Per ottenere risultati come questi, le circostanze devono essere favorevoli». Il direttore uscente del Victoria and Albert, il tedesco Martin Roth, sintetizza così la parabola professionale che l’ha portato a mutare il volto del museo britannico da quando, nel 2011, ha lasciato la direzione del complesso museale di Dresda per installarsi nel bianco ufficio di South Kensington. Ora è pronto a lasciare l’incarico: si è speculato che le dimissioni abbiano a che fare con la Brexit, sulla quale è stato particolarmente critico. Ma con noi parla solo del suo gioiello: «In Germania non avevo le condizioni per lavorare come qui. Né le avrei avute in Francia o in Italia. Appena ti muovi, la burocrazia e il ministero ti imbrigliano. C’è un disciplinare per ogni cosa».
Sessantun anni ben portati, mentre parla afferra l’invito a una serata mondana e sul retro disegna uno schema che rappresenta il “sistema” V&A attraverso una struttura concentrica: al centro, la sede storica di South Kensington, intorno i nuovi progetti sia nel Regno Unito che nel resto del mondo, e le intersezioni tra finanziamento pubblico e privato.
«So che posso sembrare arrogante, ma lascio al mio successore quello che è oggi probabilmente il museo di maggior successo al mondo. Qui lavoriamo come se facessimo business, anche se ovviamente questa non è un’impresa, e lo facciamo nel modo migliore perché abbiamo l’opportunità di farlo». Il direttore è nominato dal governo, che però non interviene direttamente nella gestione. «Abbiamo un board che ci guida, composto di persone brillanti. E ci sono commissioni per ogni settore di attività. Quando sono arrivato, pensavo che mi avrebbero frenato. Invece mi hanno supportato. Mi hanno permesso di dare vita a un ottimo programma di mostre, rafforzare l’area di ricerca e i programmi accademici, ricevere soldi da fondazioni private come la Andrew Mellon Foundation e iniziare nuovi progetti, da East London a Shenzhen».
La ricetta è coinvolgere i talenti della società civile, creare una squadra che sia felice di aderire a un progetto. E guardando all’Italia, mentre nega di avere altri incarichi già in tasca, Roth conclude: «Non è un problema solo di numeri o risorse. Il Mibact ha molte migliaia di dipendenti. Ma non si può cambiare rotta senza far evolvere il modello».