A volte il senso di una rivincita sta tutto in una battuta tra le pieghe di una intervista tv. “Glielo vorrei dire a Renzi: ormai, coi tempi nuovi, due anni sono lunghi. Insomma, non sei cosi nuovo neanche più tu: chi più chi meno siamo tutti un po’ usati. Il problema è essere un usato sicuro”. Pier Luigi Bersani, 65 anni, (uno dei) leader della minoranza Pd, pronto a votare nì al referendum (e comunque senza fondare comitati) vive un momento dorato.
Mentre a Renzi - in una fase invero un po’ affaticata - toccano anche i fischi e le contestazioni dei partigiani, nel faccia a faccia con il presidente dell’Anpi Carlo Smuraglia alla festa dell’Unità a Bologna, per Bersani - sempre a Bologna - è stato un trionfo, mentre a Catania i militanti gli hanno persino fatto un coro da stadio. “Un segretario, c’è solo un segretario”, ha intonato chi, da quasi due anni appunto, più che un capo di partito ha un capo di governo.
Nel referendum sta tendenzialmente sul no: e anche se rischia la tenaglia politica tra il sì di Renzi e il no di D’Alema, non ha probabilmente torto a dire che “molti stanno con me” su questo crinale di incertezza. Quanto alla legge elettorale, l’Italicum, le critiche che l’ex segretario avanzò ai tempi dell’approvazione in Parlamento tirandosi addosso le antipatie di mezzo partito (“ho sempre pensato che la riforma del Senato e l'Italicum insieme fossero una piegatura della democrazia un po’ pericolosa. Non va bene che con il 25 per cento un partito prende tutto e forma un Parlamento di nominati”), sono diventate talmente diffuse che nessuno ormai si azzarda a dirle campate per aria. Si discute di cosa cambiare, più che altro.
Ed è probabile che il momento passerà, ma sul qui ed ora il senso della rivincita è così chiaro che Bersani, l’uomo retrò della Ditta, quello che da neo segretario volle una campagna con i manifesti in bianco e nero – puntava sin da allora a un elegante suicidio politico, chissà - vi trotterella sopra a cavallo (che soddisfazione) di uno di quegli sfottò che andavano parecchio quando era alla guida del Pd: l’usato sicuro. Concetto nella più recente accezione è tutt’altro che deprimente.
Par dire Bersani: siamo tutti usati, caro Matteo, in linea di principio tutti da rottamare. C’è però chi è affidabile. Anzi, per dirla in linguaggio suo: rassicurante. Era quello che sognava, più ancora che di governare: riformare rassicurando, stile Giovanni XXIII. Non è accaduto, ma adesso almeno Bersani non solo becca magari più applausi, ma addirittura in tv fa il doppio degli ascolti del cinque stelle Luigi Di Maio, più giovane e nuovo persino di Renzi. Come se la rottamazione fosse un concetto superato a sua volta.
“Bersani, che dio ce lo conservi nei secoli”, gli ha riconosciuto qualche giorno fa in un passaggio della sua Amaca pure Michele Serra. A significare quanti, nella sinistra, pur magari non votandolo, ci contano, non potrebbero fare a meno di lui. E il fatto che pure la righina filo bersaniana sia stata sbianchettata, in una versione online dell’Amaca, e che addirittura il tutto sia stato oggetto di controversie e polemiche sui social network, dice di quanto sia iconica la figura dell’ex segretario.
Quello che quando era ancora al potere – dopo la mezza vittoria delle politiche 2013 - si fece travolgere, tra le altre cose, per il puntiglio di tenere un minimo di “coerenza tra quel che avevo detto e quel che avrei dovuto fare” (un governo con Berlusconi). “Un eroe”, lo definisce addirittura Crozza: iperbole patriottica che però restituisce l’idea di una specie di nostalgia per qualcosa che non è mai stato e forse non doveva essere, ma che comunque non può mancare, specie in momenti così complicati.