Intervista
Unioni civili, Michela Marzano: perché lascio il Partito Democratico
La deputata e filosofa dopo l’approvazione del ddl Cirinnà lascia il Pd: «Non è quello che avevamo promesso», spiega all'Espresso, «si è colmata una lacuna ma a danno della credibilità della politica. Ed è quella la vera questione morale»
[[ge:rep-locali:espresso:285201102]]La legge sulle unioni è comunque un passo avanti. Tant’è che l’ha votata anche lei.«Si è colmata una lacuna. Ma, come ho scritto su Repubblica, non possiamo raccontare adesso che non cambia nulla se invece che ancorare la legge all’articolo 29 della nostra Costituzione - come accade per il matrimonio - lo facciamo all’articolo 2 e all’articolo 3 della Costituzione che assicurano i diritti inviolabili dell’uomo e affermano il principio costituzionale di uguaglianza. Definire l’unione civile come una “specifica formazione sociale”, non è quello che avevamo promesso dicendo che le famiglie sono tutte uguali»
E adesso lascia il Pd. Ha scritto al capogruppo Rosato comunicando le dimissioni dal gruppo.«Devo essere coerente con me stessa e con le mie battaglie».Si dimetterà anche da parlamentare? Sembrava intenzionata..«No, non mi dimetto: finché dura la legislatura continuerò a portare avanti le mie idee e i miei progetti. Che poi sono quelli su cui lavoro da anni, studio e scrivo, e per cui mi fu chiesto di candidarmi».Quando ha accettato la candidatura sapeva però che il Pd ha varie anime, alcune molto conservatrici. Potrei dirle che è la sua posizione su temi come la gestazione per altri o l’eutanasia, l’anomalia.«Io invece non penso di esser l’eccezione. Nel Pd ci sono due anime, è vero, ma sono appunto due. Solo che una viene costretta in sofferenza. Lo abbiamo visto anche durante le votazione sulle unioni civili. Persino su alcuni ordini del giorno, che hanno un peso minimo: io ho votato, ad esempio, un ordine del giorno di Sinistra Italiana con un impegnoo sulle adozioni, e molti altri colleghi volevano come me premere verde. Però arrivavano da dietro le urla di cambiare colore».
Di cosa si occuperà?«Ho già depositato una proposta di legge che rivede la legge sulle adozioni, altra cosa che il governo ha promesso di fare, per far digerire lo stralcio della stepchild, e che sarebbe il caso di mantenere. Lavorerò perché si arrivi veramente a cambiare l’articolo 6 che limita le adozioni alle sole coppie eterosessuali sposate da almeno tre anni: devono poter adottare tutte le coppie, anche omosessuali, e i single. Poi in commissioni Affari sociali si sta discutendo del testamento biologico, e anche lì c’è un testo a mia firma. Sono progetti che mi sembrerebbe ingiusto lasciare a metà».
Già nei mesi scorsi aveva dato segnali chiari di sofferenza. Finita la legislatura lascerà la politica, tornerà alla sola docenza?«Finita la legislatura torno a tempo pieno al mio lavoro. Ci torno con una consapevolezza più grande, avendo imparato molte cose, perché comunque è un’esperienza molto importante, penso, soprattutto per un filosofo la cui tipica pecca è quella di filosofare senza conoscere anche i meccanismi del processo decisionale».
Tornasse indietro accetterebbe ancora la candidatura?«lo rifarei, sì, perché ho imparato molto, ma ho fatto anche delle cose. A cominciare dal primo gesto, la ratifica della convenzione di Istanbul, arrivando poi all’ultimo, all’aver comunque spostato il Pd sul tema della gestazione per altri. Volevano introdurre il reato universale e, a forza di spiegare e spiegare, il dispositivo votato è diverso e si concentra sulla difesa dei bambini a prescindere dal modo in cui sono stati concepiti».
E dopo, anche da non parlamentare, non la interessano progetti politici più a sinistra? Si era detta vicina a Civati...«No, per ora non mi interessa nessun altro progetto. Resto nel misto e poi torno al mio lavoro. Poi vedremo, certo, ma lo dico perché nessuno può sapere con assoluta certezza cosa lo attende, quali scelte farà in futuro».