L'accordo dei leader Ue al Consiglio europeo: 800 miliardi per il riarmo del Vecchio continente. Sull'appoggio a Kiev si va avanti nonostante il veto di Orban

I 27 approvano il piano ReArm di von der Leyen, con la possibilità di scorporare gli investimenti per la difesa dal patto di stabilità. Sottoscritti i "cinque princìpi" per una "pace giusta" in Ucraina

Un primo effetto sulle politiche dell’Unione europea Donald Trump l’ha già avuto: il Vecchio continente ha dovuto accelerare sullo sviluppo di una difesa comune. Due giorni dopo l’annuncio del piano ReArm da parte della presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, i 27 Stati membri si sono incontrati ieri - 6 marzo - per un Consiglio europeo straordinario. Oggetto dell’incontro: riarmo e sostegno all’Ucraina. La prima notizia è che i 27 sono sostanzialmente allineati sulla necessità di spendere di più in armi: non che manchino distanze da limare tra i leader – per esempio sulla scelta dei fondi da usare – ma tutti si sono detti sostanzialmente d’accordo sul piano da 800 miliardi proposto da von der Leyen. La seconda è che, dopo il vertice di Londra di domenica 2 marzo, i leader europei hanno ribadito il proprio appoggio a Kiev, dopo lo scontro senza precedenti tra Zelensky e Trump nello studio ovale. Con un’eccezione (ma questa ormai è più una notizia): all'appello è mancato il presidente ungherese Viktor Orban.

Parola d'ordine: "riarmo"

“Riarmo” è la parola che più circola in questi giorni negli ambienti europei. Il prossimo passo verso questa “nuova Europa” sarà il Consiglio europeo del 20 e 21 marzo, dove la Commissione presenterà due proposte legislative. Il piano ReArm Europe di von der Leyen prevede di mettere in campo 800 miliardi nei prossimi quattro anni. Di questi, 150 dovrebbero provenire da prestiti comuni europei, sulla falsariga dello strumento Sure usato durante la pandemia. I restanti 650 dovrebbero essere messi, proporzionalmente, dai singoli Stati ma – ed è questa una delle novità principali – saranno scorporati dalle regole del Patto di stabilità. Che, tradotto, vuol dire che sugli investimenti nella difesa i 27 potranno fare più debito senza essere vincolati dai paletti di bilancio europei.

Era una possibilità, ventilata fortemente dalla premier Giorgia Meloni, che circolava da tempo. Ma al vertice di Bruxelles, in un’inedita inversione a U, è stata abbracciata anche dalla Germania del cancelliere in pectore Friedrich Merz (anche se non sono mancate le preoccupazioni dei Paesi “frugali”). Tutto questo consentirebbe agli Stati Ue di spendere fino al 1,5 per cento del Pil in difesa senza incorrere in procedure per deficit eccessivo. Che, solo per l’Italia, equivarrebbero a circa 31 miliardi di euro.

L'accordo (senza Orban) su Kiev

Se sul riarmo i 27 si sono trovati sostanzialmente d’accordo sulla strada da seguire, sull’Ucraina si è riproposto il copione che ormai va in scena da mesi. Sul capitolo delle conclusioni finali dedicato a Kiev si deve registrare, ancora una volta, il veto di Orban. Ma il “no” del premier ungherese, principale alleato di Putin in Ue, non ha impedito ai 26 di andare dritti e insieme (anche con lo scettico premier slovacco Robert Fico, che in cambio riceverebbe flessibilità nell’approvvigionamento di gas russo) verso la sottoscrizione dei “cinque principi” per una “pace giusta” in Ucraina. Questi punti richiamano il rispetto della “sovranità e dell’integrità territoriale” del Paese, la necessità di “intensificare” l’aiuto militare (per provare a compensare il pass indietro di Trump il prossimo pacchetto dovrebbe ammontare a 30 miliardi di euro), le “garanzie di sicurezza solidi e credibili” per Kiev (ma anche per l’Ue) e il fatto che “non ci possono essere negoziati sull’Ucraina senza l’Ucraina”.

Al vertice di Bruxelles c’era anche il presidente ucraino Volodymyr Zelensky: “Siamo molto grati di non essere soli. E non sono solo parole. Lo sentiamo”. Sullo sfondo continua a rimanere la possibilità – sostenuta fortemente dal francese Emmanuel Macron e dal britannico Keir Starmer – di schierare in Ucraina forze d’interposizione sotto l’ombrello Onu. Di questo si parlerà più in concreto al vertice tra i capi di Stato maggiore dell’esercito che si terrà il prossimo 11 marzo a Parigi, con l’Italia che sarà rappresentata dal generale Luciano Portolano. Proprio la possibilità di una missione gestita e autorizzata dalle Nazioni Unite è una possibilità che potrebbe convincere Meloni a partecipare alla “coalizione dei volenterosi”.

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