
La app sviluppata dalla startup cinese ByteDance, fino al 2018 conosciuta come Musical.ly, permette di realizzare brevi video di massimo 15 secondi accompagnati da un sottofondo musicale e di partecipare alle diverse “challenge”, sfide lanciate dagli influencer in cui ogni utente rivisita la canzone o il meme del giorno. Con i suoi 800 milioni di iscritti nel mondo, di cui 2 milioni e mezzo in Italia, è uno dei social con i tassi di crescita più sostenuti, aperto a tutti a partire dai 13 anni e con metà degli utenti sotto i 24. Un terreno di caccia vergine per i politici: i nuovi elettori e quelli di domani.
A metà novembre Matteo Salvini ha aperto sulla piattaforma un suo profilo ufficiale, accumulando in un mese circa 80 mila follower. Anche Giorgia Meloni ha provato a entrare in questo mondo, sulla scia del successo virale del remix del suo discorso “Io sono Giorgia, sono una madre”. Per lei però è stato un flop, tanto che la pagina è stata chiusa in silenzio dopo pochi giorni.
«La natura di intrattenimento di questo social ne rende difficile un uso politico nel senso classico», spiega Maria Cristina Antonucci, docente di Comunicazione politica alla Sapienza di Roma. «Può esserci solo un messaggio politico ridotto al suo nucleo essenziale, molto semplificato nel contenuto di pensiero. Difficile pensare a un formato di trasmissione secondo le modalità di broadcasting tradizionale, con cui i leader politici hanno finora usato Facebook, Twitter o Instagram. La vocazione di intrattenimento di TikTok sembra in questa fase troppo forte per essere piegata a usi differenti».
Salvini e la sua squadra sembrano averlo capito, e infatti i contenuti fino a ora prodotti sfiorano appena i temi chiave della politica leghista e si concentrano piuttosto sull’effetto simpatia: la più apprezzata ad oggi risulta infatti una clip dedicata alla difficile reperibilità dei biscotti alla Nutella.
«TikTok è un altro strumento che va nella direzione del ridurre la distanza tra il politico e il suo potenziale elettore», dice Edoardo Novelli, docente di comunicazione politica e sociologia dei media all’università Roma Tre. «In questo caso non viene rilanciato un contenuto politico, ma un soggetto. È un lavoro sul brand personale che risponde alla necessità del leader di essere popolare. Popolarità che poi potrà trasformarsi in consenso elettorale. In passato autorità, prestigio e competenze erano gli elementi su cui puntava la comunicazione politica. Con la rete il canone è cambiato e oggi serve dire “io sono come te”, “faccio quello che fai tu”».
Resta però l’incognita di come questo tipo di comunicazione possa essere percepita da quei giovani che provi a raggiungere. «Non capisco il senso dell’uso di TikTok da parte di Salvini», dice Luciano Spinelli, creator di 19 anni e italiano con più follower sul social (oltre 7 milioni). «Non basta far parlare di te per esistere, devi anche saper usare questi strumenti in modo dignitoso». Il suo giudizio sulla declinazione “politica” del social è fortemente negativa: «Personalmente la trovo un’irrispettosa invasione di campo. Sembra un voler presidiare l’ennesimo social di successo tanto per farlo ma senza avere un’idea chiara su come utilizzarlo. TikTok è intrattenimento mentre la politica dovrebbe essere altro. Per quanto loro provino a renderla divertente, la politica per definizione è una cosa “seria”, non è lo show scadente che ci stanno facendo vedere ultimamente».
I casi internazionali di politici direttamente impegnati su questo social non sono tantissimi, per varie ragioni. Oltre alla particolarità dello strumento e al timore di fare una pessima figura con i futuri elettori, la piattaforma sconta lo scetticismo nei confronti della proprietà cinese da parte dei big statunitensi, di solito i primi a cavalcare questi fenomeni. Le inchieste giornalistiche del Guardian e di Netzpolitik hanno provato come i moderatori di questa app tendano a censurare i video sgraditi a Pechino, eliminandoli del tutto o riducendone la visibilità in maniera nascosta, senza dimenticare i sospetti sui possibili usi delle informazioni personali degli utenti.
Per adesso hanno aperto un profilo ufficiale su TikTok il candidato alle primarie dem Usa Julian Castro e il giovane candidato di sinistra al Congresso Joshua Collins che, nelle sue brevi clip musicali, con una certa autoironia e il sorriso stampato in faccia, segnala di voler «mettere fine al capitalismo» mentre si agita come un forsennato.
Ma i primi a non volere politici sul loro giocattolo sono i gestori dell’applicazione. TikTok ha vietato le inserzioni a pagamento da parte dei candidati, un business da milioni di dollari nell’anno delle presidenziali americane ma scivoloso, come ha dimostrato il caso Cambridge Analytica. Intervistato dal New York Times, il ceo Alex Zhu ha spiegato che la politica in generale è ammessa, a condizione che sia coerente con la linea della app improntata alla «gioia e alla creatività».
Basta però cercare l’hashtag giusto per trovarsi di fronte a tanta propaganda e ben poca gioia. Se infatti molti politici restano dietro le quinte, lo spazio lo occupano i loro giovani sostenitori. I video con l’hashtag #trump2020 e #maga (che sta per Make America Great Again) hanno rispettivamente 352 e 180 milioni di visualizzazioni, uniscono musichette e balletti di ragazzini agli slogan della destra americana. In uno dei più popolari, un giovanissimo sostenitore di Donald Trump si muove a ritmo di un jingle mentre indica frasi che appaiono sullo schermo e recitano «l’aborto è omicidio», «le pistole non uccidono, sono le persone a farlo» e «ci sono solo due generi». L’effetto è piuttosto spiazzante, ma è valso alla clip 220 mila cuori, il corrispettivo dei like.
«Il lancio della campagna #trump2020 ha mostrato le potenzialità di questa piattaforma che si presta benissimo alle varie tifoserie a sostegno o contro un candidato», spiega Riccardo Scandellari, divulgatore su branding e comunicazione nonché animatore del blog Skande.com. «Dimostra che è possibile fare politica con TikTok se si adotta il giusto registro comunicativo, improntato a una veloce comunicazione, in cui le informazioni devono essere semplici, univoche e di intrattenimento».
Non sono però gli unici casi di “invasione” di contenuti seri in questo ambiente pensato per divertirsi, in cui si sperimenta anche una comunicazione dagli scopi più nobili. «L’Unicef ha lanciato una campagna per sensibilizzare sul tema dei diritti dei minori, la Croce Rossa ha usato TikTok per parlare dei cambiamenti climatici, il World Economic Forum ha un account nel quale tratta temi cruciali per il futuro del mondo», dice Vincenzo Cosenza, responsabile marketing di Buzzoole e tra i più attenti osservatori italiani in tema di social network. «Anche con messaggi molto semplici si può raccontare una storia. A volte un video di 15 secondi può bastare».