Scenari

Il Sud è completamente sparito dall'agenda politica

di Carlo Tecce   27 ottobre 2023

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La legge di bilancio lo dimostra chiaramente: il mezzogiorno è ignorato dal governo e dai partiti. Con poche eccezioni

Con la perizia dei migliori speleologi è possibile rinvenire un reperto di Sud nel ginepraio di norme e commi della legge di Bilancio licenziata dal governo Meloni. Al solito si tratta di un indice confuso e di brandelli di bozze, comunque a metà del testo – per l’esattezza, articolo 51 su 80 circa – si fa rifermento a «modifiche copertura credito d’imposta Zes unica del Mezzogiorno». Qui serve consultare il glossario. La Zes è la zona economica di sviluppo; è “unica” perché il ministro con delega Fitto ha accorpato otto regioni meridionali e centrali, un ghirigoro che va da Pescara a Palermo; il credito d’imposta è lo sconto fiscale per le aziende che vogliono investire in queste zone ormai non distinte, una vale l’altra, una come l’altra. La legge di Bilancio informa i soggetti interessati, uno sparuto gruppo in verità, i politici meridionali e pure centrali tacciono, che il fondo per il credito di imposta sarà di 1,8 miliardi di euro, non più per un triennio (altrimenti si rischia di spenderli davvero questi soldi), ma soltanto per un anno. È un incitamento a sbrigarsi in luoghi non proprio adeguati a farlo e con una burocrazia impreparata finanche a concepirlo.

 

Ai caselli per il Sud non c’è ressa, coda, fila. In gran parte la politica lo ignora. Lo ha depennato dalle agende. Ogni tanto compatisce e poi impartisce. La presidente Meloni è rivolta a Nord, è preoccupata dai leghisti delle valli, mentre Matteo Salvini gioca con i plastici del ponte sullo Stretto. Perciò voleva rifilare il Sud a un ministro autoctono. Appiedato il siciliano Nello Musumeci per ragioni di convivenze interne al partito Fdi, è toccato a un salentino di Maglie. Raffaele Fitto è indubbiamente meridionale, ma è altrettanto indubbiamente fagocitato dal Piano nazionale di ripresa e resilienza. Il Sud è un pensiero minore. Quando i due pensieri si sovrappongono, è un disastro. Fitto è riuscito in un prodigio di San Gennaro. È un bersaglio solitario. Il salernitano Edmondo Cirielli è viceministro agli Esteri. La palermitana Carolina Varchi, reggente del dipartimento Mezzogiorno in Fratelli d’Italia, non proferisce verbo sui fatti del Sud, anzi l’ultima apparizione è a un dibattito sulla famiglia tradizionale con la ministra Eugenia Roccella: «Il corpo della donna non si compra». In Forza Italia ci sono gli enti locali affidati a Maurizio Gasparri. E basta. 

 

Dicevamo del ministro Fitto e di San Gennaro. A Napoli la maggioranza di centrosinistra e la minoranza di centrodestra, in piena estate, hanno protestato assieme contro il governo perché, durante il “taglia e cuci” di miliardi di euro, un lavoro di altissima sartoria eseguito bendati, sono saltati due progetti per le periferie finanziati dal Pnrr, uno al quartiere di Scampia, l’altro a San Giovanni a Teduccio. Per una volta i tempi erano in ordine, i cantieri erano pronti, ma Napoli è rimasta in sospeso come i caffè. La spontanea “ammuina” dei napoletani ha smosso Fitto: riecco i soldi, forse.

 

«La devono smettere con questa spinta antistorica: il Sud è una risorsa per il Nord, il cosiddetto sistema Paese ha bisogno di una Italia compatta. Il Pnrr è stato creato per ridurre i divari territoriali, non per conferire risorse discrezionali al governo di Roma», dice Roberto Fico, che non ha mai lasciato Napoli e a Napoli è tornato non appena ha finito il suo mandato di presidente della Camera. Adesso è fra i volti più iconici dei Cinque Stelle, soprattutto al Sud, in particolare in Campania. Qualche giorno fa era in una piazzetta in provincia di Caserta: «Avete notato che in televisione non si parla mai di autonomia differenziata? La nostra sanità pubblica è in pericolo, la difenderemo in ogni modo». Autonomia differenziata, salario minimo, reddito di cittadinanza: il Movimento sfodera da Roma in giù – il contrario di Meloni, ricordate? – gli argomenti che altri non trattano o lo fanno con pigrizia. Il centrodestra ha lasciato sguarnito il Sud, i quasi alleati democratici sono esitanti. Cos’è una trappola? «È un momento di transizione. La mia preoccupazione – spiega Fico – è creare un’alternativa valida e credibile all’attuale maggioranza».

 

Anche i Cinque Stelle non hanno fretta di risolvere diverse incongruenze. Ormai hanno la struttura di un partito classico, ma non rinunciano al vincolo della doppia elezione che tiene fermo Fico e altri esponenti politici di rilievo: viene rispettata l’antica ortodossia, però si corre zoppi alle Europee. Il vantaggio è per chi fa le liste, il capo Giuseppe Conte: mette i suoi. Pazienza se poi gli elettori non li votano in massa. Nei palazzi romani, e ne sono al corrente i millecinquecento lettori dei retroscena politici teorizzati da Enzo Forcella mezzo secolo fa, si narra di una precisa strategia di Meloni che userebbe Conte per non misurarsi con i dem di Elly Schlein, per scegliersi l’avversario. Troppa grazia. I dem sono masochisti alla nascita. Hanno timore, per esempio, a imboccare l’autostrada che porta al Sud.

 

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Michele Emiliano in Puglia e Vincenzo De Luca in Campania sono due repubbliche indipendenti, sfuggono al controllo del Nazareno e hanno il sostegno popolare: gli elettori. Schlein è ancora una presenza aliena nel Meridione, non è il suo tema preferito, non c’è assonanza spirituale. Il siciliano Giuseppe Provenzano, ex ministro per il Sud, che avrà maturato una esperienza almeno pratica, ha un bel posto nella segreteria nazionale: per la cooperazione internazionale. Il responsabile per il Sud e per le aeree interne è il napoletano Marco Sarracino, rapida carriera di militante in Campania. Ha raggiunto l’apoteosi quando ha postato una fotografia con i prezzi di un distributore di benzina sulla Salerno-Reggio Calabria: «Quando la realtà è più forte della propaganda di destra». Un aneddoto chiarisce l’attenzione dem al Meridione. Riunione di gruppo alla Camera per nominare i vertici, ci si guarda intorno: manca un deputato che rappresenta il Sud. «Lo faccio io, no tu no, perché no». Alterco. «Vabbè fallo te». Soluzione posticcia.

 

A Roma impastano e sfornano comunicati, a Napoli il presidente De Luca va in cattedra: «Partiamo da un paradosso. Il governo insiste – spiega a L’Espresso – per l’autonomia differenziata, cioè più poteri e competenze alle Regioni. Poi però ogni azione –  Pnrr, Zes, Fondi sviluppo e coesione – è per accentrare, togliendo la facoltà di decidere ai territori e alle regioni. Il tutto in una totale assenza di interventi contro la palude burocratica, che paralizza l’Italia e che bloccherà anche i progetti. Risultato: niente investimenti, disoccupazione, emigrazione intellettuale. Non più quella dei nostri padri, ma giovani laureati costretti ad andar via. È necessaria una riforma strutturale. Un problema di fronte al quale girano la faccia tutti i partiti, destra, sinistra, centro».

 

L’appello è completo: «Il Pd? Non sento voce levarsi. Assente. Prendiamo il Fondo sviluppo e coesione, fondi che per legge all’80 per cento spettano al Sud (4 miliardi all’anno, ndr). Non una parola sul fatto che le regioni del Mezzogiorno aspettano lo sblocco di questi fondi da 14 mesi. L’obiettivo del governo è togliere finanziamenti destinati al Sud per spalmarli sul piano nazionale». L’antropologo Marino Niola dà una definizione di questa ritrosia nei confronti del Sud: «Non è un atteggiamento nuovo. Ormai è qualche decennio. Il Sud è il palcoscenico per le rese dei conti. Il Pd abbandonò la giunta Bassolino per l’emergenza rifiuti e ne paga ancora le conseguenze. Il centrodestra non vuole dare “soddisfazione” alle amministrazioni locali e le ostacola quando può. I Cinque Stelle hanno il loro granaio di voti. Altro non si vede. All’orizzonte si scorge Gennaro Sangiuliano, il ministro della Cultura è fra i pochi del governo che punta al Sud. Ha il vantaggio di essere napoletano». È secessione naturale. Non fatelo sapere a Salvini.