Dal Giappone la Presidente, dopo 100 giorni di silenzio, parla dello scandalo del sottosegretario che per l'Antitrust ha violato il conflitto di interessi e prova ad archiviarlo. Ma lui insiste: "Me ne andrò. Intanto mi autosospendo"

Dimissioni annunciate, poi sospese, a mezz'aria, a mezzo busto, mezzo tv. Quelle «con effetto immediato» di Vittorio Sgarbi dal ruolo di sottosegretario alla Cultura, domenica si erano trasformate in qualcosa «ancora da negoziare». Mentre l'Antitrust a fronte dei 17 incarichi ricoperti in contemporanea era stato netto: "Il Sottosegretario di Stato alla Cultura, Vittorio Sgarbi ha esercitato attività professionali in veste di critico d'arte, in materie connesse con la carica di governo a favore di soggetti pubblici e privati, in violazione della Legge Frattini sul conflitto di interesse". Dimissioni immediate, hanno chiesto dalle opposizioni. 

 

Niente da fare, Sgarbi già nel mirino delle inchieste del Fatto Quotidiano e di Report sui cachet d’oro ricevuti durante l’incarico di governo e il presunto riciclaggio di un quadro del Seicento rubato scrive una lettera a Giorgia Meloni e rilancia «L'antitrust deve indagare sull'intero governo». Confuso e urlante, come sempre, il critico d'arte intervenendo su La7 aveva parlato di «autosospensione»: «Voglio chiarire: io mi sono assolutamente dimesso ma i tempi presuppongono quelle che io chiamo dimissioni in due tempi: io da questo momento non ho deleghe attive e non voglio esercitarle. Ma ho dato incarico ad uno studio di procedere con le valutazioni di incompatibilità» con un ricorso ma «le dimissioni sono certe quali che siano le decisioni del Tar». Insomma, «io mi dimetto anche se la sentenza del Tar fosse favorevole con me ma ora serve consentire al Tar di pronunciarsi e una sentenza non ha senso se mi sono dimesso». 

 

Confusa anche la maggioranza. Il vicepremier Matteo Salvini a un gruppo di cronisti a margine dell'avvio di lavori ferroviari a Bergamo ha risposto sorridendo: «Ma Sgarbi si è dimesso? Non ho letto la lettera». Si è dimesso o no? Se lo sono chiesti in molti nelle ultime ore. Maggioranza e opposizione. 

 

Perché Vittorio Umberto Maria Antonio Sgarbi ci ha provato, ha resistito fino all'ultimo contro tutti: «Se il governo ritiene di chiedermi le dimissioni immediate, può chiedermelo e io posso anche darle, e le darò. Ma in questo momento per presentare il ricorso» al Tar contro la delibera Agcm, c’è una «procedura che richiede il suo tempo. Meloni non mi ha chiamato, e non mi sono sentito affatto solo, ma se vuole chiamarmi mi chiami e io farò quello che mi dice». 

 

Nel giro di poche ore Meloni non ha chiamato ma ha preferito affidarsi ai cronisti presenti a un punto stampa al termine del vertice bilaterale con il premier giapponese Fumio Kishida, a Tokyo dal Giappone: «Credo che le dimissioni di Vittorio Sgarbi siano una decisione corretta. Lo aspetto a Roma per accogliere le sue dimissioni. Ho atteso ad avere elementi oggettivi, mi auguro che Sgarbi non si aspetti che si decida per altri con elementi non oggettivi». Sgarbi sembra accettare ma insiste «Confermo le mie dimissioni, che saranno esecutive alla fine del percorso amministrativo che prevede il pronunciamento del Tar dopo il mio ricorso». 

 

Dimissioni, dunque, solo alla fine del percorso amministrativo. «Me ne andrò anche nel caso di una sentenza favorevole. Intanto mi autosospendo. Ma non voglio, con le mie dimissioni immediate, ostacolare il procedimento del Tar che prevede la sospensiva della delibera antitrust» sottolinea in una nota. «Meloni deve avere un quadro chiaro delle mie incompatibilità prospettate dall'antitrust in termini arbitrari e contraddittori, senza una valutazione comparativa di altre palesi incompatibilità di membri dell'esecutivo».

 

Il ricorso paventato promette di essere una piccola grana per il Governo Meloni che Sgarbi aveva già annunciato stamattina con una lettera pubblicata su Il Corriere della Sera: «Se il governo, per mano di un suo ministro (ripeto: di un suo ministro), ha promosso una indagine sul conflitto di interessi all’interno del governo (peraltro in base alla lettera anonima di un pluripregiudicato), è giusto che io chieda all’Antitrust che si estenda l’indagine a tutte le istituzioni, con gli stessi criteri». Se si indaga su qualcun altro nel governo, qualcosa si trova. Esploso come una bomba di petardi e cartaccia, il caso Sgarbi dopo 100 giorni di silenzio da parte di Giorgia Meloni, sembra archiviato, ha fatto tanto rumore quello che resta adesso però non è solo cenere ma anche una scia di veleno.