Con la proposta di legge targata Pd, le madri condannate sconterebbero la pena nelle case-famiglia. Ma il ddl Siani, che ha il consenso anche di Fdi, è fermo da tre anni per le perplessità dei grillini

Tentativi di dialogo, riapertura dei termini per gli emendamenti, sottolineatura della necessità di un iter spedito, riunioni anche coi tecnici del ministero per rassicurare i perplessi. Così, a cinque settimane dall’appello della ministra Marta Cartabia, la commissione Giustizia della Camera sta cominciando a dare blandi segnali di una volontà concreta: «Mai più bambini in carcere», aveva detto la Guardasigilli il 18 febbraio, nel corso di un’audizione alla commissione Infanzia. Un obiettivo concretamente raggiungibile, tutto nelle mani del Parlamento.

 

Giace infatti dal 2019 in commissione Giustizia una proposta di legge, a prima firma il pediatra e deputato del Pd Paolo Siani (fratello del giornalista Giancarlo, assassinato dalla camorra nel 1985) che ha proprio come fine regolativo quello di far sì che i bambini non debbano più crescere dietro le sbarre. Nemmeno dietro a quelle degli Icam, gli Istituti a custodia attenuata per le detenute madri introdotti dieci anni fa, con una legge che ha rivelato profili problematici che questa proposta dem vorrebbe appunto sanare. Il testo della legge Siani punta a superare, di fatto, gli Icam e individua nelle case famiglia il luogo naturale di destinazione delle madri, considerando invece gli istituti a custodia attenuata l’estrema ratio per i casi più delicati, quelli in cui sussista un «pericolo rilevante».

 

La stessa proposta di legge prevede che debba essere il ministero a individuare le strutture adatte: in Italia al momento ce ne sono infatti solo due, a Roma e a Milano (con un emendamento alla finanziaria, sempre a firma Siani, che è capogruppo della commissione Infanzia, sono stati introdotti finanziamenti da distribuire ai Comuni per rafforzare questa rete). Si prevede inoltre - ed è forse uno degli snodi più delicati - il divieto assoluto di applicazione del regime carcerario per le donne incinte o conviventi con figli fino a 3 anni (attualmente è uno) e si prevede che il differimento della pena possa essere applicato in presenza di bambini tra i 3 e i 6 anni: si lascia infatti in questi casi che a prevalere sia comunque l’interesse del minore.

L’intervento
«Servono case famiglia protette per non obbligare a scegliere tra la mamma e la libertà»
25/3/2022

Proprio il timore che, attraverso le maglie di un principio giusto, passi invece la possibilità - ad esempio - di liberare donne accusate di reati mafiosi, o consenta loro di fatto di mantenere vivi i legami associativi, è alla base dei dubbi più volte avanzati dai Cinque stelle. Il Movimento è l’unico partito ad avere espresso contrarietà: nemmeno da Fratelli d’Italia, principale opposizione, è arrivata infatti ostilità. Quello dei grillini, che pure hanno sinora bloccato la legge, non è un no assoluto: proprio in questi giorni sono in programma riunioni informali, anche con i tecnici di via Arenula, sugli emendamenti da presentare in commissione, per superare i dubbi ed arrivare ad una condivisione che sbloccherebbe l’iter della legge arenata ormai da tre anni.