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Politica
luglio, 2021

Ddl Zan, il movimento Lgbt compatto contro ogni modifica: «Basta mediazioni sulla nostra pelle»

La comunità arcobaleno alza la voce ed è pronta a disconoscere la norma se venisse approvata con i correttivi proposti da Italia Viva: «Oggi Renzi ufficializza la svendita delle persone Lgbt nel suo mercato con Matteo Salvini: un fatto vergognoso»

Quasi silente, il movimento Lgbt italiano ha assistito in questi mesi al mare di dichiarazioni di partiti e singoli attivisti sulla legge contro l’omotransfobia, ferma in Italia da 25 anni. Favorevoli e contrari. La pazienza è una virtù guerresca, le associazioni lgbt si sono armate di questa fino alla fine: hanno discusso, lontano dai riflettori, con partiti e politici mentre il paese registrava sempre nuovi casi aggressioni omotransfobiche. Ma adesso alzano la voce. L’unità del movimento su questa legge è granitica: “Nessuna mediazione sulla nostra pelle” è il refrain di queste settimane.

 

Un atteggiamento totalmente diverso rispetto alle unioni civili, approvate dal governo Renzi nel 2016. Se la legge dovesse cambiare di una virgola, dopo la mediazione già ottenuta da Italia Viva alla Camera, il movimento arcobaleno non riconoscerebbe questa legge tra le elenco delle battaglie vinte. «Oggi Renzi ufficializza la svendita delle persone Lgbt nel suo mercato con Matteo Salvini: un fatto vergognoso, che lo rende connivente con i peggiori omofobi della nostra classe politica» tuona Gabriele Piazzoni, segretario generale di Arcigay.

 

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Il motivo di questa opposizione è semplice: gli emendamenti di Italia Viva lascerebbero fuori una parte della comunità, quella trans e non binaria. Il ddl Zan così, a furia di compromessi, può diventare un'arma spuntata, una proposta di legge incapace di offrire tutele, come spiega Angelo Schillaci, professore di Diritto pubblico comparato dell’Università La Sapienza: «Ove venissero inseriti nella norma penale, i termini “omofobia” e “transfobia” non assicurerebbero protezione a tutte le soggettività che il ddl Zan si propone di tutelare. Ad esempio, un crimine specificamente fondato su bifobia o su ostilità verso persone di diverso e ulteriore orientamento sessuale non sarebbe ricompreso nella norma penale (ricordo che non sono ammesse interpretazioni estensive in malam partem in materia penale); e lo stesso vale per crimini commessi ai danni di persone non binarie o gender non conforming, non riconducibili alla condizione trans e, dunque, alla transfobia».

 

Fa discutere, tra le proposte di Italia Viva, lo stralcio della parola “identità di genere”, per Renzi una richiesta “delle femministe italiane”. Posizione che non convince Natascia Maesi, attivista lesbica, femminista e responsabile Politiche di genere di Arcigay: «L’alleanza tra lesbiche e trans viene da molto lontano, dai Moti di Stonewall quando furono Stormè DeLarverie e Sylvia Rivera - una lesbica butch nera e una donna trans sexworker - a dare vita alla rivolta che ha segnato la nascita del Movimento lgbt. Non siamo disposte ad accettare altri compromessi sul Ddl Zan. Né che si utilizzi strumentalmente l’identità di genere come espediente per affossare una legge necessaria ed urgente. L’identità di genere non è un capriccio, è un concetto giuridicamente determinato e sostenuto da oltre 50 anni di studi scientifici. Tutelare le persone trans e non binarie dalla violenza, non toglie spazi e diritti faticosamente conquistati dalle donne in anni di lotte femministe. Chi vorrebbe cancellare questa memoria, sta tradendo la sua e la nostra storia».

 

Di tradimenti parla anche Gianfranco Goretti, presidente di Famiglie Arcobaleno, l’associazione di genitori omosessuali che la legge sulle unioni civili, voluta da Renzi, non tutela: «Qui non si tratta più di diritti o protezione delle persone lgbt ma della ricollocazione politica di Renzi. Un gioco meschino. Pieno di falsità» spiega: «Riportare il ddl Zan alla definizione contenuta nello Scalfarotto ovvero aggiungendo le parole 'o fondati sull'omofobia o sulla transfobia' è quello che ha già bloccato l’approvazione della legge 10 anni fa. Qui non si sta facendo una mediazione, si cerca di affossare. Renzi è il primo responsabile, checché ne dica Ivan Scalfarotto. Con le unioni civili Renzi ha lasciato i nostri figli a terra, oggi vuole lasciare fuori le persone trans non binarie e le nuove generazioni, escludendo l’identità di genere e la sensibilizzazione al tema nelle scuole».

 

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Mentre Claudio Mazzella, presidente del Circolo di Cultura Omosessuale Mario Mieli ricorda l’assenza di rappresentanza della comunità lgbt nel percorso di mediazione, totalmente dimenticata da quella politica che si fa portavoce di istanze che non ha mai ascoltato: «Vorrei sapere quali sono le associazioni LGBT+ che sono d’accordo nel veder modificata anche una sola parte della Legge Zan e vorrei sapere questi politici che le propongono con chi hanno parlato. Le piazze dei Pride, da Roma a Milano, da Bologna a Napoli, hanno gridato forte che questa legge va approvata così com’è, senza nessun compromesso. Vogliono trovare loro un compromesso per non scontentare oltre Tevere calpestando la laicità dello Stato di cui sono rappresentati. Chi in politica chiede modifiche al ddl non si è mai messo in ascolto della comunità per conoscere le nostre storie, quelle delle persone più giovani e quelle più complesse subisce questo odio ogni giorno».

 

La difesa del ddl Zan è portata avanti dalle femministe e dal movimento Lgbt si costruisce sul principio dell'autodeterminazione responsabile, la lotta al conservatorismo, al valore della laicità senza la quale non c'è dialogo, ma solo conflitto come racconta Lea Melandri, scrittrice e figura centrale del femminismo italiano: «Non voglio entrare in un’analisi politica ma certo il riferimento su tutta la questione delle scuole viene quasi a seguito della nota del Vaticano. L’educazione è l’unico deterrente possibile alla violenza omotransfobica e alla misogina a cui assistiamo ogni giorno. Ed è importante nominare tutte le soggettività, portare dentro le scuole le tematiche del corpo, della sessualità. Una cosa quasi impossibile da fare. Molte insegnanti oggi sono in condizione di precarietà, per cui rischiano forte. Ho raccontato spesso di questa mia esperienza degli anni Settanta, quando feci una conversazione con i miei allievi di seconda media e fui denunciata dall’insegnante di religione. Nel ’72 per un anno sono stata su tutti i giornali come la "prof del sesso”. Io semplicemente volevo capire cosa succede tra maschi e femmine, far emergere il sottobanco. Nelle scuole bisogna parlare di sessismo, patriarcato, violenza. Per contrastare il fenomeno. Sono poco interessata all’aspetto penale, molto invece all’aspetto formativo educativo deve cambiare la nostra cultura. Perciò il ddl Zan va difeso così com’è».

 

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Mentre Monica J. Romano, attivista transgender, saggista e presidente dell'Associazione per la Cultura e l'Etica Transgenere (ACET) si guarda intorno e vede la distanza di una politica dalla comunità: «Questo è uno schiaffo in faccia alla comunità trans*. Si sta facendo una mediazione a ribasso su diritti inalienabili - dichiara – Ci stanno cancellando per giochi di partito e sento e vedo intorno a me moltissima rabbia. Fino a pochi mesi ci sentivamo in qualche modo al sicuro, la società civile è distante dai palazzi della politica ed è chiarissima l’importanza di questa legge così com’è. E invece di allinearsi a questo sentimento, la politica ha deciso di mediare per motivi che nulla hanno a che vedere con il principio di realtà. L’obiettivo di queste richieste di modifica è chiaro: la negazione dell’esistenza persone transgender e gender non conforming».

 

L’indifferenza della politica alla comunità genera rabbia e forse qualcosa di più, avverte la presidente di ACET: «Bisogna fare molta attenzione, perché questo risultato, che porta già disillusione e rabbia, potrebbe portare a risvolti anche violenti e incontrollabili da parte di frange più radicali ed estremiste, lontane dalle pratiche pacifiche che hanno sempre contraddistinto l'agire del nostro movimento. Sono convinta che una legge frutto della mediazione Lega-Italia Viva non troverà il riconoscimento della comunità lgbt. È qualcosa che non ci può riguardare, che ci lascia margini e che ci cancella».

 

A Monica Romano sembra far eco Porpora Marcasciano, attivista storica e presidente onoraria del MIT (Movimento d’Identità Trans*) che con poche parole lancia un avvertimento al leader di Italia Viva: «In Italia siamo 400.000 secondo le stime al 2019 e non aggiornate dell'ISS. Stanno politicando sulla nostra pelle e di questo tutta la comunità T ne terrà conto. Vergognoso giocare per puro interesse partitico sulla vita delle persone».

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