Lo stato della pace nel mondo è pessimo. I conflitti continuano e molti Paesi sono coinvolti solo perché fanno parte di un'alleanza. Sembra di essere tornati alle follie del '14 e del '43
Che cosa significa in politica estera la prossima inaugurazione dei due gasdotti giganti dalla Russia verso la Germania e, a sud, verso l'Italia? Se la logica avesse ancora un senso in questo mondo di matti significherebbe un passo importante se non decisivo verso la stabilità e la pace mondiale. significherebbe che la Russia fornitrice diverrebbe l'alleato stabile dell'Europa fornita, che i due colossali collegamenti sarebbero dei fortissimi legami di pace. Mentre tutto il mondo parla di questi segni distensivi è tutto un ribollire di notizie contrarie e preoccupanti.
In Egitto la rivoluzione democratica islamica è svoltata improvvisamente e tragicamente in un gigantesco pogrom di vecchia maniera contro Israele. Una sua sede diplomatica al Cairo è stata assaltata, distrutta da una folla di egiziani che ripetevano i furori della Germania razzista e nazista, e intanto si muoveva anche la Turchia di Erdogan, che minacciava una puntata nella striscia di Gaza contro l'odiato Israele.
Siamo tornati alla mobilità incontenibile che precedette la Seconda guerra mondiale, il mutare di ora in ora di alleanze, di patti aggressivi, di spazi vitali, di storiche vendette, di voltafaccia incredibili - da lasciare senza fiato - fra il nazismo arrembante e la Russia sovietica, con quel Molotov sbattuto fra Mosca e Berlino nel più folle balletto diplomatico che il mondo abbia conosciuto. E siamo in un tempo in cui fare la guerra significa distruzione atomica, in cui negli arsenali ci sono bombe capaci di distruggere il mondo decine e decine di volte.
Il segno generale di questo tempo è la mancanza di indignazione nelle politiche interne e in quelle internazionali. In quelle interne la corruzione può arrivare a gradi estremi di impudenza e di diffusione, può toccare tutti i partiti e qualsiasi uomo politico, può rendere incerta ogni pubblica amministrazione, può seminare buche in tutte le strade, ma la gente, gli onesti, voltano lo sguardo e la loro indignazione non esplode.
In politica estera lo stato della pace nel mondo è pessimo: le guerre continuano, in molti paesi migliaia di cittadini alle armi vengono spediti in paesi remoti e ostili, spesso desertici, dove nel migliore dei casi addestrano milizie locali per continuare il conflitto. Il clima generale è questo: non c'è più un paese che non sia legato ad alleanze militari. Tragico il caso della Nato, l'alleanza atlantica che ha coinvolto nella guerra veterocoloniale di Libia anche paesi che non avevano alcun interesse in gioco.
Sembra di essere tornati alle guerre a catena del 1914 e del 1943 e alle loro sanguinose assurdità: gli operai socialisti tedeschi che partivano per il fronte cantando come se quella contro i francesi e gli inglesi fosse una loro guerra di liberazione. E la delusione di vedere il presidente francese Sarkozy fomentare la guerra per correre dietro a qualche barile di petrolio.
Ci fu un periodo, durato millenni, in cui l'occupazione principale dei governanti e dei sudditi era far la guerra, giusta o ingiusta, difensiva o aggressiva non faceva differenza: a vedere il nostro ministro della Difesa quando indossa panni militari si direbbe che sia ancora così. La guerra piace anche agli intellettuali di sinistra, piaceva a Cesare Pavese che di lei diceva "rialza il tono della vita", e piaceva persino ad alcuni capi partigiani, non a quelli di Giustizia e Libertà per cui la guerra partigiana andava fatta perché non si facessero più guerre.
La storia contraddittoria dell'umanità, il suo vitalismo autolesionista fanno prevedere che ci saranno altre guerre, che spade e lance continueranno a risuonare nelle nostre umane vicende. Forse sarebbe bene che invece di fremere al suono delle lance e delle spade si ricordassero i feriti abbandonati a morire in una trincea.