I leader europei non hanno alcuna convenienza ad accontentare Atene. Perderebbero voti e altri paesi avanzerebbero nuove pretese
Domenica i greci sceglieranno, salvo sorprese dell’ultimo momento. Ma sceglieranno tra cosa? A sentire il premier Tsipras potranno dire no alle umilianti condizioni imposte dalla troika o sì alla perenne austerità. A sentire l’opposizione potranno dire sì all’Europa o no all’euro. Entrambe le affermazioni sono vere, ma omettono convenientemente parte della verità, ovvero cosa succederà veramente dopo la vittoria di un fronte o dell’altro. Tsipras omette di dire che se vince il No, a meno di un cambiamento radicale dell’atteggiamento dell’Europa nei confronti della Grecia, difficilmente la Grecia potrebbe stare nell’euro, il risultato preferito dalla maggioranza dei greci. L’opposizione omette di dire che questo piano di austerità allontana il rischio di bancarotta, ma non lo elimina. Se non cambiano le cose, dopo questo piano ce ne sarà probabilmente un altro, e un altro ancora, perché il debito greco non è sostenibile, a meno di un cambiamento radicale dell’atteggiamento dell’Europa nei confronti della Grecia.
È chiaro che un greco che voglia uscire dall’euro voterà No ed uno a cui la politica imposta dall’Europa va bene voterà Sì. Ma questi rappresentano la minoranza. La maggioranza dei greci vuole concessioni dall’Europa, ma vuole anche stare nell’euro: come deve votare? Quello che rende questo referendum inusuale è proprio questo. Nelle scelte tra monarchia e repubblica, tra aborto o no, le conseguenze della propria scelta sono chiare, perché predeterminate. In questo referendum no. Viene chiesto ai cittadini di votare su una strategia negoziale e la differenza principale tra il fronte del Sì e quello del No è nelle ipotesi che vengono assunte su come reagirà l’Europa. La convinzione di Syriza è che l’Europa abbia più paura di perdere la Grecia di quanto la Grecia abbia di perdere l’Europa. Se così fosse, una vittoria del No costringerebbe l’Europa a cedere nelle trattative pur di evitare un’uscita della Grecia. Al contrario la convinzione dell’opposizione è che si ottiene di più dall’Europa con le buone che con le cattive. In questo caso una vittoria del Sì, con la probabile caduta di Tsipras, porterebbe alla formazione di un nuovo governo, più in sintonia con l’Europa. Sapendo che la sopravvivenza del nuovo governo dipende dalle concessioni che riesce ad ottenere dalla troika, quest’ultima sarebbe pressoché costretta a generosi compromessi.
Se analizziamo gli incentivi delle parti coinvolte - però - le due ipotesi non sono ugualmente probabili. Se i leader europei guardano ai loro incentivi elettorali di breve periodo, non c’è dubbio che per i leader europei, e in particolare per Merkel e Schäuble, è più costoso cedere di fronte al “ricatto” della Grecia che essere considerati corresponsabili dell’uscita della Grecia dall’eurozona. Nel primo caso rischierebbero di perdere una fetta consistente del proprio elettorato a favore della AfD anti-euro, nel secondo no (anzi forse potrebbero addirittura guadagnare voti).
Se invece i leader europei guardano ad una prospettiva di più lungo periodo, il risultato non cambia. In una prospettiva di lungo periodo, la negoziazione tra Europa e Grecia deve essere analizzata anche per le conseguenze che questa avrà sulle negoziazioni future con altri Paesi. Cedere di fronte ad un ricatto non fa che aumentare gli incentivi a ricattare. Per questo - miopi o no - a questo punto i leader europei non possono cedere al ricatto di una Grecia che vota No ma vuole concessioni.
Questo significa che la vittoria del Sì è scontata? Assolutamente no. La mia analisi assume che tutti gli elettori siano perfettamente informati ed agiscano in modo razionale. Con solo cinque giorni di campagna elettorale, in un clima teso, con le banche chiuse, entrambe le ipotesi sono irrealistiche. Alla fine vincerà chi riuscirà a scaricare la responsabilità dell’attuale situazione sull’avversario: per Syriza le banche sono chiuse per colpa dell’Europa, per il fronte del Sì per colpa di Syriza. Io sono un fervente sostenitore di un’Europa più democratica, dove a decidere sia il popolo e non i burocrati a Bruxelles o Francoforte, ma questa è vera democrazia?