Mentre tornano le destre, Pd e scissionisti si accusano a vicenda. Ma nessuno analizza le vere ragioni di questa crisi

C’è una domanda da farci: perché quando a sinistra le cose vanno male è sempre colpa del leader? Successe già con Prodi. Poi con Veltroni. Oggi in modo ancor più plateale succede con Renzi. E’ il vizietto dei progressisti, questa ossessione Renzi sì-Renzi no? La risposta che danno in giro è: Renzi è bullo, non è capace di includere, questione di carattere. Penso che una risposta così, che riempie i giornali, sia quella di un Paese arretrato. Anzi, tenda di Prodi o non tenda di Prodi, se la crisi a sinistra ha legami stretti con l’ex premier, dare tutta la colpa a lui è un errore più grave di quelli che gli si imputano.

Proviamo a dare un’altra spiegazione. In Italia c’è un referendum permanente su Renzi perché non abbiamo digerito il referendum del 4 dicembre. E non l’abbiamo analizzato davvero. Quel macigno enorme non si è abbattuto solo sull'ex premier, ma su un pezzo di storia del nostro Paese.

Le strategie riformiste con cui l’ex sindaco di Firenze aveva scalato il Pd dopo il flop di Bersani alle politiche del 2013 si reggevano su un presupposto politico: dopo le prove generali della Seconda repubblica, che aveva portato a un’alternanza di fatto fra due poli, per comodità definiti destra e sinistra, ma nei fatti mescolati al centro, il Paese sembrava invocare una spinta ufficiale verso il maggioritario, non fatto alla carlona, ma costituzionalmente sancito.

Questo presupposto è venuto meno la notte del 4 dicembre, quando fallì non il “papocchio del bullo Renzi”, come qualcuno ripete, bensì l’ottavo tentativo di riforma costituzionale della storia repubblicana, se prendiamo come prima data utile la riforma di Aldo Bozzi del 1983. Decade cioè qualcosa di molto più importante di un leader, decade la facoltà del Parlamento di auto-razionalizzarsi, come avvenuto in Francia, in Gran Bretagna e in Germania, nel nome di una propria storia (diversa per ognuno) e rispetto a una visione di futuro, condivisa almeno sul piano delle regole generali.
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Da noi capita il contrario: per il combinato disposto fra il No al referendum, più che legittimo, e i correttivi della Consulta all’Italicum, evidentemente legittimi, quasi come un incantesimo l’Italia si trova improvvisamente catapultata da un maggioritario per la prima volta netto a un risveglio del proporzionale. Uno zombie accolto come un grande ritorno ai fasti della Prima repubblica, ma in verità portatore di una logica d’epoca postfascista: nessuno deve vincere davvero, tutti devono essere rappresentati, governa sempre la Dc.

Per darci un tono, abbiamo pensato di chiamarlo “sistema tedesco”. Ma sono storie troppo diverse. In Germania il partito comunista era fuori legge, perché i comunisti erano uno Stato sovrano che stava al di là di un Muro. Ne viene di conseguenza che ciò che stava di qua del Muro, in Germania, era coalizzabile. In Italia, al contrario, il proporzionale portava come corollario il fatto che il Pci stesse all’opposizione.

Tanto che, dopo il 1989, la metamorfosi in socialdemocratici è stata un processo difficile e ancora non finito. Così fragile sul piano della percezione collettiva, che Berlusconi l’ha usato, smascherandone i difetti, per gridare al pericolo rosso e coalizzare la destra. Oggi che questo processo doveva essere compiuto, siamo tornati a zero.

La sinistra è spaccata, prevale la rissa. La destra si dice vincente, attrae il voto dei grillini pentiti, è dura nei modi e nei temi. Ed è il preludio a una grande decisione: Berlusconi sceglierà di provare a vincere con i suoi storici alleati, tutti ruspe e stranieri raus, o rifuggirà da loro e dalla sinistra scissionista che ha votato contro i trattati Ceta insieme a Lega e M5s - su temi globali come l’Europa?

Ecco che il Pd di Renzi – che fece la scelta di non proporre solo soluzioni che provengono dalla propria storia politica, vedi Jobs Act – ha bisogno di un supplemento di visione, non di cacciare il leader. Attingere a soluzioni altrui non è inciucio, ma al contrario rende possibile la vittoria solitaria di Macron in Francia. Un leader che non dice, come in Italia, «non sono né di destra né di sinistra». Ma nega che le soluzioni possano essere contenute in una sola delle classiche visioni del mondo del Novecento. Comprese le sinistre alla Corbyn o alla Sanders. Affascinanti e capaci di attrarre giovani, ma alla fine perdenti. Ai rigori, ma perdenti. A differenza della sinistra di Obama. Che ha indole maggioritaria, ma ha bisogno, per dirla con papa Roncalli, di aggiornamento.