Da partito anti-sistema, il M5s è divenuto un partito “nel” sistema e la sua ragione sociale è diventata la perpetuazione dell’organizzazione e del suo ceto dirigente

Luigi Di Maio
Referendum costituzionale, innovazioni nel Movimento 5 stelle, consolidamento del rapporto Pd-Movimento: tutto si tiene. Il referendum sul taglio dei parlamentari, il voto su Rousseau per dare il via libera al terzo mandato e ad alleanze con i partiti tradizionali, le prime alleanze per le municipali e la volontà dei dirigenti del Partito democratico di rinsaldare il legame con l’alleato di governo per forgiare un unico «punto di riferimento» della politica italiana, sono altrettanti momenti che ci parlano di uno dei percorsi che ha compiuto il populismo italiano.

Da partito anti-sistema, il M5s è divenuto un partito “nel” sistema. Si è istituzionalizzato, nel senso che la sua ragione sociale è passata dal cambiamento del sistema alla perpetuazione dell’organizzazione e del suo ceto dirigente.

Quel ceto dirigente emerso in anni di reclutamento più o meno casuale, cooptazioni, lotte tra fazioni. Luigi Di Maio - abile vincitore di quelle faide, con il sostegno di un Beppe Grillo tramutatosi improvvisamente da rivoluzionario a campione governativo - oggi parla di “evoluzione”.

Editoriale
Perché bisogna dire No al referendum sul taglio dei parlamentari
26/6/2020
Ma il definitivo superamento di due tabù fondativi come il limite dei due mandati e il rifiuto di alleanze elettorali (oggi cruciali per ampliare sul territorio il patto di potere Pd-5stelle), altro non costituisce che l’adattamento dei 5 stelle all’incistamento in corso nelle istituzioni. Adattamento, dunque, non a dinamiche sistemiche (come può essere la competizione bipolare), non alle regole della democrazia liberale, ma all’occupazione del potere. Come nel caso dei movimenti totalitari che si sono lasciati alle spalle la fase rivoluzionaria e accedono al potere. Questo particolare adattamento somiglia al potenziamento di quella attitudine portata in dote dal Partito democratico, che in corrispondenza del proprio declino a sua volta si è sviluppato avvinghiandosi alle istituzioni come l’edera.

L’adattamento, ancora, non coinvolge i contenuti del “credo” grillino. Entrati nelle istituzioni, si portano appresso la loro originale natura di fustigatori della “casta”. Come accade quando i populisti vanno al potere e diventano essi stessi élite, il loro non essere casta - non importa di quanti privilegi abbiano nel frattempo imparato ad avvalersi - è sbandierato in nome del fatto che loro incarnano lo spirito del popolo: la casta è sempre altrove, talvolta si insinua nella loro casa, è vero, ma allora si procede all’espulsione dei traditori. Continuano dunque a vivere della lettura distorta dei fenomeni politici come scontri tra buoni e cattivi. Ciò investe ogni ambito. La giustizia, strumento di repressione delle categorie malsane (evasori, corrotti, politici opportunisti, colletti bianchi infedeli) per il bene dei “buoni” (il popolo “minuto”). Ma anche l’economia, che in nome del principio della distribuzione al popolo di ciò che gli spetta, è gestita essenzialmente attraverso politiche distributive.

Referendum costituzionale
Il mio No al referendum è un Sì alla democrazia
24/8/2020
La paternale-video di Di Maio a proposito delle richieste di alcuni parlamentari ed eletti locali del bonus destinato alle partite Iva costituisce la rappresentazione di quanto detto. Insieme al vibrante populistico messaggio di simpatia e condivisione delle difficoltà e sofferenze delle partite Iva (qui i “buoni”) vi sono le veementi accuse ai politicanti profittatori al grido di “fuori i nomi!” (la gogna).

Il modo misterioso in cui la notizia è trapelata, il fatto che i controlli (stranamente lenti) siano stati orientati su politici e non altre categorie, gli strani comportamenti dell’Inps e del suo presidente, i problemi della privacy: a questo nessun cenno, tutto coperto dall’alternanza tra pietismo populista e rabbia contro i peccatori (che ancora non si è ben capito se abbiano o meno violato la normativa). Poi il finale, con grande risalto al fatto che il comportamento inopportuno di cinque parlamentari starebbe lì, in tutta la sua evidenza, a giustificare il taglio dei parlamentari sul quale il referendum del 20 settembre dovrà decidere. Ma quella evidenza esiste solo in un caso: nel caso in cui il taglio dei parlamentari sia una punizione per la casta di deputati e senatori. E questo è: vedete come si comportano? Vanno puniti! Al taglio! Al taglio!

Il Pd ha deciso di sposare tutto questo. In una sua parte non è forse nemmeno troppo lontano da questa visione populista e illiberale della politica. Quel che è certo, è che quasi tutta la sua classe dirigente, poche sono le eccezioni, è accecata dalla paura di dover tornare nel mare aperto della politica, dove evidentemente teme di affondare. Così con il Sì al referendum saranno suggellati il patto d’amore con uno dei più deleteri prodotti del populismo italiano e l’affermazione di una sinistra giacobina e assistenzialista. Il cerchio si chiuderà: un paese fatto solo di populisti di sinistra e di populisti di destra, anche questi ultimi in marcia compatti per punire la vergognosa casta con un gran bel Sì.