Per tutti (anche per l'Ue) rimarrà però in vigore l'aumento tariffario al 10 per cento. Il tycoon: "Pechino ci ha mancato di rispetto". Vola Wall Street

Tutto fermo, almeno per 90 giorni. Donald Trump ci ripensa e decide di sospendere l’entrata in vigore dei dazi reciproci per tutti i “worst offenders”, i Paesi verso cui gli Stati Uniti hanno più disavanzo commerciale e a cui erano state inflitte le misure più aggressive, mentre l’aumento tariffario globale di base del 10 per cento resterà in vigore per tutti. Tra i Paesi “graziati” dal passo indietro del tycoon ci sono quindi tutti i 27 Stati dell’Unione europea e, teoricamente, anche la Cina. Ma con Pechino Trump ha scelto di mantenere il pugno duro. Non solo confermando dazi speciali, ma alzandoli fino al 125 per cento. Intanto, dopo giorni in caduta libera Wall Street sorride (anzi vola), con il Dow Jones che sale al 6,91 e il Nasdaq che guadagna il 10,07.

"Una pausa di 90 giorni"

Quello che ieri - 8 aprile - era stata a tutti gli effetti un’incomprensione che poi ha fatto in pochissimo tempo il giro del mondo e ha fatto impazzire le borse, ora è diventato un dato di fatto. In un post pubblicato sul suo social network Truth, Trump ha annunciato “una pausa di 90 giorni, e una tariffa reciproca ridotta durante questo periodo al 10 per cento, con effetto immediato”. Al contrario della Cina, ha aggiunto, “considerata la mancanza di rispetto che ha mostrato nei confronti dei mercati mondiali”, dopo aver alzato a sua volta i dazi nei confronti degli Usa all’84 per cento. L’inquilino della Casa Bianca ha poi aggiunto che “più di 75 Paesi hanno contattato i rappresentanti degli Stati Uniti - inclusi i Dipartimenti del Commercio, del Tesoro e l'Ufficio del Rappresentante per il Commercio (Ustr) - per negoziare una soluzione riguardo ai temi discussi relativi al commercio, alle barriere commerciali, alle tariffe, alla manipolazione valutaria e alle tariffe non monetarie”.

Una strategia per negoziare

La scelta di Trump è letta da molti come una strategia negoziale - uno stop and go già avvenuto nelle scorse nei confronti di Canada e Messico - per costringere le controparti a sedersi al tavolo con gli Stati Uniti e rivedere le proprie relazioni commerciali. Tra l’altro, e probabilmente non a caso, la decisione del tycoon è arrivata a qualche ora dall’approvazione da parte della Commissione europea delle contromisure in tre fasi che - ma ora il condizionale è d’obbligo - entrerebbero teoricamente in vigore dal prossimo 15 aprile. Che quella di Trump sia stata una mossa negoziale è confermato dal segretario al Tesoro degli Stati Uniti, Scott Bessent, che ha sottolineato l’intenzione dell’amministrazione americana di lavorare “a una soluzione con i nostri partner commerciali”. La pausa, ha specificato, “non è dovuta alla reazione dei mercati, ma per avere tempo per negoziare”. Bessent, che era accanto a Trump mentre il tycoon scriveva su Truth annunciando al mondo intero questo time-out di tre mesi, ha anche aggiunto che “la Cina è la principale fonte dei problemi commerciali degli Usa”, sottolineando anche che l’aumento dei dazi al 125 per cento per Pechino è dovuta “all’escalation” dopo che Pechino ha alzato a sua volta le tariffe all’84.

Vola Wall Street

Le prime reazioni, inevitabilmente, non sono arrivate dalla politica ma dalle borse. Non da quelle europee, che hanno chiuso prima dell’annuncio di Trump e, ancora una volta, col segno meno, ma da quella americana. Wall Street corre, con il Nasdaq che sale del 10,07 per cento a 16.824,04 punti, lo S&P 500 che guadagna l'8,12 a 5.387,41 punti mentre il Dow Jones segna un +6,91. Anche il petrolio avanza a New York, con le quotazioni del greggio che salgono del 3,42 per cento a 61,59 dollari al barile. Volano le big tech, con Apple che guadagna oltre il 13 per cento, l'aumento maggiore del marzo 2020, e Nvidia oltre il 12. Ma al di là della sospensione (quasi) totale dei dazi più aggressivi, il muro contro muro con la Cina - dove molte aziende americane (tech e non) conservano gran parte della propria produzione - condiziona inevitabilmente. Bloomberg riporta per esempio che Amazon avrebbe cancellato alcuni ordini di prodotti made in China e provenienti da altri Paesi asiatici. Secondo le fonti citate dal quotidiano americano, la decisione del colosso fondato da Jess Bezos punta a ridurre l'esposizione della società ai dazi di Trump scaricandola sui venditori, che potrebbero essere costretti a rinegoziare i termini con Amazon o vendere le loro scorte in paesi con margini più bassi.

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