Sette milioni di persone si sono opposte al taglio dei Parlamentari. Si tratta di una riserva di cui i riformisti non potranno fare a meno
di Massimiliano Panarari
28 settembre 2020
ESPRESSOMUNAFO-20200925163943324-jpgEra una mission impossible, che partiva da una gigantesca sproporzione di forze. Davide contro Golia. Eppure, grazie alla mobilitazione di alcuni intellettuali e parlamentari, di settori della società civile e di una parte della stampa (come L’Espresso), la valanga del Sì ha dovuto fare i conti con una presa di coscienza di tanti cittadini-elettori.
Così, il “popolo del No” referendario, nonostante il paradosso più unico che raro della “casta” che predica contro se stessa, è arrivato a contare nelle sue file sette milioni e mezzo di italiani, pari al 30,36 per cento dei votanti. E, come rivela l’analisi dei flussi, più del 42 per cento degli elettori del Pd, un segnale robusto contro i populismi di ogni colore - e un dato che deve essere maneggiato con cura dal suo gruppo dirigente.
Di due tipi sono il lascito e la sfida lanciati dal terzo dei nostri concittadini che ha voluto dire di No al semplicismo strumentale dell’ideologia del “direttismo democratico” e alle lusinghe dell’antiparlamentarismo - vale a dire, il nucleo originario e profondo dell’idea del “taglio lineare” (effigiata nel triste carnevale delle forbicione grilline in piazza Montecitorio).
Il primo nodo da sciogliere riguarda l’elaborazione delle formule di una rappresentanza politica di qualità con cui rispondere alle istanze di questo popolo trasversale del No all’antipolitica. Il secondo investe la visione e il cantiere delle riforme istituzionali da attuare dopo la realizzazione della riduzione del numero dei parlamentari. Una questione che può attingere a un lungo dibattito in seno alla sinistra nazionale, applicatasi intensamente nei decenni scorsi ai temi della revisione costituzionale.
E proprio per questo, il pronunciamento, dispiegatosi nel 30 per cento del No, contro la scorciatoia semplicistica quale panacea per mali di altra natura definisce uno spazio politico di rilievo. Quello della difesa senza se e senza ma del valore della democrazia rappresentativa, proponendosi come un preziosissimo anticorpo rispetto alle retoriche (e alle false promesse) dell’antipolitica. E come un correttivo sul quale - se solo lo vorrà - potrà contare anche il fronte che si è presentato come il “Sì riformista”, di cui nelle prossime settimane «si parrà la nobilitate» rispetto alla capacità di delineare un quadro coerente di cambiamenti costituzionali che ripristini adeguatamente il principio di rappresentatività (dei cittadini e dei territori), preservi il pluralismo e incoraggi una migliore selezione delle classi dirigenti.
Effettuando la revisione dei regolamenti parlamentari, un pronto ridisegno dei collegi elettorali, il superamento della base regionale del Senato e la riduzione dei delegati regionali per l’elezione del capo dello Stato. Archiviando, finalmente, le liste bloccate per restituire all’elettore un’effettiva possibilità di scelta. Producendo una legge elettorale condivisa e non pasticciata, né ossessionata esclusivamente dagli interessi di bottega.
Nel frattempo, il bicameralismo paritario è sempre lì: ma non doveva (e opportunamente) essere quella la Grande Riforma?