Martedì la presidente Ursula Von der Leyen annuncerà la squadra dei 27 da sottoporre al vaglio del parlamento europeo. Ma c'è il rischio di un profilo istituzionale assai più basso di quella precedente

Avrebbe dovuto essere la Commissione europea simbolo del cambiamento. Rappresentare un argine contro destre e populismi dilaganti in Europa, offrendo una visione di Unione diversa da quella di Claude Juncker, accusata di insensibilità verso i cittadini più esposti ai grandi cambiamenti socio-economici mondiali. E invece la nuova Commissione europea, formata dai rappresentanti dei 27 stati membri, rischia di avere un profilo istituzionale più basso di quella precedente e come punto di forza l'”usato sicuro” al posto di politici visionari e coraggiosi.

«La Commissione Juncker poteva contare su 5-6 ex presidenti del Consiglio e personaggi di grande spessore, scelti con una chiara visione politica», dice Alberto Alemanno, professore alla HEC di Parigi di Diritto e Istituzioni europee: «La nuova Commissione sembra essere composta per lo più da riciclati o tecnici». Perfino commissari nuovi, di peso come Sylvie Goulard - vice governatrice della Banca centrale francese, ex consigliere di un Romano Prodi presidente della Commissione ed ex parlamentare liberale - proposta da Emmanuel Macron, ha un profilo più da tecnico esperto che da politico. E una delle poltrone che vorrebbe, quella dell'Economia e della Finanza, è attualmente detenuta da un peso massimo della politica socialista francese come Pierre Moscovici, ex ministro delle Finanze e ex ministro degli affari Europei.

Europa
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Discorso simile vale per Margaritis Schinas, il commissario greco proposto dal neo primo ministro di centro destra Kyriakos Mitsotakis: è stato per trent'anni funzionario a Bruxelles, ricoprendo negli ultimi cinque il ruolo di potente portavoce in capo della Commissione. Conosce tutti i retroscena e i trucchetti della politica di palazzo ma non è certamente un politico con una visione. Tra le vecchie glorie con nessuna intenzione di tornare a casa e lasciare spazio ad una visione 5.0 dell'Europa ci sono uomini come Johannes Hahn, l'austriaco di destra addirittura al terzo mandato, dopo essere avere ricoperto ruoli di medio livello come Commissario per le politiche regionali e per l'allargamento, o il belga Didier Reynders che avrebbe dovuto occupare la casella cinque anni fa ma a cui è stata preferita da Juncker una donna, per ragioni di equilibrio di genere, e che oggi ha chiesto e ottenuto la rivincita, facilmente concessa da una politica belga che stenta ad esprimere un governo e in cui ai “vecchi” è offerta di buon grado una poltrona fuori dai confini nazionali.

A proposito di equilibri -- di genere, geografici e politici, la composizione del puzzle a questo giro non è facile, visto che la stessa presidente della Commissione non è frutto dell'espressione del parlamento europeo ma della concertazione dei capi degli stati membri all'interno del Consiglio europeo. E così anziché una Commissione spostata a sinistra, specchio dei desiderata che hanno vinto le scorse elezioni parlamentari europee, il rischio (la parola finale spetta al parlamento che dovrà votare i nomi suggeriti dalla presidente della Commissione nella plenaria di Ottobre) è quello di avere un collegio molto equidistante tra destra e sinistra, con i liberali come pendolo della bilancia. Perfino il Commissario verde – e i Verdi sono stati salutati come i vincitori morali delle elezioni – è solo uno, rispetto ai 3-4 rivendicati dal Gruppo, e non è nemmeno tanto verde, visto che il 28enne lituano Virginijus Sinkevicius appartiene al partito conservatore dei Contadini, che in comune con i Verdi ha solo l'appartenenza alla stessa famiglia europea e l'entusiasmo digitale.

Ma l'elezione alla presidenza della sua prima donna sposta tutta l'attenzione alla vera novità del mandato: la parità di genere. Visto che non sarebbe mai stato un uomo a realizzarla, sono in molti gli osservatori che considerano questa un'opportunità unica. La scelta dell'Italia (considerata in Europa fanalino di coda sul tema) di inviare a Bruxelles un politico di peso come Paolo Gentiloni se da una parte potrebbe sottrarre alla Francia la potente Commissione degli affari economici (che avrebbe la Concorrenza come alternativa, mentre il posto chiave del Commercio pare possa andare all'irlandese Phil Hogan, già commissario all'agricoltura), dall'altra rende più difficoltosa la parità di genere, forse obbligando Von der Leyen a forzare la mano con la Romania, che pare non abbia offerto commissari sufficientemente preparati. E nemmeno scontato, anzi, appare il voto per il candidato ungherese Laszlo Trocsanyi, diplomatico ungherese legato a doppio filo con Victor Orban, o quello polacco Janusz Wojciechowski, a cui andrebbe il portafoglio della politica agricola, che rappresenta il 40 per cento del budget europeo.

Spiegano però attenti analisti come Steven Blockmans del Ceps che Von der Leyen potrebbe sparigliare i giochi e mettere a punto una riforma in senso verticistico della Commissione tale che i singoli portafogli perderebbero di peso, raggruppati per obiettivi politici che richiede competenze di più settori (come la rivoluzione Verde o quella digitale) e posti sotto la guida di potenti vicepresidenti. D'altra parte è proprio nel triumvirato del vertice che risiede oggi il vero equilibrio politico della Commissione: Von der Leyen, Margrethe Vestager e Frans Timmermans non sono solo gli attuali pesi massimi della politica europea, sono anche i garanti dei tre rispettivi gruppi politici che compongono la maggioranza in parlamento. E, per una volta, pare che la vera intesa personale, quel quid che poi dirige le scelte politiche, sia tra donne. Tra Von der Leyen e Vestager, innanzitutto (dicono che Timmermans non ne sia contento) ma anche tra la presidente e Goulard. E visto che che tra i commissari considerati più preparati c'è la socialista portoghese Elisa Ferreira, come Goulard attuale vice governatrice della banca centrale nazionale, non è detto che l'intesa non possa ulteriormente estendersi. Gentiloni è avvertito.

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