Il ministro della Transizione Ecologica non ha più sponde nel governo se non in Draghi, che però ha avocato a sé le strategie sulla caccia al gas. E scopre grazie all’Espresso che ha ancora il 2 per cento di quote di una società di un gruppo, Tozzi Green, che produce energia e ha tanti dossier aperti col suo ministero: “Una dimenticanza, me ne libero subito”

Lo scienziato Roberto Cingolani ne sapeva così tante che alla fine viene isolato e osteggiato e presto verrà ripudiato per l'unica cosa che non sapeva davvero: la politica. «Appena finisce il governo me ne torno al mio mestiere». Il ministro per la Transizione Ecologica rappresenta la regola laddove non abitano le eccezioni: i tecnici si corteggiano per vezzo, ma una volta a corte sono fastidiosi, perché zelanti, maldestri, spigolosi. Invece la politica è l’arte di conoscere qualcosa di tutto e non tutto di qualcosa, di omettere e non mettere troppe dosi di verità.

 

I bollettini di Palazzo Chigi, per esempio, aggiornano i cittadini sulle temerarie conquiste in giro per il mondo di volitivi ministri e dirigenti di Stato che procacciano miliardi di metri cubi di gas per sopperire alle forniture dei russi. Ovunque vadano c’è pronta una scorta di gas naturale, spesso liquefatto, diciamo da asporto. A che prezzo. A che costo. A quali condizioni. In quanto tempo. Dov’è il sito di stoccaggio. Altri dettagli che vengono ignorati. E gli annunci si susseguono con tale ritmo che il gas sembra pure soverchio e tra un po’ lo daremo in beneficenza.

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Però Cingolani che sta lì a fare i conti, e neppure lo invitano alle missioni internazionali, sprofonda nel panico, dichiara che se i russi insistono possiamo pagare il gas in rubli, lo randellano per bene e si smentisce, fissa a 36 mesi (ha imparato che è meglio non usare anni) l’indipendenza energetica da Mosca, lo ripassano nei retroscena e si corregge, allora facciamo dai 24 ai 30 mesi, più realistico 30 che 24, fate un po’ voi, come vi pare. E dunque lo scienziato che non frequenta Facebook e Twitter perché inquinano, che si è arruolato nel governo per dimezzare le emissioni di anidride carbonica, che deve spendere 69 miliardi di euro col piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), ha capito, e se non l’ha capito si sbrighi, che il solo parametro che ha azzerato in quest’anno e mezzo al ministero è il suo potere.

Il difetto è di origine. Il fisico Cingolani si è sempre percepito come uno scienziato di Stato. Ha fondato il polo di nanotecnologia di Lecce. Ha diretto per oltre un decennio l’Istituto italiano di tecnologia di Genova. Ha frequentato i politici, li ha abbindolati facilmente con le sue scoperte, le sue asserzioni, i suoi concetti avveniristici. Introdurre il futuro negli ambienti dove si replica il passato è prorompente. I politici ne erano estasiati perché lo avvertivano esotico, erudito, distante: inoffensivo. E quindi da sfruttare. Adatto a ogni tipo di platea. Perciò adatto a ogni tipo di incarico. Il premier Matteo Renzi gli affidò le aree Expo di Milano per creare il centro di ricerca medica Human Technopole (2015). I Cinque Stelle e soprattutto Beppe Grillo lo volevano commissario per la ricostruzione del ponte Morandi di Genova (2018). E poi la politica l’ha strappato definitivamente ai laboratori e ne ha propiziato la nomina a capo dell’innovazione di Leonardo che fabbrica sistemi di difesa e militari (2019).

 

Finché lo scorso anno Grillo l’ha elevato al neonato ministero della Transizione Ecologica, gonfio di miliardi e di equivoci. Cingolani si è ritenuto estraneo alle logiche politiche, immune a qualsiasi interferenza o petulanza, capace di fare la rivoluzione verde, di tramortire la burocrazia, di impiantare pannelli solari, di installare pale eoliche, di espandere l’idrogeno, di inculcare un’esistenza sostenibile, perché dotato di sufficienti nozioni e abilità. Lo paragona, chi non lo apprezza, al sinologo Peter Kien del romanzo “Auto da fé” di Elias Canetti. Un genio introverso e diffidente che fu fregato da una domestica e da un portiere. Kien è convinto di non essere «tenuto a prestare orecchio alle sciocchezze di ogni passante. Perdersi in chiacchiere è il peggiore pericolo che minacci uno studioso». Al contrario la politica è chiacchiere, mediazione, compromesso. Cingolani ha sottovalutato i partiti, sicuro di poterli ammansire con un bocconcino a testa. Ha tentato un ecumenismo politico. Non esiste il ministro che piace a chiunque. Succede poi che non piaccia a nessuno. Cingolani ha deluso i Cinque Stelle più ambientalisti con le concessioni per le trivellazioni in terra e in mare. Ha battibeccato col ministro Dario Franceschini per le autorizzazioni paesaggistiche al punto che al ministero della Cultura si raccontano in lotta contro l’invasore: voleva eliminare le nostre competenze, instaurare zone idonee senza limiti, ricoprire l’Italia di pannelli.

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Ha consegnato il Pnrr ai consulenti della multinazionale di McKinsey in ossequio alle indicazioni del ministero del Tesoro che li aveva reclutati: quattro si sono insediati nei suoi uffici per un paio di mesi e uno del mazzo, Paolo D’Aprile, si è dimesso ed è rimasto a vigilare e dunque coordina la struttura dedicata. Ha proposto il nucleare, poi l’ha ritirato, infine ha argomentato. Ha intimato alla scuola di non insegnare quattro volte le guerre puniche ai ragazzi, ma di divulgare cultura tecnica per formare i professionisti di domani. Per il dipartimento energia e clima ha scelto Sara Romano, considerata vicina all’ex segretario dem Pierluigi Bersani. Come consigliere diplomatico ha richiesto alla Farnesina l’ambasciatore Giuseppe Manzo, riferimento geopolitico di Renzi.

 

Per il gabinetto ha preso Roberto Cerreto, molto stimato al Quirinale, ex dirigente di Maria Elena Boschi e più pratico con le norme che con la gestione di un ministero, nel governo Gentiloni era il capo del legislativo. Ha partecipato da protagonista a un viaggio per la caccia mondiale al gas. Quando Draghi era a casa col covid. Le trattative e le strategie sui rifornimenti di gas sono esclusiva di Palazzo Chigi, ministero degli Esteri con Luigi Di Maio, azienda Eni con l’amministratore Claudio Descalzi. «Ho parlato con Grillo due o tre volte quest’anno. Sono in costante contatto con esponenti importanti dei partiti perché - spiega - per il mio ruolo è fondamentale ascoltare il Parlamento». Anche Grillo si è defilato. La conseguenza è che Cingolani trova conforto soltanto a Palazzo Chigi, non nel sottosegretario Roberto Garofoli. Il professor Francesco Giavazzi, collaboratore (e vero amico) del premier, lo ha sempre protetto. E poi Draghi ha avocato a sé il tema energia. Adesso proteggere Cingolani è proteggersi. La politica è rituale. E anche noiosi adempienti.

 

Il ministro non ha segnalato nel suo stato patrimoniale le poche quote (due per cento) che possiede di Daunia Solar Cell, «era caduta nel dimenticatoio», società pugliese che appartiene alla multinazionale dell’energia Tozzi Green. Daunia Solar Cell fu aperta nel 2008 per sviluppare una nuova generazione di fotovoltaico con componenti più convenienti rispetto al silicio «a partire dai risultati di ricerca del mio gruppo», precisa il ministro, «poi quella tecnologia è fallita e non ho idea di che fine abbia fatto, ma non ha prodotto nulla».

 

Il bilancio del 2019 annunciava il termine dei programmi di studio svolti da Daunia Solar Cell con 676.000 euro di finanziamento agevolato e 232.800 a fondo perduto, il trasferimento del personale in Tozzi Green, il mantenimento «di una licenza relativa all’agente sigillante a bassa temperatura nella preparazione di dispositivi elettronici». Daunia Solar Cell risulta ancora attiva. Il tema è diverso. Non le azioni. C’è un legame pregresso fra la Tozzi Green e il ministro Cingolani e rendere edotte le Autorità di controllo (il modulo trasparenza è richiesto dall’Anticorruzione) e lo stesso ministero era di certo necessario. Il proprietario Andrea Tozzi aveva buone ragioni per accogliere con entusiasmo la promozione a ministro di Cingolani, «persona di grandissimo spessore che ci invidia il mondo». E la Tozzi Green è interessata a espandersi nel mercato italiano, di recente ha acquistato due parchi eolici in Sicilia, ha risposto al bando del ministero per costruire piattaforme galleggianti per ricavare energia solare in mare. Siccome Cingolani s’era scordato di quel due cento in Daunia Solar Cell, in altre vesti, ha incontrato al dicastero i vertici di Tozzi Green, formalmente suoi soci, senza alcuna precauzione: «Mi libero senza problemi di quelle azioni».

 

L’esperimento non è concluso, però attorno si sta facendo buio. Cingolani ha avviato un lavoro che sarà completato da altri. Ha due obiettivi. In ordine: sganciarsi dal gas russo entro 30 mesi e attuare i progetti del Pnrr. In mezzo, molta confusione. E una lezione appresa in ritardo: «Un tecnico sarebbe inutile senza la visione della politica». Il prossimo scienziato prenda nota.

 

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