Politica
Cinque stelle e Idv, andata e ritorno. «Quando eravamo io, Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio». Il racconto di Antonio Di Pietro
Tutto cominciò con l'Italia dei Valori, poi il guru della rete puntò tutto sul comico genovese. Oggi gli scissionisti recuperano il simbolo del gabbiano per fare la guerra all'«Elevato», ormai draghizzato. L’ex pm ricostruisce quella storia
«ll Movimento Cinque Stelle? Farà la fine dell’Italia dei valori. Sono movimenti, partiti di transizione, non c’è niente da fare, sono destinati. Alla fine del setaccio, tra qualche anno, se va tutto bene sarà completato il ricambio ci sarà una nuova classe dirigente composta in parte anche da alcuni di loro». «Grillo? Si ritroverà come mi sono ritrovato io con l’Italia dei valori, a un certo punto».
In questi giorni tempestosi per i Cinque Stelle, tra la lotta per i sottosegretari, le discussioni sulla coerenza e una epurazione-scissione nel nome del no a Draghi che ha ritirato fuori anche il simbolo del suo ex partito, Antonio Di Pietro si è tenuto lontano dai giornalisti. Tuttavia, ben prima che si aprisse la crisi di governo ma quando già la forza d’urto del M5S era finita da un pezzo, l’ex pm simbolo di Mani pulite, ex leader di Idv, in una conversazione finora inedita rifletteva sul percorso intrecciato di questo pezzo di populismo, finendo per disegnare l’arco di una parabola - non irridente, né autocompiaciuta, anzi piuttosto disincantata - che gli accadimenti di questi giorni svelano azzeccata oltre le previsioni, e per questo di strana attualità.
Basta guardare i messaggi in rete contro Beppe Grillo per accorgersene, i commenti sotto i post, come quello relativo a una necessaria «riforma sostanziale dell’informazione», con proposte tipo via i partiti dalla Rai per le quali - specialmente dopo tre anni passati al governo - il commento «aridaje» (che, in romanesco, è il sarcastico opposto dell’incitamento «daje») si attaglia meglio di quanto non abbia fatto l’«aridaje» lanciato a sostegno della ricandidatura a Roma di Virginia Raggi, altra pasticciata vicenda emblematica dello stato di caos in cui versa quello che fu il primo partito alle elezioni del 4 marzo 2018.
C’è un elemento circolare, in tutto questo. Antonio Di Pietro, oggi 70 anni, cominciò la sua carriera politica di leader Idv come l’eroe dei due mondi che era stato in magistratura, brandendo l’onestà prima del Vaffa, il Parlamento pulito, fino ad arrivare nel 2009 alle bandiere del Popolo Viola - tutte iniziative che vedevano Gianroberto Casaleggio come trait d’union - è finito poi travolto da scandali, Razzi, accuse di essere la peggior specie di casta, peraltro spesso di matrice latamente grillina, o provenienti da mondi amatissimi dai Cinque Stelle (l’epitaffio per il suo partito fu, per dire, una puntata di Report di Milena Gabanelli).
Beppe Grillo, che urlava a tutti i partiti «siete morti», dopo aver governato con la Lega, con il Pd e Renzi è finito a braccetto con Mario Draghi, in compagnia di Silvio Berlusconi (a breve c’è il rischio proclami «un grillino» anche lui), a vantarsi che i Cinque Stelle «non sono più marziani». Sul web è subissato di critiche in una misura mai vista prima.
Varrà anche stavolta - con tutte le differenze del caso - la teoria del più puro che ti epura? Si vedrà. Nel caso Di Pietro, c’è da dire, contò parecchio la fine del sodalizio con Casaleggio padre, come spiega in un agile video l’ex dipendente della Casaleggio Associati Marco Canestrari, dove si chiarisce che la chiave di ogni rapporto con la base l’aveva Casaleggio e nessun altro sapeva utilizzarla così bene. Mentre adesso nei Cinque Stelle, nel caos generale di tutti che litigano con tutti, non è ancora nemmeno chiaro Casaleggio jr da che parte finirà per stare, anche se più di un indizio va nella direzione della stabilità, del governo e degli affari. Per ora, il segnale più interessante è questo: chi è rimasto dentro M5S non ha messaggi più convincenti di chi è stato cacciato o si sia messo comunque fuori (come Alessandro Di Battista). È la prima volta che accade.
Del resto a guardare nel suo insieme come si è snodata la vicenda del Movimento Cinque Stelle, è quasi incredibile notare come tutti i tasselli via via trovino il loro posto. Lo stesso Di Pietro, che era in origine, e torna verso la fine di questa che è una storia populista, di partiti personali, di supermarket di simboli. Quello dell’Idv, che fu depurato dal nome dell’ex pm così come è accaduto poi per Grillo in quello dei Cinque Stelle (originariamente figurava la dicitura: www.beppegrillo.it), adesso è stato riesumato dalla naftalina per fare da appendino al nuovo gruppo di ex Cinque Stelle. Facendo così aleggiare di nuovo la figura dell’ex pm anche se il simbolo non è più a disposizione sua, bensì dell’ultimo segretario Idv Ignazio Messina, avvocato palermitano che non è riuscito a farsi eleggere ma, presentatosi nel 2018 nella Lista Civica popolare, lo ha così graziosamente depositato in Parlamento, pronto per l’uso in casi come questo (o quello del Nuovo Psi con Italia viva) .
«Come per gli altri movimenti, c’è la spontaneità e la strumentalizzazione della spontaneità», spiega Di Pietro. «Vale per tutti: Cinque Stelle, Idv, Sardine, è accaduto alle Agende rosse, all’antimafia. Purtroppo all’interno di ogni movimento c’è questo virus. Perché sono realtà nate all’insegna di una persona che rappresentava un’idea: non all’insegna di un processo politico, culturale e sociale profondo. E quindi chi gli andava dietro, gli andava dietro come l’onda. Oggi appresso a Giovanni, domani appresso a Nicola. Ma non è colpa dell’onda, se questo accade. Colpa o merito, perché poi la storia va così, dipende da come finisce: chi vince è un patriota, chi perde un terrorista».
Non è dunque colpa di Grillo, che un giorno lontano provocò l’onda, con Gianroberto Casaleggio. Un ruolo fondamentale, che negli anni dei governi Conte è come tornato in ombra, per poi rivelarsi di nuovo - se non altro per assenza - ora, che tutto sembra sfarinarsi. E si assiste a queste suggestioni di ritorno alle origini: «Casaleggio voleva far politica, ma non direttamente, voleva essere il mentore della situazione e lo è stato: i fatti gli hanno dato ragione», racconta Di Pietro, che era anche lui all’origine, con Casaleggio padre e l’Idv, partito che l’ex pm chiama «versione beta» dell’hardware casaleggiano, poi trasferito su Grillo e Cinque Stelle («che sono la versione 2.0 di Idv»), infine ereditato nel 2016 da Davide Casaleggio, con l’apoteosi dell’Associazione Rousseau. «Grillo ha avuto una grande fortuna, anzi, meglio, diciamo che c’è stato un grande concorso di circostanze: molto importante è stato, per Grillo, trovare Casaleggio padre sulla sua strada», racconta Di Pietro. «Questo è un pezzo di storia che andrebbe raccontato, perché il successo di Grillo si realizza non poco sulla base di una idea di Casaleggio, che lui voleva realizzare con me e che io ho rifiutato: il mio errore, che ha comportato la caduta dell’Idv».
Una storia su cui Di Pietro si è soffermato poco nel corso degli anni - mai così dettagliatamente - e che ha il suo inizio ufficiale nel 2005, quando il capo di Italia dei Valori affida il suo blog personale, e poi di seguito lo farà anche per la comunicazione Idv, a Gianroberto Casaleggio. Erano gli anni in cui era ministro delle Infrastrutture nel governo Prodi 2. Prese a fare le dirette video in cui, a fine Consiglio dei ministri, raccontava cosa fosse appena successo: e quella era già un’idea di Casaleggio. «Lui a me fatturava, come partito lo pagavo anche molto bene, difatti sul mio blog a differenza di quello di Grillo non c’erano i banner pubblicitari», racconta Di Pietro.
Lo pagava, paradossalmente, come ha notato poi Nicola Biondo nel libro “Supernova”, coi soldi dei rimborsi ai partiti contro cui invece tuonava Grillo e contro cui si sarebbero battuti i grillini; una versione più grossolana di quella attuale, dove gli eletti pagano l’Associazione Rousseau. E come ci era arrivato, Di Pietro, a Casaleggio? Conosceva già Grillo («ci conoscevamo, sì, eravamo due rompiscatole, lui faceva politica, io ero l’unico politico ad apprezzarlo»), ma la conoscenza con Casaleggio non è avvenuta così, ha raccontato Di Pietro: «Avendo poche risorse, avevo aperto un blog, www.antoniodipietro.it, che andava bene. Avevo bisogno che qualcuno lo mi aiutasse a gestirlo; ho sentito diverse società di comunicazione. Lui aveva questa impresa che era all’avanguardia, perché all’epoca l’informatizzazione non era ancora alla fase social. Si propose, mi scrisse una mail. Mi entusiasmò, avevo anche qusto link in comune, Beppe. Quindi poi ci incontravamo, tutti e tre». Interessante anche notare che Di Pietro è sempre stato un appassionato del ramo: perito elettronico, si occupò proprio di informatica dopo aver vinto un concorso al ministero della Difesa, a metà degli anni Settanta; ed è sempre rimasto, sin da quei tempi, «un patito delle banche dati», tanto da aver creato già ai tempi di Mani pulite il famoso «fascicolo informatico», dopo essersi circondato di un «mini pool di informatici espertissimi».
C’è quindi una specie di sliding door nella storia di questo pezzo di populismo italiano. Ci sono Casaleggio, Di Pietro e Grillo. Grillo ha il blog, gestito da Casaleggio, Di Pietro pure - con alcune differenze, come il fatto che «io scrivevo i post, e poi li spedivo a Casaleggio, mentre i post di Beppe erano la voce di Grillo ma la scrittura di Casaleggio, che traduceva nel Blog quello che gli diceva Beppe». In questo ambiente si crea a certo punto una specie di tempesta perfetta, tra il primo V-day, il libro “La Casta”, il blog, le prime liste civiche grilline, che per Casaleggio inizialmente non dovevano sfociare in un simbolo nazionale, bensì, racconta “Supernova”, «tradursi in un travaso verso il partito di Di Pietro che, spiegava Gianroberto, “la gente deve cominciare a vedere come presidente del Consiglio”».
In quello spicchio di anni Di Pietro si trova con il partito in crescita vorticosa, tra il 2006 (2,5 per cento, che lo porta nel governo Prodi) e il 2008 (4,3), quando si allea con il Pd di Veltroni, e il 2009, le elezioni europee in cui ottiene l’8 per cento, e che sono il momento della fine della sinergia con Casaleggio. Di Pietro si trova, come dice lui, «dalla sera alla mattina» a dover costruire una classe dirigente: «Mi sono trovato cioè con la stessa necessità in cui, poi dopo, si è trovato Beppe, rectius Casaleggio stesso, perché alla fine era lui che se ne occupava. Dalla sera alla mattina devi creare una classe politica nazionale, sulla base di un consenso spontaneo che hai raccolto su di te, sulla tua persona. Casaleggio mi propose questa regola, che io rifiutai: per esser nuovi, dobbiamo prendere solo chi non ha già fatto politica. Io ho stabilito un’altra regola: domani mattina ho bisogno di governare il territorio, ossia di qualcuno che alzi la saracinesca, che sappia cosa è un consiglio comunale, e scelgo quelli che hanno già una realtà sul territorio. Ho fatto molto affidamento sulla mia credibilità, pensavo cioè che mi si sarebbero avvicinate solo persone di un certo tipo. Quello fu l’errore, perché invece non andò così. E il partito in poco tempo è diventato poco credibile sul territorio, anche al di là delle inchieste giudiziarie. Basti pensare che in Molise gli ex Idv sono diventati leghisti». A seguito di quella scelta, racconta Di Pietro, si rompe il legame contrattuale, anche se non quello personale che è sempre rimasto: «Casaleggio contrastò fortemente la mia scelta, io non rinnovai più il contratto, lui voleva portare avanti la sua idea. Ma siamo rimasti in ottimi rapporti di stima, tant’è che gli ho anche fatto da avvocato».
In Supernova è raccontata una parte complementare di questa storia: si ricostruisce infatti che furono i dirigenti di Idv, che soffrivano l’ingerenza casaleggiana, a persuadere Di Pietro a non rinnovare il contratto che di fatto finiva per comprendere l’organizzazione del partito: «Tutta la struttura di Casaleggio, poi passata nei gruppi di M5S, è quella che ha lavorato con me. Alcuni sono stati miei dipendenti, stavano al gruppo, poi anche a Busto Arsizio, a preparare le elezioni, erano bravi. Lorenzo Fioramonti, che poi diventerà ministro, era un mio collaboratore al ministero», racconta Di Pietro. Uno degli ultimi, eloquenti, casi di interazione fu quello della candidatura alle europee 2009 di Sonia Alfano e Luigi De Magistris, ticket indipendente dentro le liste Idv sponsorizzato dal Blog di Grillo. L’ex magistrato fu l’europarlamentare più votato, ma il legame con Casaleggio si ruppe anche in quel punto, e presto.
È proprio nell’autunno di quell’anno, il 4 ottobre 2009, che infatti nascono i Cinque Stelle. Racconta Di Pietro, «Casaleggio poi ha fatto fare a Grillo quello che voleva far fare a me. E questo gli ha permesso di avere un grande risultato. Ha avuto un grosso vantaggio iniziale, ha raccolto i miei voti e li ha moltiplicati, proprio perché al mio confronto era più credibile, e molto più spontaneo. Il suo dramma è stato quando ha scelto di andare a Palazzo Chigi: si è trovato con persone che hanno voluto governare senza prima imparare. Insomma, ha portato una marea di eletti tipo Toninelli, tanti personaggi in cerca d’autore che si sono ritrovati nei ministeri dalla sera alla mattina, con responsabilità enormi».
E questo ha creato un altro tipo di «non credibilità», sospira Di Pietro che pure elogia l’esperienza: «Casaleggio con M5S ha fatto una cosa importante, ha portato un grande ricambio, benissimo ha fatto anche Beppe, senz’altro, ha lasciato il segno. Costruire una classe dirigente dalla sera alla mattina non è una cosa semplice: quelle che nascono e resistono sono le lobby, cose come la P2, la mafia». Quella di Idv, si infranse sotto i balletti dei Razzi, tanto simbolici da essere evocati per ogni cambio di casacca anche dieci anni dopo. Quella di M5S rischia paradossalmente di infrangersi proprio quando il vaffa di Grillo è diventato deferenza draghizzata, trasformando la lotta grillina per farsi classe dirigente in una faccenda troppo seria per essere vera.