Il 13 febbraio, anniversario numero 157 della capitolazione della fortezza di Gaeta, estremo rifugio di Franceschiello, ultimo re delle due Sicilie, il Movimento neoborbonico, ?il Sacro militare Ordine di San Giorgio, ?i Cavalieri costantiniani, i Comitati Due Sicilie e la Real Casa di Borbone hanno celebrato con musiche, discorsi, grande commozione e molta nostalgia la Giornata della memoria per le vittime meridionali dell’Unità d’Italia. Istituita l’anno prima con tanto di decreto da tutte le Regioni del Sud. Su proposta, poi largamente condivisa, del Movimento Cinque Stelle.
Allora la campagna elettorale era lontana, ma ?in quella battaglia apparentemente minore c’era già, tutto sommato, ?il nucleo della strategia politica del Movimento, il passo decisivo verso ?la conquista del Mezzogiorno clamorosamente sancita dalle elezioni del 4 marzo. Prima ancora, tra il 2011 e il 2012, nelle strade e nelle piazze del sud era nato il Movimento dei forconi: stavolta blocchi stradali e ferroviari, presìdi, cortei, ancora rotear di forconi, storico simbolo delle sommosse contadine e di popolo. E parole d’ordine che paro paro, guarda un po’, hanno scandito quest’ultima campagna elettorale: no alla globalizzazione che cancella posti ?di lavoro, all’Europa “matrigna”, alla casta dei nominati in Parlamento; ?e no all’austerità, alla moneta unica, ?a Equitalia, strumento di oppressione fiscale. Vi ricorda qualcosa?
Evidentemente il borbonismo di ritorno - che corre sotterraneo da sempre, ma non si era mai manifestato con tanta baldanza - è fenomeno assai sentito. Una sorta di leghismo sudista che cozza con quello del nord. Tocca corde profonde dell’animo meridionale, come la convinzione di un Sud sfruttato ieri a favore dell’Unità d’Italia, oggi del ricco Nord. E però non basta a spiegare la travolgente affermazione dei grillini che il 4 marzo si sono impadroniti di mezza Italia, da Roma in giù, isole comprese. Con cifre da capogiro. Nelle sfide uninominali, gli scontri diretti tra candidati, i ragazzi di 5S hanno fatto l’en plein in Puglia, Molise, Basilicata, Sardegna, Sicilia (dove Berlusconi nel 2001 aveva vinto 61 a 0) e ci sono andati vicini pure in Calabria e in Campania abbattendo potentati politici e umiliando cacicchi che si credevano eterni. Come accompagnare alla porta un’intera classe politica.
Certe percentuali sono illuminanti: ?a Scampia, quartiere ghetto di Napoli, teatro di Gomorra in tv, Di Maio ha portato a casa il 65 per cento; a San Giovanni a Teduccio popolare ed ex operaia, dove nel 1976 Berlinguer prese il 63 per cento dei voti, i 5S hanno superato quota 60; a Bagnoli, dove sorgeva la cattedrale dell’Italsider, oggi dismessa e sul cui futuro si sono spesi invano governi e amministrazioni, per i grillini ha votato il 57 per cento degli elettori, oltre il 50 che premiava ?il vecchio Pci. Non si sorprende Domenico De Masi, napoletano, sociologo, che nel Movimento, al cui programma ha contribuito, vede assonanze proprio con il Pci di Berlinguer popolare e operaio. Ad altri, però, sembra proprio che la nuova geografia politica ricalchi altri imperi, come quello democristiano, che proprio dal Sud traeva grande linfa, e per alcuni estremismi peronisti perfino quello laurino che per qualche anno impazzò a Napoli. A conferma di una trasversalità che sembra il dato caratteristico del postgrillismo, specie di quello meridionale.
Se questi sono i nuovi attori, la scena che calcano è spesso quella di campagne avvelenate da discariche abusive, di violenza, di periferie segnate da scheletri di cemento come nelle fiction di camorra. Dopo secoli ?in cui lo Stato è apparso estraneo, i governi sono visti lontani e indifferenti. Alle rituali litanìe sul Sud della Prima Repubblica, è via via subentrata la rimozione. Eppure qui vive un terzo degli italiani, si produce un quarto della ricchezza nazionale, ma si registra anche la metà della disoccupazione totale, quattro giovani su cinque non lavorano, addirittura due terzi degli abitanti versano in condizioni di povertà o di miseria. Nonostante decenni di “questione meridionale”, il divario nord-sud si è allargato: dalle parti di Salvini si compete con la Germania (sognando la flat tax), quaggiù si intravede una prima, lenta inversione di tendenza. ?E ci meravigliamo se esplode la rabbia, o se promesse assistenzialiste (reddito di cittadinanza) sono benedette come manna dal cielo?
In quanto al Pd, ha da tempo rinunciato a una presenza capillare ?in quella periferia delle periferie che è il Sud delegando l’incombenza a uno sparuto gruppo di cacicchi locali (come Emiliano, De Luca and Sons, Crocetta) spesso più attenti alle loro sorti che ?a quelle generali e in guerra con lo stesso Pd. Sabino Cassese, giurista ?e intellettuale, è convinto che il divario nord-sud sia figlio anche di un diverso “rendimento” delle istituzioni, e degli uomini che le dirigono: la macchina pubblica, costruita allo stesso modo ?in tutto il Paese, è stata consegnata qui a classi dirigenti locali senza pretendere che esse rispondessero non alle camarille, ma allo Stato. È successo anche con le Regioni che prima hanno avocato a sé l’intervento straordinario, poi lo hanno vanificato con spietate logiche di potere. Scrivevamo due anni fa: si sono presi il Sud e ne hanno fatto un deserto. Oggi lo hanno occupato altri.