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3 dicembre, 2025"Faremo fuori quei figli di p......", ha detto il presidente Usa. Al leader venezuelano Washington ha lanciato un ultimatum e ha offerto una via di fuga in cambio delle dimissioni (proposta poi rifiutata da Caracas)
Dopo che negli scorsi giorni tra Washington e Caracas sembrava essersi aperto uno spiraglio di dialogo - con la chiamata di Donald Trump a Nicolas Maduro e l’indiscrezione secondo cui il leader chavista sarebbe stato disposto a dimettersi (ma entro 18 mesi) - ora il presidente degli Stati Uniti torna a fare la voce grossa. Ieri sera - 2 dicembre - ha lasciato intendere, come già fatto in passato, che i raid (formalmente contro i cartelli di droga) inizieranno “molto presto”. Una minaccia conclusa con uno stile a cui ormai il tycoon ci ha abituato da tempo: “Faremo fuori quei figli di puttana”.
Trump ha allargato le minacce a qualsiasi Paese che traffichi droga negli Stati Uniti, "soggetto ad attacchi". "Chiunque lo faccia e lo venda nel nostro Paese è soggetto ad attacco. La Colombia ha fabbriche di cocaina, qualsiasi Paese che lo faccia è soggetto ad attacco, non solo il Venezuela", ha aggiunto (nonostante Caracas ha un ruolo residuale nelle rotte della droga). A Trump ha replicato ancora il presidente colombiano, Gustavo Petro, ai ferri corti con Washington ormai da tempo: “Attaccare la nostra sovranità significa dichiarare guerra. Trump, non rovini due secoli di relazioni diplomatiche. Già mi ha calunniato, non continui”
Finora gli attacchi statunitensi si sono concentrati (incassando la condanna anche delle Nazioni Unite) sulle imbarcazioni di presunti narcos in acque internazionali nel mar dei Caraibi - ne sono stati uccisi un centinaio -, ma l’intenzione è quella di alzare il tiro. "A terra è molto facile. Conosciamo le rotte che percorrono. Sappiamo tutto di loro. Sappiamo dove vivono. E inizieremo molto presto", ha dichiarato Trump durante una riunione di gabinetto. Di fronte al Venezuela, com'è noto, ormai da tempo Washington ha schierato una flotta con circa 15 mila militari in "compagnia" della portaerei Gerald Ford.
Da Trump è arrivato anche l’ennesimo ultimatum nei confronti di Maduro, invitato a dimettersi e ad abbandonare il Paese sudamericano in cambio di una via di fuga, anche per la sua famiglia e i suoi più stretti collaboratori. È stata un’offerta arrivata negli scorsi giorni, dopo la telefonata tra i due leader, a cui il presidente venezuelano ha tentato una triplice controproposta. Maduro ha innanzitutto preteso un’amnistia totale per sé e per i membri del suo entourage, così da essere sollevato da ogni responsabilità per i crimini commessi. Inoltre, ha ipotizzato uno scenario in cui, pur accettando di farsi da parte e permettere nuove elezioni realmente democratiche, avrebbe comunque mantenuto il controllo dell’esercito. Infine, ha chiesto che l’eventuale accordo non fosse applicato subito, come invece insistevano gli Stati Uniti, ma in un momento successivo. Tutte queste condizioni sono state respinte e, pochi istanti dopo, Trump ha annunciato sui suoi social la chiusura dello spazio aereo sopra il Venezuela. E negli scorsi giorni ha aumentato la taglia sulla testa di Maduro a 50 milioni di dollari e ha ufficialmente designato il Cartel de los Soles - secondo Washington guidato dallo stesso leader venezuelano - come organizzazione terroristica.
Dal canto suo Maduro ieri è ricomparso in pubblico dichiarando di fronte ai suoi sostenitori, ribadendo che Caracas non accetterà “né una pace da schiavi né la pace delle colonie” e ha risfoderato la sua danza già comparsa in passato.
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