Il capoluogo ligure è una delle prime città a modificare il regolamento per permettere ai neogenitori di partecipare ai lavori anche da remoto. Ma il percorso non è stato privo di problemi: «Mi hanno detto che stavo strumentalizzando la mia gravidanza e che dovevo tacere» racconta Francesca Ghio

«Stai zitta tu», «stai strumentalizzando la tua gravidanza per fare una legge ad personam», «chiederò che tu non venga retribuita». Queste sono solo alcune delle risposte che Francesca Ghio, consigliera comunale di Genova, racconta di aver ricevuto durante le discussioni necessarie per l’approvazione della modifica al regolamento del Consiglio comunale, per fare in modo che sia le donne in gravidanza sia i neogenitori possano partecipare alle sedute degli organi consiliari in videoconferenza. Senza dover rinunciare al gettone di presenza, unica forma di retribuzione prevista dal Regolamento: «C’è stato anche chi ha provato a metterlo in discussione. Sebbene il punto della richiesta fosse proprio quello di favorire la partecipazione alle sedute per garantire la rappresentanza dei cittadini. Non l’allontanamento dai lavori del Consiglio».

 

Lo scorso 12 dicembre la delibera necessaria a permettere alle consigliere comunali incinte, alle madri e ai padri in congedo parentale, di partecipare alle sedute del Consiglio, alle commissioni e alle conferenze dell’amministrazione comunale da remoto, è stata approvata all’unanimità. Facendo di Genova una delle prime città d’Italia «attenta alle esigenze delle famiglie. Dimostrando grande sensibilità per la creazione di un ambiente di lavoro più inclusivo», ha commentato il presidente del Consiglio comunale Carmelo Cassibba. «Una tutela della maternità necessaria se è vero che l’obiettivo è la parità di genere. Per fare modo che essere madre non sia né un lusso né un ostacolo alla vita della donna. Ma una scelta», sottolinea Ghio. Che, sebbene sia soddisfatta del risultato, non condivide il lungo e difficoltoso iter che è servito per raggiungerlo. 

 

«Ho iniziato a seguire la questione a settembre. Quando, essendo incinta, mi sono resa conto delle difficoltà che avrei presto incontrato per continuare a prendere parte alle sedute del Consiglio comunale, man mano che la mia gravidanza andava avanti. Mi sono confrontata con chi nelle altre città aveva già condotto battaglie simili, come Ludovica Cioria, (vicepresidente del consiglio comunale di Torino ndr) e ho parlato con gli uffici competenti del mio Comune: c’era un vuoto normativo che sarebbe potuto essere colmato in maniera semplice e veloce dal punto di vista tecnico. Il problema era politico». 

 

Così Ghio, consigliera di minoranza nel gruppo Rossoverde, spiega che ci sono voluti mesi prima che la discussione per lo svolgimento delle sedute da remoto venisse calendarizzata «e che quando finalmente è successo, il dibattito è stato monopolizzato a lungo da uomini molto desiderosi di esprimere la loro opinione ma poco inclini ad arrivare al punto. Alla ricerca di applausi più che di mediazioni utili per elaborare una soluzione condivisa. Spesso poco attenti alla discussione in atto tanto che le stesse domande venivano fatte più volte».

 

Ghio racconta di essersi sentita sola, nonostante il suo obiettivo fosse quello di riempire un vuoto normativo, senza condizionamenti ideologici, senza schieramenti di partito. Per colmare un buco a cui nessuno aveva fatto fino a quel momento attenzione probabilmente perché le donne in politica sono poche. Quelle attive mentre portano avanti una gravidanza ancora meno. «Ma misure come questa sono necessarie per fare in modo che una donna che sceglie di essere madre non sia costretta a rinunciare al suo essere persona, a perdere l’indipendenza economica, fondamentale, invece, se vogliamo parlare di parità tutti i giorni, non solo il 25 novembre».

 

Per la consigliera nella maggior parte dei casi a guidare la discussione politica non è l’obiettivo di trovare una soluzione concreta alle esigenze dei cittadini ma la ricerca del consenso, ragione per cui anche per modificare il regolamento del Consiglio comunale di Genova per consentire alle donne in gravidanza e ai neogenitori di partecipare alle sedute in videoconferenza «i tempi sono stati lunghi. I dibattiti violenti. Caratterizzati dalle urla più che dall’ascolto. Un modo di procedere purtroppo frequente che è necessario cambiare se l'obiettivo è tutelare il bene comune».