L’anno giusto non sarà il 2016, ma forse neanche il 2017. A Montecitorio si blocca la proposta dell’intergruppo pro legalizzazione. E l’ipotesi migliore è che si proceda allo spacchettamento, mandando avanti almeno l’uso terapeutico
A luglio in molti avevano parlato di una giornata storica: il 25 luglio per la prima volta l’aula della Camera dei deputati ha discusso una legge sulla legalizzazione della cannabis. Il rischio, però, è che quel piccolo traguardo rimanga l’unico raggiunto. Almeno per questa legislatura. Dopo la pausa estiva, e dopo non aver trovato spazio nel calendario di settembre, i deputati hanno infatti deciso - e lo stabiliranno oggi con un voto - di rinviare la legge in commissione. Di rimandare il testo lì da dove era uscito a luglio, senza che i gruppi parlamentari trovassero però un accordo, già allora, e quindi senza relatori.
Il disegno di legge rispedito al mittente è quello partorito dall’intergruppo guidato dal sottosegretario
Benedetto Della Vedova e animato da oltre 200 deputati, prevalentemente di sinistra, del Movimento 5 stelle, di Sinistra Italiana e del Pd, ma anche di Forza Italia, che conta due firmatari.
La prima firma è del vicepresidente della Camera Roberto Giachetti. Sul testo hanno dunque per il momento avuto la meglio i
quasi 1.300 emendamenti presentati non solo dai centristi, notoriamente contrari. Nonostante abbiano firmato la legge oltre 80 deputati dem, ad esempio, anche dal Pd sono arrivate proposte di modifica che hanno suggerito il ritorno in commissione. Tra gli emendamenti ce n’è anche uno della deputata
Giuditta Pini, che dopo aver firmato il testo vorrebbe eliminare l’autocoltivazione limitando tanto la produzione quanto il commercio alle sole attività autorizzate dal Monopolio: «Il modello suggerito dal mio emendamento è quello del tabacco», ci spiega Pini, «ma anche un regime misto come per l’alcol può esser una soluzione». «Il mio comunque non è certo un emendamento ostruzionistico», aggiunge la deputata, «non è certo un emendamento da Ncd o Lega nord. Credo però fosse giusto consentire all’aula di discutere dettagli della legge che la commissione non ha potuto affrontare, perché non si sarebbe raggiunto un accordo».
Più di pura opposizione sono dunque gli emendamenti presentati da
Ncd e da pezzi della maggioranza contrari alla legalizzazione, e questa volta decisi a non concedere nulla, forti dell’impegno anche della ministra Lorenzin. I nomi dei protagonisti sono ben noti. Tra i contrari c’è ovviamente
Paola Binetti («Penso che uno Stato democratico non si possa permette il lusso di liberalizzare ciò che provoca danni alla salute dei cittadini», ha detto a luglio) ed
Eugenia Roccella. Per i leghisti, il deputato
Marco Rondin sostiene che la legge favorirebbe una certa cultura dello sballo: «Quanto male farà lo Stato ai suoi giovani, offrendo loro lo sballo legale?».
E cosa succederà adesso? Gli argomenti per approvare una legge sulla legalizzazione sono molti e forti. Citatissima dai firmatari è la
relazione annuale della Direzione nazionale antimafia, del febbraio 2015. «Senza alcun pregiudizio ideologico, proibizionista o antiproibizionista che sia», scrive la Dna, «si deve registrare il totale fallimento dell’azione repressiva».
Poi ci sono i
dati del Cnr, che l’epidemiologa Sabrina Molinaro ha ben illustrato durante un’audizione in Commissione giustizia. «Le politiche proibizioniste», conferma la ricercatrice all’Espresso, «sono concepite per scoraggiare, oltre alla sperimentazione, soprattutto il consumo. Ma, guardando gli ultimi 10 anni, non si può individuare un’associazione tra pene più severe e diminuzione dei consumi così come tra pene meno severe e aumento dei consumi».
Per la legalizzazione si è espresso anche
Raffaele Cantone: «Una legalizzazione intelligente possa evitare il danno peggiore per i ragazzi, cioè entrare in contatto con ambienti della criminalità», ha detto il presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione. «I soldi che spendiamo in processi e repressione, nell’attuazione del proibizionismo, sarebbero spesi molto meglio nella prevenzione», è poi la constatazione affidata all’Espresso da
Giovanni Maria Flick presidente emerito della Corte Costituzionale. Oltre che fiscali e sanitari, infatti, vantaggi ne avremmo sul fronte del sovraffollamento delle carceri e del bilancio della Giustizia: «Vale la pena impegnare risorse per il contrasto alle droghe leggere sottraendole alla lotta al traffico delle letali droghe pesanti?», si è chiesto anche il procuratore nazionale antimafia,
Franco Roberti.
Eppure l’umore tra i deputati favorevoli non è alto. «Mi pare evidente che il testo attuale non ha i numeri», ci dice
Daniele Farina, deputato di Sinistra Italiana che della legge era il relatore in commissione Giustizia. Quello che si mostra più ottimista è
Giuseppe Civati, che spera che il governo, fosse anche per farsi bello di un altro avanzamento nel campo dei diritti civili, seppur piccolo, spinga per approvare il solo uso terapeutico. «Sarebbe il minimo», dice all’Espresso Civati, «anche perché si tratterebbe solo di armonizzare norme già esistenti e leggi regionali. Si tratterebbe di risolvere
casi come quello di Fabrizio Pellegrini». Pianista di 47 anni, affetto da Fibromalgia, Pellegrini è infatti finito in carcere, a Chieti, e poi ai domiciliari per cinque piantine sul davanzale, coltivate perché i farmaci prescritti dalla Asl costano troppo, 500 euro.
«Resta curioso», continua Civati, che contro il proibizionismo ha appena scritto un libro (Cannabis. Dal proibizionismo alla legalizzazione. dal 6 ottobre in libreria per Fandango), «il fatto che mentre negli Usa altri nove stati, che faranno un referendum nel giorno delle presidenziali, vanno verso la legalizzazione, noi siamo qui a frenare». A frenare, sì, aspettando di capire quale testo potrà sperare di tornare in aula: «Bisognerà vedere», continua Farina, «se sarà un testo con una effettiva valenza, che risponde almeno a qualche tema, o se sarà solo un’operazione di facciata, ai minimi, volta a dire “vedete, abbiamo fatto qualcosa” e a chiudere per anni l’argomento».
Il destino della legge dell’intergruppo è dunque appeso a un nuovo compromesso da trovare nelle due commissioni interessate, Affari sociali e Giustizia. E lo spacchettamento, tra le opzioni sul piatto, è quella ottimistica.
Fosse approvata così com’è la legge consentirebbe anche in Italia l’autocoltivazione della cannabis per l’uso personale (5 piantine in casa, 50 se associati in un cannabis social club) e aprirebbe un mercato, un commercio, seppur gestito dal monopolio. In tasca si potrebbero portare fino a 5 grammi di erba, in casa tenerne fino a 15 per scopo ricreativo.
Non si potrebbe fumare in luoghi pubblici, ma altrove sì. Non si depenalizzano però le altre droghe, come invece propongono le associazioni della galassia dei Radicali che proprio in queste settimane stanno raccogliendo le firme su un testo ancora più avanzato.
Lo spacchettamento - puntando tutto sull’uso terapeutico - è però da sempre la via preferita dalla maggioranza del gruppo del
Pd, che però non si è mai riunito per discutere della legge. L’aveva proposto già in commissione Affari Sociali la relatrice
Anna Margherita Miotto, per cui il testo dell’intergruppo «più che avanzata, è una proposta è contraddittoria», perché unisce modelli diversi, all’estero spesso attuati singolarmente: l’autoproduzione, i coffee shop, i cannabis social club. E poi
Walter Verini, anche lui, con l’Espresso ha così tradotto le timidezze dei dem: «I deputati che hanno sottoscritto la legge sono più di 200 e quelli del Pd sono più di 80. Segnalo però che i deputati sono in tutto 630 e quelli del Pd 301, e che poi al Senato i numeri sono ancora più sfavorevoli».