Ritardi, mancanza di comunicazione, cambi in corsa. La presidenza italiana giudicata da diplomatici ed esperti. "Vengono confermati tutti gli stereotipi negativi sul Paese"

«La Lituania era alla prima Presidenza ?e ha comunque raccolto buoni risultati; l’Italia invece non è certo alle prime armi, ?ha esperienza da vendere, ma la sua performance è stata piuttosto deludente». Pollice verso per il semestre Ue di Matteo Renzi: Roma peggio di Vilnius, una brutta sorpresa contro una bella, almeno secondo il verbo di una fonte diplomatica di un grande paese della Ue.

L’ultima volta che l’Italia aveva avuto in mano il timone europeo era il 2003: i tempi erano diversi. Non c’era il Trattato di Lisbona e quindi non esisteva il Presidente del Consiglio della Ue, quindi le presidenze semestrali contavano sicuramente di più. Comunque le cose erano iniziate malissimo: con la famosa battaglia verbale di Strasburgo di Silvio Berlusconi, che prima aveva dato del kapò a Martin Schulz e quindi aveva apostrofato gli eurodeputati come «turisti della democrazia».
Politica
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Questa volta nessuna bagarre, nessun insulto, ma una presidenza che è partita comunque male. ?«Il primo luglio il programma non c’era, la pagina Web non era pronta, non si sapeva bene cosa intendessero fare», spiega una fonte del Consiglio Ue. E poi: «Le riunioni erano organizzate male, caotiche, sia quelle informali sia quelle formali; poi hanno un po’ migliorato, ma la sensazione di confusione ed improvvisazione è rimasta». ?«Su comunicazione e programmazione», osserva Rosa Balfour del think tank Epc, European Policy Centre, «tutto era in ritardo. L’Italia ha già fama internazionale di “ultimominutismo” e questa Presidenza ?ha confermato tutti gli stereotipi degli italiani caotici e disorganizzati».

Caos e disorganizzazione su cui pesa non poco l’interventismo del premier, che ha messo a fondo le mani su una macchina inizialmente lanciata da Enrico Letta ?e gestita dal suo ministro alle Politiche comunitarie Enzo Moavero, grandissimo conoscitore degli ingranaggi brussellesi. «Renzi ha voluto giocare in prima persona: così ha fatto a meno di un ministro ad hoc molto esperto per avere un sottosegretario (Sandro Gozi, ndr) più forte in comunicazione che di sostanza. Ha stravolto quanto avevano fatto fino a lì Letta e Moavero: questo ha sicuramente creato ritardi e confusioni», sottolinea un’altra fonte comunitaria. Un cambio in corsa e una smania di controllo a cui si sommano atavici problemi italiani: «Diamo l’impressione di confusione perché spesso non c’è una linea politica dettata da Roma e senza linea politica non si può negoziare, si aspetta che parli il ministro di turno per illustrarla…», sospira un nostro diplomatico.

A volte nemmeno i ministri fanno chiarezza. Esempio lampante, il 17 settembre: a Strasburgo il sottosegretario agli esteri Benedetto Della Vedova legge una nota scritta da Gozi in cui si dà per annullato ?il vertice informale sull’occupazione fortemente voluto da Renzi. Da Bruxelles la Commissione conferma il cambiamento in agenda dettato da Roma. Sorpresa, vista anche la situazione non proprio felice del mercato del lavoro in Italia, le agenzie battono la notizia e Palazzo Chigi, in meno ?di mezz’ora fa marcia indietro. Il governo conferma il vertice, che si farà sì, l’8 ottobre a Milano, ma a metà, alla presenza di 15 capi di Stato e di governo su 28. «Renzi vuole convincere la Merkel che il suo governo è serio per fare le riforme e poi ?non sa nemmeno se organizza o meno ?un vertice», ironizza un diplomatico ?di un paese del Nord.

L’Italia ha dovuto scontare un semestre caduto in una fase delicata e rara, quella del passaggio istituzionale tra un Parlamento, una Commissione e anche un Presidente del Consiglio Ue che cambiano. Un’epoca ?di incertezza, ma anche di possibilità, per dirla con le parole di un altro diplomatico: «Questa situazione non è del tutto negativa, ti permette di andare costantemente fuori pista». Ossia di proporre i temi a noi più cari, al di là degli argomenti legislativi già fissati. E il governo di Roma ci ha provato, puntando soprattutto su due parole: flessibilità per l’economia e solidarietà per l’immigrazione.

Per la prima, dopo mesi di schermaglie verbali e non, Renzi porta a casa una menzione nelle conclusioni dell’ultimo vertice Ue del 18 dicembre. «Una sola parola nelle conclusioni di un vertice povero in decisioni vale poco», osserva Daniel Gros direttore del think tank Ceps, Centre for European Policy Studies. Renzi ha in realtà molto sottolineato quella parola, ma tradurla in scorporo degli investimenti dal calcolo ?del Patto di Stabilità si preannuncia strada tutta in salita, se non impossibile. La Commissione Ue l’ha ribadito chiaramente per bocca del vicepresidente Fran Timmermans: «Le regole sono chiare, ?se Renzi vuole flessibilità deve cambiare ?le regole». «Vende la parola flessibilità come una vittoria, ma lo fa perché non ha molto altro da vendere», il commento di Philippe Lamberts, capogruppo dei verdi al Parlamento Ue. «Diceva che avremmo cambiato lo spirito della governance europea, ma Consiglio e Commissione ?non vogliono cambiare né lo spirito, né la lettera. Siamo al Renzi da grande teatro, è un attore con talento ma rimane solo quello, se non sarà più primo ministro potrà fare delle serie tv» (sempre Lamberts).

Anche la solidarietà in tema di immigrazione va riempita di significato, ma almeno qui ?i passi compiuti dal governo sono stati più sostanziosi. Il governo è passato da una strategia di scontro contro chi fino ad ora bloccava qualsiasi approccio comune alla politica migratoria - Germania e Austria in primis - a una di ricerca di consenso che ?sta dando un risultato importante, quello della disponibilità a discutere una reale suddivisione dei richiedenti asilo tra i 28, ?tema tabù fino a pochi mesi fa. A gennaio si dovrebbero raccogliere le prime adesioni concrete a questo progetto di ripartizione ?dei rifugiati mentre già a novembre Mare Nostrum è stata sostituita dall’operazione europea Tritone.

Altri risultati della Presidenza italiana sono l’accordo sul pacchetto clima (peraltro giudicato molto al ribasso dagli ecologisti), la chiusura del bilancio 2015, operazione per nulla semplice e scontata, l’accordo sugli Ogm che era bloccato da anni, e quello sulla nuova direttiva anti-riciclaggio, raggiunto in extremis. Roma deve invece ringraziare il LuxLeaks se è riuscita a far digerire a Olanda, Austria e Lussemburgo l’accordo sullo scambio automatico di informazioni in ambito fiscale, altro tema arenato da lunga data.

Chiuse le note positive, tornano le critiche. «La Presidenza non è stata ambiziosa con ?il pacchetto telecomunicazioni», è l’attacco del capogruppo liberaldemocratico Guy Verhofstadt, e così la fine del roaming appare sempre più lontana. La Presidenza non è riuscita a raccogliere il pieno sostegno di tutti i paesi al Piano di investimenti firmato da Juncker. E ha irritato anche l’insistenza con cui Renzi ha puntato tutte ?le sue carte europee, spuntandola, ?su Federica Mogherini come Alto Rappresentante per la politica estera e di difesa: quando le grandi famiglie politiche, compresi i popolari, avrebbero visto meglio Enrico Letta nuovo Presidente del Consiglio Europeo. Un’operazione ritenuta più utile anche all’Italia, soprattutto se sommata a un commissario Ue con portafoglio su temi per noi sensibili, come industria, commercio o immigrazione. ?«Berlusconi faceva molte battute», riassume un habitué dei vertici, «disegnava e girava ?i suoi disegnini agli altri capi di Stato e di governo. Adesso siamo passati da un discolo delle medie a un premier che parla come un liceale».