Nella notte tra il 25 e il 26 maggio, un raid israeliano su una scuola di Gaza che ospitava sfollati palestinesi ha causato almeno 33 morti: “Il numero dei martiri nel massacro della scuola Fahmi Al-Jarjawi, nel quartiere Al-Daraj di Gaza City, è di almeno 33, con decine di feriti, soprattutto bambini, tra cui diverse donne”, ha resto noto il portavoce dell’Agenzia di protezione civile, Mahmud Bassal, come riportato dall’Afp. Per l’esercito israeliano, “il centro di controllo e comando veniva utilizzato dai terroristi per pianificare e raccogliere intelligence allo scopo di eseguire attacchi terroristici contro civili e truppe israeliane”. Quello sulla scuola non è stato l’unico raid israeliano su Gaza, perché un altro bombardamento dell’Idf su Jabalia, nel Nord della Striscia, ha provocato 19 morti. Ieri, 25 maggio, sono morti sotto le bombe israeliane anche due operatori della Croce rossa internazionale
Da un punto di vista militare i raid continui sono parte della strategia di occupazione di Gaza: secondo quanto annunciato dallo stesso esercito di Tel Aviv, l’intenzione è quella di occupare il 75 per cento della Striscia entro due mesi. Uno minuscolo spiraglio d’ottimismo si è aperto con alcune indiscrezioni rilanciate da Sky News Arabia, secondo cui sarebbe sempre più probabile che "il presidente degli Stati Uniti Donald Trump annunci un cessate il fuoco a Gaza nei prossimi giorni". Le fonti hanno aggiunto che "l'annuncio di Trump avverrà nell'ambito di un accordo che include il rilascio degli ostaggi israeliani”. Ieri mattina il tycoon aveva dichiarato di ritenere di avere buone notizie da Hamas riguardo a Gaza: "Vogliamo vedere se possiamo fermare i combattimenti" a Gaza. Abbiamo parlato con Israele e vogliamo vedere se possiamo porre fine a tutta questa situazione il prima possibile", ha aggiunto.
Intanto inizia oggi il nuovo e controverso meccanismo di consegna degli aiuti umanitari con l’apertura del primo punto di distribuzione nella Striscia gestito dalla Gaza Humanitarian Foundation, designata dal governo israeliano per privare Hamas della possibilità di gestire i beni di prima necessità per la popolazione civile. Ma il governo di Benjamin Netanyahu ha scelto così anche di escludere l’Unrwa, l’agenzia dell’Onu per i rifugiati palestinesi, sotto attacco da mesi da parte di Israele. Nei giorni scorsi, però, l’organizzazione è stata scossa per le dimissioni, prima ancora dell’inizio della missione, del suo amministratore delegato, Jake Wood, che aveva affermato che é “chiaro che non è possibile attuare questo piano nel rigoroso rispetto dei principi umanitari, neutralità, imparzialità e indipendenza”.
Al di là della scelta di escludere l’Onu dalla gestione e dalla distribuzione degli aiuti, i dubbi sono anche sulla reale identità e natura della Ong selezionata dal governo israeliano. Secondo quanto riportato nei giorni scorsi dal Financial Times, la Ghf presenta numerosi interrogativi. Anzitutto sulla reale competenza in ambito umanitario, ma anche sulla titolarità perché è stata registrata in Svizzera da un cittadino armeno senza esperienza nel settore. Un altro punto riguarda i costi: l’operazione dovrebbe distribuire 300 milioni di pasti in tre mesi, al costo di 1,30 dollari ciascuno. Sempre secondo il Financial Times, un anonimo Paese avrebbe promesso di donare 100 milioni di dollari. Ma, al di là dell’identità dello Stato-donatore, all’appello secondo il quotidiano britannico mancherebbero ancora circa 290 milioni di dollari per coprire tutti i costi previsti.