«In Veneto ci sono malumori mai visti prima»: dopo le elezioni regionali, sono giorni difficili per il leader leghista. Alle prese con la fronda padana che si sente trascurata. Per l'autonomia. E per la campagna elettorale sbagliata. Mentre le inchieste giudiziarie sul partito vanno avanti

salvinitizian-jpg
Non c’è tempo per il Capitano. Nemmeno per elaborare il lutto elettorale dopo la sconfitta in Emilia-Romagna. Impensierito dalle ripercussioni interne del dopo voto e dai futuri risvolti giudiziari delle inchieste che coinvolgono il suo partito. Matteo Salvini subito dopo le elezioni regionali ha convocato un consiglio federale urgente per «guardare avanti». Nella storica sede di via Bellerio, il leader ha indossato la divisa da pompiere per prevenire l’espandersi dei focolai di rivolta interna. Fiammelle, per ora molto flebili, in futuro potenzialmente devastanti se alimentate da altre sconfitte territoriali, le battaglie che stanno più a cuore ai leghisti del Nord. Cosa sarà, si chiedeva Lucio Dalla in una delle sue canzoni più celebri. Lo stesso interrogativo che circola tra i padani duri e puri: cosa sarà di questa Lega nazionalista che nella città del cantautore ha subito una sconfitta bruciante?

I bolognesi hanno preferito un modenese del Pd, Stefano Bonaccini, alla bolognesissima Lucia Borgonzoni, figlia delle Due Torri e di queste piazze ma oscurata da Matteo Salvini, che ha trasformato il voto regionale in un referendum sulla sua persona e sul suo partito personale. Tradendo uno dei principi cardine del Carroccio, il territorio appunto. Ma la “Lega per Salvini premier” è un’altra storia. Semmai incarna l’opposto, il qui e ora. Un partito romanocentrico, con un uomo solo al comando, il Capitano, che ha fatto terra bruciata attorno a sé. Un condottiero che non si cura della squadra locale e non ha interesse a far crescere generazioni future di segretari. Un paradosso per uno come lui che si è formato nella palestra della vecchia guardia, con gli insegnamenti dei senatori della Lega Lombarda, primo fra tutti il fondatore Umberto Bossi.

Elezioni regionali
Tutti i guai del Capitano dalla Calabria all'Emilia-Romagna
27/1/2020
Cosa succederà, dunque, dopo la sconfitta di Salvini in Emilia e la frenata del partito in Calabria? «È ancora presto per dirlo», osserva un leghista di lungo corso, «credo nulla per adesso, anche perché tutte le segreterie provinciali sono state commissariate dal segretario, non ci sono organi direttivi e nel nazionale sono tutti uomini scelti da Salvini. Di certo ci sono molti mal di pancia sulla gestione della campagna elettorale e soprattutto sulla scelta della candidata in Emilia. Ma non essendoci organismi elettivi a tutti i livelli, il confronto è impossibile».

Lo storico militante, quindi, conferma a L’Espresso la gestione assolutamente personalistica della nuova Lega. E aggiunge che Salvini prima o poi pagherà la disattenzione sul federalismo: «Il governatore dell’Emilia dopo la vittoria ha subito rilanciato il tema dell’autonomia differenziata, Salvini no. E le assicuro che in Veneto ci sono malumori mai visti prima». E su questo il segretario rischia di finire stritolato tra l’interesse nazionale, che serve a mantenere i voti del Sud, e quello della Padania, che della patria e della nazione potrebbe anche fare a meno. La fortuna di Matteo è che gli arrabbiati hanno scelto la strategia dell’attesa, «stanno alla finestra, aspettano il passo falso», dice la fonte interna. Il numero due della Lega, Giancarlo Giorgetti, è stato l’unico ad affrontare il Capitano dopo il voto. Una strigliata autorevole sugli errori commessi da Salvini in campagna elettorale. Tra questi il solco profondo che divide il Carroccio dal voto moderato orfano di Forza Italia e la questione settentrionale. Lo slogan “prima il Nord” coniato dall’ex segretario Roberto Maroni è ancora in auge superato il confine del Po.

Intervista
Roberto Maroni: "I soldi? Chiedete a Matteo Salvini". E il governo? "Dipende da Giorgetti"
23/5/2019
E lo stesso Maroni intervistato dall’Espresso nel maggio 2019 aveva lanciato un messaggio preciso al Capitano: «Spero che la svolta nazionalista non precluda la questione settentrionale. Se la Lega di Salvini darà risposte ai ceti produttivi del Nord allora vola al 40 per cento. Altrimenti qui si aprirà lo spazio per un movimento nuovo». Messaggio ribadito l’11 gennaio 2020 nella rubrica “Barbari foglianti” pubblicata sul quotidiano “Il Foglio”. «Il nord per l’Italia. Questo il titolo di un confronto organizzato a Milano in questi giorni. Bene, ho pensato, è tornata la Lega... Avete letto bene: il nord tra Italia ed Europa. Per un attimo mi è sembrato di risentire l’immortale Gianfranco Miglio (nato proprio oggi, 101 anni fa) e la sua idea di macro-regioni, all’interno dell’Europa dei popoli. Possibile che il Pd proponga oggi una versione riveduta e corretta della Padania inventata da Bossi? Sarebbe sorprendente e per qualcuno davvero fantastico, ma non credo che il Pd zingarettiano farà sul serio. Peccato, perché il nord (con l’autonomia in primis) rimane sempre in cerca di risposte concrete. Ma dopo il 26 gennaio ci saranno sorprese. Stay tuned». A quali sorprese si riferisce l’ex segretario? Il 26 è passato e l’ascolto delle frequenze interne al Carroccio mostra malumori crescenti sul federalismo tradito.

Allo storico cavallo di battaglia padano, infatti, Salvini ha preferito Bibbiano. Ha scommesso sull’inchiesta giudiziaria sugli affidi dei minori che ha travolto il paese della provincia di Reggio Emilia. Da “prima il Nord” a “Giù le mani dai bambini”. Una scelta disastrosa, che ha messo in luce per la prima volta le fragilità della propaganda gestita dal genio social Luca Morisi e dal suo socio Andrea Paganella. Hanno fallito, la “Bestia” ha toppato. I dati dicono infatti che a Bibbiano il Pd è il primo partito e la coalizione di centrosinistra ha sfiorato il 60 per cento. Quasi come ai vecchi tempi del Pci. Salvini si è fidato dei consiglieri Morisi e Paganella. Ha rotto gli argini della decenza citofonando in giro per il Pilastro di Bologna accusando di spaccio, in diretta social, una famiglia sulla base di voci e delazioni dei vicini. Il quartiere popolare, che nella sua storia ha vissuto ben altri drammi come quello della Uno Bianca, ha reagito punendo Salvini: qui Bonacini ha sfiorato il 40 per cento. E anche a Modena il leader leghista si era improvvisato nuovamente sceriffo urbano, neanche fosse nel Texas di John Wayne, marchiando, a favore di telecamere, un negozio (chiuso) come base di spacciatori nigeriani. La città non lo ha apprezzato. Con l’aggravante di avere allontanato i moderati di destra. Errore capitale, che il saggio padano Giancarlo Giorgetti addossa totalmente a Salvini.

In Calabria non è andata meglio. La Lega non si era presentata alle passate regionali, vinte da Mario Oliverio del Pd con il 61 per cento di voti. Il confronto, perciò, si può fare con il dato delle europee di maggio 2019: la Lega nazionalista di Salvini è il secondo partito con il 22 per cento. Le ultime regionali, tuttavia, non hanno confermato l’ascesa calabra. Al contrario, il Carroccio salviniano, con tutte le forze messe in campo tra Reggio e Cosenza, ha racimolato appena il 12 per cento. Dietro Pd e persino Forza Italia. È vero che la coalizione di cui fa parte ha vinto e la Lega avrà un peso nella prossima giunta (possibile un vicepresidente sovranista che affiancherà la neo governatrice Jole Santelli), ma siamo distanti dalla narrazione trionfalistica delle politiche e delle europee. E se da un lato Salvini si fa fotografare con il libro del procuratore antimafia Nicola Gratteri e va fargli visita durante la campagna elettorale, dall’altro non ha speso molto tempo a sciogliere i nodi dell’opportunità di certi rapporti. In Calabria Salvini continua ad appoggiarsi a militanti molto chiacchierati. Qualcuno di loro nel frattempo è diventato parlamentare. Il padrone di casa è il deputato di Lamezia Terme, Domenico Furgiuele. Il suocero è in carcere per estorsione aggravata dal metodo mafioso e ha i beni sotto sequestro su richiesta dell’antimafia di Catanzaro.

Per non dire dei militanti di Rosarno, provincia di Reggio Calabria: uno di loro è il consuocero di un potente boss della ’ndrangheta. L’organizzazione mafiosa che l’ex ministro dell’Interno a parole dice di voler combattere. Dopo le elezioni europee. Matteo Salvini aveva inviato un commissario per mettere in ordine e organizzare il partito calabrese. La scelta è ricaduta su Cristian Invernizzi, un padano doc. Il compito del commissario, però, si è limitato allo spostamento dalla prima fila alla seconda delle pedine più chiacchierate, ma molto utili al partito nella ricerca di voti. Ha tolto a Furgiuele l’incarico di coordinatore regionale del partito, lasciando al deputato ampi margini di manovra in campagna elettorale. Il candidato furgiueliano al consiglio regionale, eletto con record di preferenze a Lamezia, si chiama Pietro Raso, sindaco di Gizzeria. L’elezione di Raso è stata festeggiata in grande stile. Caroselli d’auto e fuochi d’artificio, bandiere della Lega e i tricolori al cielo, sulle note di Notti magiche, la colonna sonora di Italia ’90.

Nostalgia del passato, ne è vittima anche la portavoce di Matteo Salvini, Iva Garibaldi. «Vincere e Vinceremo», ha scritto in una storia di Facebook la mattina delle elezioni a commento di una foto che la ritraeva abbracciata alla candidata presidente Lucia Borgonzoni. Dava la carica ai suoi con il motto di Mussolini dell’entrata in guerra, il giorno prima delle celebrazioni della giornata della memoria per ricordare le vittime della Shoah. Il lessico del Ventennio, però, non ha portato fortuna. E difficilmente sarà utile riesumare il Duce per salvare il Capitano dagli scogli giudiziari emersi lungo la rotta.
[[ge:rep-locali:espresso:285339750]]
Dal processo per il sequestro dei migranti a bordo della nave Gregoretti compiuto quando gestiva il Viminale. Alla gestione dei quattrini padani del vecchio e del nuovo partito. C’è l’inchiesta per riciclaggio dei 49 milioni della procura di Genova, che mira alle gestioni Maroni e Salvini. Poi ci sono quelle sul finanziamento illecito: i denari versati da imprenditori come Luca Parnasi e da aziende come Esselunga alla Più Voci, sconosciuta associazione fondata dal tesoriere del partito Giulio Centemero e usata, sostengono i pm, per finanziare la politica. Indagine chiusa, all’orizzonte il rinvio a giudizio di Centemero e dell’altro commercialista del partito, Andrea Manzoni. Resta un interrogativo non da poco: possibile che Salvini fosse all’oscuro della Più voci? Eppure era stato ospite a una cena riservata a casa di Parnasi e a quelle organizzate dall’associazione insieme a decine di imprenditori. Le indagini non si sono spinte oltre. Dunque, pare di sì, che il segretario sia stato finanziato a sua insaputa. Più fortunato rispetto al suo padre politico Umberto Bossi, condannato con il tesoriere dell’epoca in un filone di Tangentopoli proprio per finanziamento illecito. Il Capitano dovrà difendere il partito anche da un altra grana giudiziaria: il Russiagate italiano, con al centro la trattativa segreta del 18 ottobre a Mosca condotta dal fidato Gianluca Savoini, che ha tentato di incassare il sostegno finanziario dei russi per affrontare la campagna elettorale delle europee. Il quadro si arricchisce con i verbali in mano all’antimafia di Roma: secondo un pentito i clan di Latina hanno fatto campagna elettorale per la nuova Lega.

Partito nato con l’obiettivo politico di egemonizzare la destra italiana. Sulle macerie della Lega Nord per l’indipendenza della Padania, ridotta ormai a bad company, gravata dal debito dei 49 milioni, rateizzato in 70 anni. La “good company”, invece, è la Lega per Salvini premier. Il brand personale del Capitano, caduto nella pianura di Bibbiano.