Avanti, accomodarsi nel gran ballottaggio dei gufi. Nella città che a questo giro rappresenta il confronto più simbolico, Genova – che rischia di finire al centrodestra, dopo una seconda repubblica tutta Pd e dintorni – Romano Prodi ha telefonato al candidato di centrosinistra, Gianni Crivello: e Crivello ha ritenuto più utile far trapelare di aver parlato con Prodi, piuttosto che far salire in città Renzi (e del resto, non del tutto a torto: il comizio organizzato proprio a Genova dallo spezzino Andrea Orlando ha disastrosamente raccolto una settantina di persone, per cui).
Passato quindici giorni fa il primo turno che ha ristabilito non solo l’esistenza, ma persino la plausibilità di uno schema bipolare (Cinque stelle calanti, assenti da tutti i grandi ballottaggi esclusa Asti) e di alleanze meno “nazareniche” (centrodestra ritornante, presente in 14 su 25 ballottaggi di un qualche rilievo), la partita adesso si sposta tutta in avanti. A capire, cioè, con quale forza le attuali leadership (quella di Renzi, anzitutto) saranno in grado di confrontarsi con la madre di tutte le battaglie, cioè le elezioni politiche ormai comunque non lontane. Ed è qui, appunto, che entrano in gioco i gufi.
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Lo sbatter d’ali notturne si vede fortissimo nel centrosinistra. Dove il Pd renziano sente aria di batosta: tanto vero che televisioni e media in genere faticano a trovare ospiti per commentare i risultati («Ho un impegno in famiglia e comunque vorrei risparmiarmi di parlare dello schiaffone», è stata la risposta di un parlamentare di solito disponibile). E dove quella aggregazione unitaria di sinistra che nella realtà si fatica a intravedere, trova il suo perfetto allineamento nel prevedere (nell’augurarsi) che il segretario del Pd perda, e neanche troppo bene.
Sarebbe vitale per l’Mdp di Pierluigi Bersani, che continua a ricordare come Renzi abbia governato coi voti presi da lui («E non si sa neanche se riesce a riprenderli», aggiunge fissando l’asticella al 25 per cento). Sarebbe in generale utile per tutto ciò che si muove a sinistra del Pd (a partire dall’aggregazione attorno a Giuliano Pisapia), un mondo col quale Renzi non è mai stato bravo a dialogare – né forse ha mai desiderato farlo.
Naturalmente, in caso di batosta, è probabile che Renzi provi a sua volta a cavalcare il solito argomento suo, quello più forte del mazzo (tipo: senza di me perdete, il Pd vincente sono io), ma è pur vero che ormai, a tre anni e mezzo dalla sua prima elezione a segretario del Pd e a tre dal trionfo delle Europee, il tema appare un pochino liso.
Lo schema del vecchio-contro-nuovo (relativamente nuovo) è in fondo anche quello che agita il centrodestra. Qui il gufo è paradossalmente colui che è sempre stato il padrone indiscusso di quell’area: Silvio Berlusconi.
Più presente stavolta che in passato – anche in vista nel suo rientro nella politica attiva – l’ex Cavaliere deve sperare che a Genova il candidato iper unitario Marco Bucci vinca ma non stravinca. La cosa finirebbe infatti per diventare il trionfo di quel centrodestra a trazione leghista che Matteo Salvini sogna e che il governatore ligure, l’azzurro Giovanni Toti, pratica.
Interessante sarà in questo senso anche vedere la partita di Verona, dove se la giocano la tosiana Patrizia Bisinella (appoggiata dalla sinistra, compagna anche di partito del sindaco uscente Tosi, espulso dalla lega da Salvini) e il candidato salviniano ma unitario (Lega-Fi-Fdi) Federico Sboarina. Ma perché l’ex Cavaliere dovrebbe gufare? Perché alla fine dei conti Berlusconi, come ha ben detto al Corriere della Sera uno che lo conosce bene come Denis Verdini, ha interesse anzitutto a una cosa: non finire a fare una lista unitaria con Salvini (che mai come in quel caso sarebbe vicino al mitologico ruolo di successore dell’ex premier).
Gufismo c’è anche nei Cinque stelle, che pure stavolta sono rimasti fuori dalle grandi partite (l’unica città importante per loro è Asti, dove solo per un soffio hanno avuto accesso al ballottaggio). S’agiterà in ogni modo a Parma, dove Federico Pizzarotti, l’eretico ex grillino, è arrivato a un passo dal dimostrare che può esserci vita da meet-up anche oltre il perimetro disegnato da Casaleggio, Di Maio e Grillo. Dovesse spuntarla contro il Pd Fabrizio Scarpa, diventerà – anche suo malgrado – un simbolo per tutti coloro che anche dentro M5S predicano la possibilità di un movimento diverso, più vicino alle proprie origini. Un ottimo drappo da agitare nei confronti anzitutto dello smanioso vicepresidente della Camera, che tante antipatie raccoglie.