Perché a Nicola Zingaretti non basta imburrare le Sardine
Il ricorso alla società civile può avere effetti deleteri se si riduce a un espediente per non affrontare le questioni di fondo. A cui il Pd dovrebbe dare una risposta
Messo alla prova delle urne, il “metodo Salvini” in Emilia Romagna non ha funzionato. La maggioranza degli elettori ha preferito affidarsi nuovamente a un Governatore competente come Stefano Bonaccini, piuttosto che alla candidata della Lega, Lucia Borgonzoni, che oltretutto non ha brillato nel corso della campagna.
Appena i risultati delle proiezioni sono stati sufficientemente solidi da escludere sorprese, Nicola Zingaretti ha incontrato la stampa manifestando soddisfazione per il risultato ottenuto da Bonaccini, e ha rivolto un «grazie immenso» alle Sardine. Una scelta singolare, che suggeriva una lettura falsata del voto. Pur sconfitta, la Lega rimane una presenza importante nel panorama elettorale della regione Emilia Romagna.
Certo, il Pd ha vinto, recuperando consensi, ma la vittoria è anche, e in misura significativa, di Bonaccini, in corsa con una propria lista che è andata molto bene. Un contributo niente affatto secondario l’hanno dato anche le altre liste che sostenevano il candidato progressista, dagli ecologisti di sinistra ai centristi liberali. Non a caso, a contendere spazio al quasi onnipresente Salvini, in una campagna che in parte si è giocata alla vecchia maniera, nelle piazze e negli altri luoghi di aggregazione di quartiere, c’erano Elly Schlein (che è risultata la più votata tra i candidati che sostenevano Bonaccini) e Carlo Calenda, divisi in parte nelle idee, ma uniti nella lotta contro la destra Salviniana. Non c’è dubbio che le piazze riempite dalle Sardine - fotografate con professionalità e diffuse in modo da diventare virali - abbiano galvanizzato un elettorato di sinistra stavolta incline al pessimismo, ma non sappiamo con quale efficacia.
Del resto, anche al tempo delle mitiche “piazze piene”, riunire tanta gente nello stesso luogo, intorno a uno slogan o a una bandiera, era soltanto il primo passo. La piazza piena va messa nella giusta prospettiva, raccontata, trasformata rapidamente in un messaggio politico vincente alle urne. Altrimenti, come diceva Pietro Nenni, c’è il rischio concreto che queste rimangano vuote. Alla fine Bonaccini è riuscito a riempire anche i seggi, con un recupero notevole dell’astensione, e a raccogliere un consenso persino più ampio di quello della coalizione che lo sosteneva. Ciò non vuol dire che dalla sua vittoria si possa ricavare una ricetta da riprodurre pedissequamente altrove. Sarebbe un errore gravissimo illudersi che la “magia” delle Sardine possa diventare il sostituto di un progetto politico capace di riportare il Pd al governo a Roma - le amministrative nella capitale si avvicinano, e saranno durissime: contro una destra forte, che potrebbe avere una candidata popolare - oppure di mantenerlo alla guida del paese quando si voterà per il rinnovo del Parlamento.
Se “imburrare” le Sardine è un modo per rimettersi in contatto con gli elettori, soprattutto quelli più giovani, che negli ultimi anni hanno disertato il Pd, può essere una buona idea. Ma il ricorso alla “società civile” ha effetti deleteri se è un espediente per non affrontare le questioni di fondo cui il Pd dovrebbe dare una risposta, che sono quelle di una crescita sostenibile ed equa, e di un’apertura al mondo che deve essere governata in modo da proteggere le persone più vulnerabili, che siano i migranti che inseguono il sogno di una vita migliore, o gli anziani delle periferie che si sentono smarriti perché la società in cui vivono è cambiata, e hanno perso tutti i punti di riferimento. Le risposte a queste domande sono più difficili oggi, perché il conflitto distributivo si è inasprito, e il capitalismo mostra nuovamente nei paesi occidentali la sua faccia peggiore, che i progressisti si erano illusi fosse scomparsa.
Affidarsi alle Sardine potrebbe essere quindi un modo per continuare nell’equivoco di un partito che elude le scelte di fondo, nella speranza che torni il bel tempo. Le condizioni storiche su cui si è edificato il benessere di cui hanno goduto le generazioni nate e cresciute nella seconda metà del secolo scorso non ci sono più. Siamo entrati in una nuova fase storica, in cui le ricette del passato non funzionano più, e i principi di giustizia che hanno guidato l’edificazione di regimi democratici prosperi, inclusivi e stabili richiedono nuove interpretazioni. Per rispondere a questa sfida i progressisti avrebbero bisogno di una nuova alleanza tra liberali e socialisti (come hanno sostenuto di recente Emanuele Felice e Peppe Provenzano in un saggio sulla rivista “Il Mulino” 6/2019). Al Pd dovrebbe spettare il ruolo di aiutare la nascita di una coalizione liberalsocialista e ambientalista, che tenga insieme diverse sensibilità politiche che cooperano in vista di uno scopo comune: salvare la democrazia. Ma ciò comporta in primo luogo il riconoscimento di queste sensibilità come legittime e autonome, e la rinuncia alla cattiva egemonia di chi vuole giocare in tutti i ruoli contemporaneamente. Solo in una cornice del genere sarà possibile trovare il necessario compromesso tra efficienza ed equità.