La giornata

Volano schiaffi con Silvio Berlusconi, Giorgia Meloni ha già un’altra maggioranza

di Susanna Turco   13 ottobre 2022

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Primo giorno di legislatura tra zombie che tornano, colpi di scena e «vaffa». Ignazio La Russa eletto presidente del Senato senza Forza Italia, grazie al soccorso di almeno 17 senatori dell’opposizione (per ora). Primo indiziato Renzi. Secondo Casini. Discorso da Oscar di Liliana Segre, tra Matteotti e 25 aprile

Il “ritorno degli zombie” mescolato a un film di Bud Spencer, tipo “lo chiamavano trinità”. Revenant e schiaffoni. Se la legislatura somiglierà anche solo un poco al suo primo giorno, la noia è scongiurata. È iper-dinamico, pirotecnico, il battesimo del Senato, convocato per la prima volta dopo il voto del 25 settembre: elezione al cardiopalma a presidente di Ignazio La Russa, il centrodestra che si spacca, i voti fantasma dal centrosinistra in soccorso dei post fascisti, Giorgia Meloni che litiga con Berlusconi, il Cavaliere che dice «vaffanculo» a La Russa: insomma ce ne è per tutti.

Ma la legislatura vola sin dal suo primo minuto. Appena in tempo di vedere sfilare la più nutrita serie di “ritorni in campo” mai registrata almeno negli ultimi venticinque anni: quello di Silvio Berlusconi, dopo nove anni di decadenza, si rivela soltanto la punta dell’iceberg.

Non si può tanto indugiare nel “come eravamo” perché intanto arriva il turno della senatrice a vita Liliana Segre, che presiede l’Aula come componente più anziano, pronuncia un discorso introduttivo da premio Nobel, dove non risparmia nulla ai Fratelli d’Italia che hanno vinto le elezioni. Sa che dovrà lasciare lo scranno a Ignazio La Russa e si è premunita: lancia addosso ai banchi degli ex Msi-An tutti rospi che può. La marcia su Roma, le leggi razziali, persino l’omicidio Matteotti che agli ex An va particolarmente di traverso, ad ammonire cosa fu il Ventennio fascista per l’Italia. E poi il richiamo alla Costituzione, che vale anche per Pd e renziani: «Se le forze impiegate per cambiare la Costituzione in maniera talvolta anche peggiorativa fossero state utilizzate per applicarla saremmo forse un Paese più felice». Il monito a vivere in modo non divisivo date come il 1 maggio, il 2 giugno e il 25 aprile (La Russa deglutisce). L’elogio della mitezza. Il riconoscimento reciproco tra maggioranza e minoranza. Il centrodestra, e in particolare i Fratelli d’Italia, faticano assai.

Ma non c’è neanche il tempo di raccoglierne gli umori perché subito arriva l’emergenza voto. In un crescendo tra riunioni tese e assenze sospette, salta fuori infatti che Forza Italia non partecipa alla prima votazione per eleggere il presidente del Senato. Non è una contrarietà sul nome di Ignazio La Russa, è il segno visibile che è in corso un braccio di ferro su chi pesa di più nella coalizione. Il punto centrale del contendere, ancora una volta, è Licia Ronzulli: vestita interamente di rosso, seduta accanto a Berlusconi, la senatrice di Forza Italia continua a essere il nome che il Cavaliere vuole a tutti i costi al governo – in un ministero di peso – ma anche il nome che Meloni non vuole assolutamente, nel governo. Pare che l’origine vera del diniego (tutt’altro che un’antipatia personale della leader di FdI) sia da ricercarsi nell’isolamento in cui ha circondato Berlusconi nei giorni della crisi del governo Draghi, ma tant’è.

Di fatto, durante la prima votazione dell’intera legislatura, si manifesta una spaccatura spaventosa tra il primo e il secondo partito della maggioranza. Fratelli d’Italia e Forza Italia. Non un bel viatico, per una leadership come quella di Giorgia Meloni che stenta evidentemente a farsi riconoscere dagli alleati.

Ma bisogna dire che all’evenienza lei e i Fratelli d’Italia s’erano ben preparati. E lo si capisce non tanto nei mille vertici tesi delle ultime ore, quanto in uno scambio durissimo, in parte ripreso dalle telecamere in Aula, nel quale si vede distintamente Berlusconi che dice «vaffanculo» a La Russa, subito dopo aver pronunciato la parola «Ronzulli». A quanto è dato ricostruire con le testimonianze dei presenti, però, La Russa avrebbe comunicato proprio in quel frangente al Cavaliere che i voti per farsi eleggere li avrebbe avuti lo stesso. Ed è quello che alla fine accade: l’ex ministro della Difesa viene eletto con 116 voti, uno in più della maggioranza teorica del centrodestra (115): ma 16 dei 18 senatori di Forza Italia non hanno partecipato al voto, quindi ci sono almeno altrettanti (se non di più) senatori di altri gruppi che sono arrivati in soccorso, in loro sostituzione.

E chi sono?

È questa la notizia che si prende la scena, offuscando quella pure notevole dell’approdo di La Russa a seconda carica dello Stato. Subito i sospetti si volgono su Matteo Renzi-Carlo Calenda. Il cosiddetto Terzo polo è il primo della lista. L’ex premier nega recisamente. La vox del Senato tuttavia conclude che la componente renziana ha votato eccome per La Russa: anche a volerle credere, sono 5 senatori su nove del gruppo Iv-Azione. E gli altri? Sospetti cadono sui Cinque stelle. Come pure sul senatore eletto nel Pd Pier Ferdinando Casini: particolarmente silente, come un gatto con preda, l’ex presidente della Camera dribbla i cronisti per tutta la mattinata con la fluidità delle grandi occasioni. Potrebbe aver organizzato anche lui un piccolo gruppo di soccorso democratico. Certo si tratta solo di ipotesi. E più passano le ore più il caso dei voti che hanno eletto La Russa somigliano ai 101 che invece mancarono all’elezione di Romano Prodi al Quirinale. Sono insomma voti che rischiano di restare senza nome, cognome e indirizzo. Ma lasciano comunque un segno fortissimo su una maggioranza che dovrà risolvere rapidamente i suoi problemi interni, se non vuol durare mezza giornata.

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A fine giornata, l’unico contento è La Russa. Col suo discorsetto di insediamento pieno di gaffes e scivoloni. Con l’omaggio all’«ispettore Calabresi» invece che al commissario Calabresi. Con l’evocazione dei ragazzi di Salò citati da Luciano Violante senza però il coraggio di pronunciare le parole «ragazzi di Salò» e nemmeno la parola «destra». Con l’impudenza invece di omaggiare, in una specie di bis unofficial pronunciato dopo il discorso ufficiale, sia Giorgia Meloni che i Fratelli d’Italia appena eletti – un atto grave, per un presidente del Senato che ha appena affermato di voler volare sopra le parti. Un bell’inizio pirotecnico, per una legislatura che sembra già fin troppo carica di sorprese.