un giudice. Sono tutti accusati di aver spianato la strada ai russi, offrendo loro trasporto, alloggio, carburante e cibo per tutta la durata della loro permanenza. Secondo le autorità della regione, già prima dell’invasione, alcuni cittadini avrebbero rivelato al nemico informazioni riservate sulle posizioni militari ucraine, sulla collocazione degli obiettivi da bombardare, fornendo ai militari indicazioni sulle scorciatoie per raggiungere più facilmente i villaggi da invadere, e persino un elenco completo dei veterani del Donbass, molti dei quali saranno giustiziati durante l’occupazione. E così facendo, non avrebbero solo collaborato con il nemico, ma contribuito a tutti gli effetti al massacro di centinaia di connazionali.
Kiev, da qualche settimana, ha deciso di affrontare seriamente la questione, dolorosa per un Paese che in questi giorni, trincerato sul fronte orientale, con le armi che scarseggiano, vive forse il momento di maggiore difficoltà dall’inizio della guerra. E se da un lato parlare in questo momento della delicata questione dei collaborazionisti ucraini può servire da monito per tutti quei cittadini tentati dalle promesse russe, anche a causa della diffusa frustrazione per un esito sempre più incerto del conflitto, dall’altro la faccenda rischia di diventare un pericoloso boomerang per la resistenza ucraina e una ghiotta opportunità per la propaganda russa, che non vede l’ora di rinfacciare al mondo di poter contare sull’appoggio di una parte - seppur striminzita - della popolazione. La vicenda diventa poi ancora più complessa se ai casi di alto tradimento si aggiungono quelli in cui molti cittadini residenti nei territori occupati da Mosca sono stati costretti a collaborare loro malgrado con le truppe del Cremlino per salvare la propria pelle e quella dei loro cari.
Oleksandr Filchakov, procuratore capo della regione di Kharkiv, spiega che al momento solo la metà dei cittadini accusati di collaborazionismo sono stati arrestati: «L’altra metà si trova ancora nei territori occupati e per il momento non è possibile intervenire. Le accuse contro di loro sono gravissime. Parliamo di uomini che avrebbero guidato le truppe russe nelle loro città, consigliando al nemico sentieri e dando loro persino suggerimenti per attraversare fiumi. Stilavano per i russi gli elenchi dei poliziotti, dei militari e anche le liste degli abitanti più ricchi, in modo da consentire ai soldati di Mosca di potersi appropriare dei loro beni una volta giunti nelle città. Parliamo di cittadini ucraini che hanno contribuito all’esecuzione di loro connazionali».
Ilko Bozhko, un ufficiale militare del Comando orientale dell’esercito ucraino, spiega che numerosi abitanti dei villaggi a nord della regione hanno raccontato agli investigatori che i russi, una volta giunti nelle loro città, sapevano perfettamente come muoversi.
«Ci hanno riferito che le truppe nemiche sapevano già dove andare e come ottenere tutto ciò che volevano. Sapevano esattamente dove trovare i generatori elettrici, provviste di cibo e acqua», ha affermato Bozhko.
Il 27 febbraio scorso, tre giorni dopo l’inizio della guerra, Gennady Matsegora, sindaco di Kupyansk, una città dell’Ucraina nord-orientale, diffuse sui canali social un video in cui annunciava di aver consegnato la sua città alle truppe russe. Nella breve clip, Matsegora, che ha accusato l’esercito ucraino di aver abbandonato la sua città, spiegava di aver deciso di collaborare con il Cremlino perché non aveva scelta. Eppure, secondo diversi testimoni, Matsegora in quei giorni stava già lavorando ai preparativi per la parata del 9 maggio, la festa russa per celebrare la vittoria dell’Unione sovietica sul nazifascismo.
Anche nei villaggi di Bucha, Hostomel, Irpin e Borodyanka, devastati dall’artiglieria russa, si vocifera che dietro l’occupazione di Mosca ci sia lo zampino di un numero non meglio precisato di «traditori».
«Sapevamo già, prima dell’invasione, che nella nostra regione c’erano dei cittadini filo-russi», dice Bozhko: «Ma dobbiamo anche comprendere che ci sono diversi livelli di collaborazione. Ci sono persone che non vedevano l’ora di entrare a far parte dell’esercito russo e ci sono però molte persone che hanno collaborato col nemico per salvarsi la vita. Parliamo di uomini e donne che sono stati costretti a collaborare sotto la minaccia delle armi».
Presto le autorità ucraine dovranno fare i conti con il problema, spinoso, delle scuole nelle aree del Donbass occupate dai russi: il ministro dell’Educazione di Mosca, Serghei Kravtsov, ha infatti annunciato che dal primo settembre gli istituti scolastici delle aree occupate dal Cremlino seguiranno i programmi del sistema scolastico russo. Se l’Ucraina dovesse riprendere il controllo di questi territori, migliaia di insegnanti costretti a lavorare sotto le nuove direttive russe potrebbero sotto accusa per collaborazionismo.
«È una questione difficile se non dolorosa», ha affermato Sergii Gorbachov, difensore civico dell’Istruzione dell’Ucraina: «È molto complicato stabilire una linea di confine tra ciò che sia giusto e sbagliato in questo contesto. Non credo si debbano pretendere atti di eroismo dai civili ucraini disarmati. La cosa più importante è non collaborare volontariamente».
Volodymyr Ariev, deputato del partito di Solidarietà Europea guidato dall’ex presidente ucraino Petro Poroshenko, ha chiesto che il Parlamento lavori presto ad una nuova legge sui collaborazionisti che consenta una punizione rapida ed efficace, ma che prevenga anche gli abusi, classificando i casi in base al grado di gravità. «Dobbiamo essere in grado di accertare il livello di collaborazione e anche il livello dei danni causati», ha affermato Ariev: «Alcune persone dovrebbero andare in prigione, mentre altre dovrebbero essere multate o bandite dal servizio pubblico».
Alcuni osservatori hanno fatto notare come la questione dei collaborazionisti filorussi abbia aperto nel cuore del Paese un’antica ferita, quella del collaborazionismo ucraino durante il nazismo, quando migliaia di cittadini si arruolarono nelle SS e nell’esercito dell’Asse.
Eppure, allora, le ragioni che portarono una parte degli ucraini a schierarsi con il nemico erano diametralmente opposte rispetto a quelle di oggi. Anzi, secondo alcuni storici, le radici anti-russe in Ucraina vanno ricercate proprio in quegli anni, quando i giovani in età militare si presentarono davanti ai centri di reclutamento dell’Asse non perché amavano i tedeschi, ma perché odiavano i russi.
A guidarli, c’era un uomo, una delle figure più controverse della storia ucraina: Stepan Bandera, simbolo nel Paese dell’indipendentismo e del nazionalismo. Alla guida del movimento nazionalista ucraino Oun, Bandera fu a capo dell’esercito partigiano Upa, che si scontrò prima contro i polacchi e poi contro l’Armata rossa al fianco dei nazisti. Oggi, la figura di Bandera, considerato da molti, soprattutto a ovest del paese, un eroe nazionale, gioca un ruolo di primo piano nella strategia della propaganda tra Russia e Ucraina. La gente che lo osannava veniva etichettata dai russi come «banderovtsy», termine dispregiativo e sinonimo di filonazista o collaborazionista. Oggi, la sua faccia campeggia su magliette, bandiere, spille e tazze. E persino sulla pelle di centinaia di giovanissimi ucraini che di Bandera, fino a prima dell’invasione russa, non conoscevano l’esistenza. Da quando è iniziata la guerra, fanno la fila per farsi tatuare il suo volto. Ennesima conseguenza di un’invasione che avrebbe dovuto spegnere il nazionalismo ucraino e che invece sembra averlo rinverdito.