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12 settembre, 2025L’ascesa di Rubio al doppio incarico di segretario di Stato e consigliere per la Sicurezza nazionale viene interpretata da alcune fonti di sicurezza occidentali come il preludio a una nuova stagione di attivismo militare americano in America Latina. E il bersaglio è soltanto uno: Nicolás Maduro
Una nomina che all’apparenza può sembrare burocratica, ma che nei palazzi dell’intelligence ha acceso più di un campanello d’allarme. L’ascesa di Marco Rubio al doppio incarico di Segretario di Stato e Consigliere per la Sicurezza Nazionale – mai vista dai tempi della Guerra Fredda – viene interpretata da alcune fonti di sicurezza occidentali come il preludio a una nuova stagione di attivismo militare americano in America Latina. E il bersaglio è soltanto uno: Nicolás Maduro.
Secondo valutazioni circolate in ambienti riservati, si starebbe delineando un possibile scenario da “cambio di regime”, con modalità non dissimili da quelle già viste negli anni ’70 in Cile, quando Washington – in nome della lotta al comunismo – sostenne il colpo di Stato contro Salvador Allende. Allora, al comando della diplomazia c’era Henry Kissinger. Oggi c’è Rubio, senatore della Florida con una lunga storia di posizioni intransigenti contro i governi socialisti dell’America latina.
«Rubio considera Maduro un’estensione della minaccia russa», spiega una fonte diplomatica europea con accesso a report classificati. «Ha più volte sostenuto la necessità di un’azione militare preventiva. Ora ha i mezzi per metterla in pratica, anche al di fuori del controllo diretto del Congresso».
Negli ultimi mesi, il dossier Venezuela è tornato al centro dell’attenzione statunitense. A riaccendere la miccia è stato il raid del 2 settembre, quando una nave sospettata di trasportare armi e droga è stata colpita da un missile americano al largo delle coste venezuelane. Undici morti, tra cui ufficiali militari. Un’azione unilaterale, rivendicata con fermezza da Washington e letta come “provocazione” da Caracas.
Maduro ha reagito con la consueta retorica: ha definito l’attacco “un atto di guerra” e ha mobilitato l’esercito. Ma il vero fronte si gioca lontano dai riflettori. Secondo fonti dell’intelligence sudamericana, sarebbero già in corso operazioni coperte, coordinate da personale della CIA operante in Colombia e nei Caraibi, con l’obiettivo di destabilizzare l’asse militare del regime venezuelano.
Una delle ipotesi in valutazione, si apprende da fonti legate alla NATO, sarebbe una “operazione decapitante”, ovvero un attacco mirato ai vertici civili e militari del governo venezuelano, da attuare con droni o missili cruise a guida satellitare. Non è un’ipotesi imminente – precisano gli analisti – ma è entrata nei piani operativi.
A rafforzare i sospetti su un’azione orchestrata da Rubio c’è anche il fatto che Donald Trump cerca un risultato forte sul piano internazionale dopo le figuracce in serie rimediate su quasi tutti i fronti. E il Venezuela, già da tempo indicato come “Stato canaglia”, può offrire una vittoria rapida, a costo (politico) contenuto.
Rubio, nel nuovo assetto della sicurezza nazionale, ha il potere di ordinare operazioni coperte, con un livello di controllo congressuale limitato. «È lo stesso schema istituzionale del ’73», ricorda un ex diplomatico americano. «Allora fu usato per appoggiare il golpe di Pinochet. Ora si teme che si possa replicare, mutatis mutandis, a Caracas».
A Bruxelles e in alcune capitali latinoamericane il clima è di crescente preoccupazione. Il Brasile e la Colombia – pur distanti da Maduro – temono le conseguenze regionali di un'eventuale esplosione del conflitto. Anche l’Unione Europea, per ora, resta prudente ma monitora gli sviluppi con attenzione.
Il dato certo è che le operazioni coperte sono già iniziate, e che il doppio ruolo di Rubio non è frutto del caso. Gli equilibri tra Mosca, Pechino e Washington passano anche da Caracas. E il prossimo mese potrebbe essere decisivo.
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